Finito il Maxi.
Confermo quanto detto prima, per l’apprezzamento della nuovavecchia collana: la qualità media delle storie è oltre la sufficienza, e quella che mi è piaciuta meno in questo volumone si attesta intorno al
6 e ½, se non oltre
.
Vale a dire….
SCATOLE CINESI
Una storia che non mi ha rotto le scatole, con qualche cineseria interessante, riconducibile ad un filone molto caro a GDG, abbastanza estiva come scazzoseria, ma meno sgangherata di quello che sembra, per quanto nel non voler darsi un senso, intorno alla fine, esagera con trucchetti di una faciloneria lineare e non dovuta, per pretestuosità.
Si comincia con un incubo di fattura classica, se non scontata: ma uno sconto fa spesso piacere per le fatture. Molto buoni i duetti iniziali con Groucho, fifoneggiante e razionale mentre s’introduce nella nave…non posso dire lo stesso dell’inseguimento prolungato col totano incazzoso.
M&G in questa fase a tratti convincenti – pioggia, darsena, catwalk, cunicoli, tubature – a tratti sconfortanti, col solito tratto tirato alla meno peggio quando s’incappa in qualche parapiglia(pelk*lo)
.
Il meta-incubo alla TrumanShow scoperchiato da Greensham è in realtà un’analisi sulle difficolta di scrivere copioni per Dylan (pp.220-222), col solito discorso sul personaggio (s)finito e bisognoso di una svecchiata per attirare nuovi fans. Comunque, per quanto comodamente imboccato senza “tra le righe”, come tipico delle tesi rifilate da GDG, il discorso del
sosia di Wells presenta alcuni punti d’interesse abbastanza stuzzichevoli, specie per il precariato della dimensione d’incubo costruita (a stento) attorno a Dylan per farlo campare oltre con colpi di scena artefatti
.
Non ho afferrato molto l’utilità della sequenza action della funivia, se non per rivangare il terrore per le vertigini. Se non altro ha permesso a
M&G – come per le mosche della prima storia – di incesellare un fiocco di neve diverso dall’altro, oltre ad una buona scena di fracassamento con omaggio finale alla copertina del
#57 (p.235).
Le condivisibili rinfacciate in modalità meta-sfogo da parte dell’alterGrouchoErwin
Vs Dylan al pub (pp.244-46) sembrano quasi una parafrasi delle nostre difficoltà nel dover sopportare tutte le sfibranti fisime – imposte sempre più per facciata, autori
docunt - del protagonista standogli dietro da quasi 30 anni
.
Banalotto il racconto della comunità rejetta di emarginati nell’ennesima controcittà sotterranea (pp.255-65) ma si salva sul finale con la contromorale che sbeffeggia gli assunti para-etici del Dylan campione di diversità manichee e buonismo uniformato aprioristicamente sul
trendy-tically correct/critically tirato per capelli (metto solo l’equivalente italico di
far-fetched, altrimenti
Rimatt mi chiede i ©
). I mostri siamo noi che non vogliamo riconoscere quelli veri, in pratica, e a proposito di mostri, le caverne di questa parte mi ricordano molto quella disegnate da
M&G per
Ramblyn.
La parte del deserto di pietra&scorpioni forse esagera oltre il lecito con l’escamotage delle allegorie simil-dantesche, ma presenta qualche suggestione, e Dylan come prevedibile esita più del dovuto per saltare in testa ai condannati alla dannazione nel guado della palude stigea. Ben gli sta; una puntura e passa tutto…come per l’infermieristica editoriale
.
Poi, sotto la pioggia d’annata
M&G, con qualche cripta molto vintage, Dylan ricomincia dell’oscura alba della morte vivente di se stesso, dovendosi scontrare con il suo doppio (pp.279-83), che in questo caso è più che altro lo stunt-controfigura scelto da Greensham&co per agevolare la fiction del nostro anti-eroe zombicida e ritornante allo stesso tempo. Ed in questo guadagna
molta più efficacia della fradicia zuffa piagnona made-in-Barbato contro il doppelgänger nell’inedito di Luglio…ma non ci voleva molto, a dire il vero…Dylan?
Alla fine i piani allucinatori reversibili (pp.284-88), tra pseudorealtà da improvvisare e copioni prefissi, si confondono in modo scaltro, uno dentro l’altro, con gli incubi dell’attore che si sovrappongono a quelli visioneggiati da “colui che si crede Dylan”.
Peccato che questa matrioska trasversale venga rovinata dalle
ultime tre pagine rabberciate con la stessa foga cialtrona di quelle che chiudevano una storia molto simile di incubi in serie dello stesso GDG – e molto recente: parlo di
Chiuso nell’Incubo – rasserenando ogni cosa con la chiave del “
tanto è stata una botta in testa” (di chiave, poco inglese, appunto), con l’unica microbotta di vita nel Groucho che allude al fatto di come i video farlocchi esistano realmente, a livello di fiction in produzione, e che quindi l’incubo non è stato fatto solo della materia dei sogni.
A scanso di pro-spiegonismi, un appello: come dice Dylan nell’ultima pagina “
non è così importante capire tutto”, ma in certi casi è meglio risparmiarsi allusivamente certe uscite ipergratuite e cameose di Cagliostro per giustificare l’inspiegabile.
Capiti?
ALOHA NON SCRIVERE GATTO SE NON CE L’HAI NEL SACCO
(…delle idee)