Don Cristo ha scritto:
Non sono tanto convinto. A me l'impostazione scelta da Bilotta pare chiarissima: è un incubo... è tutto al servizio della tesi dell'autore.
Anzi, io il cliente manco lo avrei inserito: avrei lasciato tutto all'interpretazione del lettore.
Forse pensiamo la stessa cosa, ma da punti d'osservazione differenti.
Non sono convinto che Bilotta ricalchi tutto sulla falsariga dell'incubo surreale,
cosa che secondo me doveva accentuare, invece. Discorsi e pistolotti prendono spunto da impatti pseudo-realistici con la realtà lavorativa. E poi ci appioppa pure il discorso di Griffiths, che rilascia coordinate imperniate su un asse spazio-temporale realistico rispetto a quello che succede attorno a Dylan [
ti ho assunto tempo fa il giorno X per mandarti nel luogo Y a verificare cosa sia Z]. Questo crea una frattura rispetto all'incubo vero e proprio da autosuggestione lancinante/alienante, sino a sminuirlo nell'episodico
.
Come se Dylan non si trovasse calato nell'incubo già da pagina 8,
in medias res e senza darci spiegazioni... cosa che avrei preferito in una storia-parabola ad alto tasso simbolico per dimostrare le sue tesi....ma che bisognasse ricucire tutto attorno ad una pseudo-indagine starter. Che crolla miseramente però, nella logica del presupposto stesso, quando Bilotta comincia a sparare dati, date, foto alla Jack Torrance, etc. Vabbene credere che lui si convinca di lavorare lì da 15 anni e che i capi rappresentino la scimpanscienza dirigenziale, ma pensare che tutti attorno a lui condividano queste cose è fuorviante.
Come Groucho che accetta passivamente tutta questa nuova vita soltanto perché adesso Dylan ha uno stipendio fisso per potersi permettere elettrodomestici all'ultimo grido
ALOHA TRONYLAN