Bene, eccomi qua. Ringrazio Wolkoff per la menzione e la lucidatura, anche se forse dopo aver letto questo post passerà dalle pelli di daino a stracci di recupero.
Il filo di internet che il continente africano mi accordava mi ha permesso di leggere la prima pagina dei commenti su questo albo, preparandomi al peggio del peggio. Probabilmente questo è uno dei motivi per i quali la storia non mi è dispiaciuta.
Eh. Mentre leggevo le prime pagine mi sono perfino reso conto che io
volevo che la storia non mi piacesse, cosa nei fatti poi disattesa. Il motivo della diffidenza immagino si possa rintracciare nella sensazione che non fosse necessario andare a toccare ancora il passato di Dylan, se non altro perché introduce dei piccoli problemi di continuity, da leggere alla luce di una più grossa questione che riguarda l'approccio, e che vedremo fra poco.
"Questo non è Dylan".
Non sono d'accordo, nel senso che non ho trovato niente nell'albo che non sia perfettamente compatibile con il personaggio. Chiaro: la Baraldi non è Sclavi, ma chi altro lo è?
Se qualcuno ha la sensazione che questo non sia Dylan, può essere solo per il non ritrovare quelle atmosfere pennellate a suo tempo dal Tiz nazionale. Ma temo che questa sensazione sia semplicemente esacerbata dal confronto con altri albi simili (in primis l'ovvio
Lungo Addio), perché questa prova della Baraldi mi pare meno lontana dagli intenti originari rispetto a dozzine e dozzine di gialletti senza nerbo dei quali ogni volta mi sorprende perfino il titolo, tanto sono stati dimenticabili.
L'indagine/non-indagine dell'albo è più che altro un pretesto per permettere ai flashback di dipanarsi, e di raccontare la storia di questa grande amicizia.
Mi è piaciuta discretamente tutta la faccenda della macchina, "
On n'échappe pas à la machine", non semplicemente una menata sullo showbiz, ma un qualcosa di più complesso e inquietante. Bene, molto bene aver tirato in ballo John Ghost: lui rappresenta in pieno quella zona surreale al confine tra gli orrori del capitalismo assassino e quelli perturbanti dell'inumano, ed è un personaggio sul quale ripongo grandi aspettative (che temo saranno tradite).
Ecco, però tirare fuori il passato crea sempre qualche forzatura, coi relativi problemi annessi.
Ci sono due modi di raccontare il passato di personaggi che sono in pista da decenni.
Il primo è quello del Paperon De Paperoni di Don Rosa. Per lui l'esistenza del papero più ricco del mondo si colloca a cavallo tra il 1867 e il 1967, e quindi i suoi vent'anni andranno sempre raffigurati nel diciannovesimo secolo, mentre ogni nuova storia "standard", che lo ritrae anziano in compagnia dei nipoti, è da collocare negli anni '40/'50 del ventesimo.
Il secondo è quello più classico, diciamo dei Simpsons. La necessità di mantenere le età immutate e lo show al passo coi tempi (oltre a quella di dover ricorrere a storie sul passato, che sì, anche per me è una furbata), porta a spostare sempre più in là l'asse temporale, tanto che all'inizio la giovinezza di Homer e Marge è puramente seventies, mentre adesso siamo arrivati fino agli
anni '90, e forse anche più in là.
Ora: questa storia nasce nel cuore di quello che Sclavi non ha detto, ma giustifica la sua esistenza grazie a qualcosa che invece Tiziano ha detto molto chiaramente, e cioè che quando si parla del passato di Dylan bisogna essere elastici, perché niente vieta loro di stravolgerlo completamente a piacimento. È la teoria dei "tanti Dylan", non a caso sbandierata nei mesi passati da Recchioni.
Questo consente di risolvere tutti gli stridori fra gli Anni Selvaggi e quanto sappiamo già del passato di Dylan, tipo i suoi esordi ancora alcoolici del Numero 200. Risolvere, o perlomeno non doversene curare troppo. D'altronde era stato fatto anche in passato senza troppi patemi (i vestiti sempre uguali sono per Lillie o per la tipa della storia con Martin Mystere?).
Io credo che se questa storia l'avesse scritta Sclavi, non solo sarebbe stata molto migliore, ma avremmo tutti accolto con soddisfazione la rivelazione di dove nasca il quinto senso e mezzo o l'idea di entrare in polizia. Trattandosi della Baraldi, abbiamo la "rabbia" di doverla considerare canone o la tentazione di non farlo, ma è proprio lì che si nasconde il vulnus.
*La forza di questa storia, il motivo per il quale ce ne ricorderemo, è unicamente l'aver voluto narrare il passato dell'old boy. Se vale la teoria del passato riscrivibile e degli infiniti Dylan, allora cosa ci rimane?*
La risposta è: niente. In quel caso Gli Anni Selvaggi non sarebbe altro che un mero divertissement, pienamente smentibile l'anno prossimo da un numero nel quale si vede il Dylan diciottenne entrare in polizia in seguito a un infortunio che pregiudica la sua carriera calcistica. Se vale tutto, questa grande amicizia svanisce nel nulla, e la dolce Emily Pie rimane solo un sogno, un'ipotesi.
Infiniti Dylan = nessun Dylan. Questo non giova al personaggio. Per sperimentare c'è già il Color Fest.
Si tratta, se ci pensate, della stessa cosa successa con gli amichetti invisibili della Barbato. In Pete Brennan appaiono e scompaiono in una vignetta, e quindi a nessuno importa granché della loro perdita (primo errore). Ma ehi, a Dylan sì, quindi tutto sommato va bene. Poi però si cancella tutto con Cose Perdute, svilendo completamente la storia precedente (secondo errore) e facendo passare Dylan per un portatore di handicap che scambia bambine in carne e ossa per nonsisacosa (Paola, Paoletta mia...)
Per tutti questi motivi, assegno un 7 alla storia. L'aver svelato qualcosa di più sulla vita di Dylan mi permetterà di ricordare questo numero (cosa fondamentale), anche se resta il rammarico che a farlo sia stata la Baraldi, che comunque porta la storia a casa con alcune trovate convincenti.
Nel caso una storia futura rimetta tutto questo in discussione, il voto passa automaticamente da 7 a 0.
(Perdono per il post-fiume).