Carlo Ambrosini scrive e disegna il suo Mulholland Drive. La conclusione della serie non fornisce una semplice chiusura nè tradisce le sue caratteristiche, anzi le esalta, facendo luce su un progetto preciso: la fine è il picco dell'intero lavoro, il lettore sgomento è costretto a rileggere la serie in virtù dell'episodio finale. LO SGUARDO CIECO è un albo epocale (letterale: farà epoca) e allo stesso tempo decreta un suicidio (pag.115-118), l'harakiri dell'autore che va volutamente incontro alla morte (morte narrativa del personaggio = morte artistica dello scrittore), salvo poi metterla in dubbio attraverso l'ultimo avvitamento spazio-temporale. Allora l'idea di fumetto di Ambrosini muore? Forse sì, ma forse no, forse c'è sempre l'ipotesi di un risveglio sbiadito (pag. 119), la possibilità di guardare da un altro punto di vista. La chiave: "Dal mio attuale osservatorio posso tranquillamente ripartire da qua... dimenticando tutto il resto". Ambrosini/Jan Dix fa quello che gli pare.
Andiamo per punti:
LA STRUTTURA NARRATIVA
Ottenendo un risultato che sembra semplice, Ambrosini nasconde un profondo sforzo di costruzione. In questo senso l'autore, se in passato è apparso a tratti meno compiuto (le note critiche sulle trame), qui riesce a incastrare ogni tassello con un lungo lavoro di cucito certosino: il settore onirico si sposa con amore all'intreccio terreno, stavolta non c'è nulla di appuntabile nel pacchetto finale. Da subito lo scrittore lancia un gioco circolare di corrispondenze (il bimbo si perde sulla spiaggia: l'inizio come la fine, Pierre come Jan, la storia è un anello) inserendo, nell'apertura marittima, un indizio del ritorno finale alla spiaggia. Per il resto, il plot si gioca sostanzialmente su 3 livelli: l'azione presente o presunta tale (soprattutto in luoghi chiusi: il museo, casa di Dix, l'abitacolo dell'auto, il motel ecc.), il reparto onirico che si sfoga in due flashback e pensieri all'infanzia, i momenti rarefatti che illustrano la pittura di Monet. Tutti si compenetrano continuamente e dialogano tra loro. A pag. 99 poi la storia compie un'inversione a U e fa saltare il banco dell'intera serie: appena il giudice Hilman (personaggio edotto e filosofico, ricordarsi l'ispirazione a Durrenmatt) ha finito di teorizzare la fedeltà di Annika, si mostra invece il tradimento che ribalta le sue conclusioni. Da qui parte il detour: una deviazione nel territorio inconscio di Jan che, però, corrisponde esattamente alla realtà (JD: "Questo non è un sogno, è la fine del sogno") e ci conduce alla conclusione della serie e alla realizzazione della concezione dell'autore (JD: "era questa la rivelazione").
LE CITAZIONI
Tantissime, come si confà a un numero celebrativo come questo*. L'autore raccoglie le esperienze precedenti, probabilmente le cose che ama, ne fà tesoro ma attenzione: la ridda di citazioni nulla toglie alla freschezza della storia, anzi si integra con essa, costituendo l'ipotetica evoluzione e sviluppo delle suggestioni che espone. C'è tutta una cultura fumettistica, cinematografica e popolare in sede di costruzione: l'esplorazione dell'adolescenza del protagonista come ne IL LUNGO ADDIO - quasi la stessa fase della vita -, con cui condivide anche la malinconia che deriva della memoria parziale, imperfetta, sbagliata (JD: "E' l'ultima cosa che ricordo); lo sguardo sull'essenza effettiva delle persone, che quindi diventano mostri (es. Bechis/rettile pag. 26, altra cifra dylaniata, vedi I VAMPIRI); l'orrore nel motel piovoso (topos dei topoi), che ci offre i personaggi più ambrosiniani della storia (i killer maldestri, cfr. Napoleone n.1 L'OCCHIO DI VETRO); il finale felliniano, seppure con altra funzione rispetto a La dolce vita. Inutile ricordare che Ambro è dylaniato e ogni suo lavoro, per molti versi, è sempre una continuazione e possibile divagazione sui temi dell'Indagatore dell'incubo (IL GUARDIANO DELLA MEMORIA non contiene forse l'idea onirica che sottende Nap e JD?).
LA CONTRAPPOSIZIONE ANNIKA/MADRE
Uno dei primi spunti della storia, tra i più importanti nella lettura della serie: si rivela la cifra del rapporto Jan/Annika, con cui l'eroe sostituisce il buco affettivo della madre fino, letteralmente, a contrapporne i volti. In una delle trovate psicanalitiche più fini che si ricordino - per la sua classicità (la donna-madre), complessità di costruzione e insieme semplicità di risultato -, su pagina sembra accadere un fenomeno: Annika/madre, nell'atto di morire, diventa "donna per sempre" di Jan (mamma, compagna ecc.), cioè trova spazio nei ricordi proprio al posto della genitrice. Annika è la Donna. Assumendo la dimensione di archetipo, sia per Jan che per i lettori, dunque paradossalmente passa inosservato il clamoroso sdoppiamento del finale (pag. 120-130): Annika, nella stessa unità di luogo e tempo, sulla stessa spiaggia, è SIA la madre di Jan SIA sè stessa da piccola, che si manifesta sottoforma di bimba nell'ultimo, commovente disegno.
IL RUOLO DI MONET
Non è un caso che venga scelto l'autore di Impression, soleil levant (1872): al contrario della vulgata comune, che ipotizza la casualità nella scelta degli artisti abbinati alle storie, questa è sempre stata una decisione ponderata da Ambrosini e oggi non ci sono più dubbi. Il padre impressionista, con la teoria dell'impressione sollevata dal quadro sovracitato, indirizza albo e serie: il discorso sulle "impressioni delle cose" (ampiamente esposto nell'albo) si applica infatti esattamente alla sostanza dell'episodio. Jan ha perso l'impressione della madre e lotta per trattenere quella di Annika, a questo si può ridurre tutta la vicenda. Ancora una volta, intorno al pittore, ruotano diversi modi di concepire l'arte: fonte di denaro per assecondare le proprie ossessioni (madame Hoschedè: i cani "sono bestie molto migliori degli uomini"), uso strumentale per soddisfazione intellettuale e sessuale (Bechis), interesse e passione sincera (Dix: "So che è un grande esperto..."). L'amore genuino per l'universo arte è il vero carattere eroico di JD, che per tutta la serie si trova a respingerne le deviazioni.**
L'ANTIEROE
"So di avere abbastanza trascurato, nella costruzione di questa serie, gli aspetti un po' ammiccanti che possono favorire l'ammirazione e l'identificazione da parte del pubblico" (Ambrosini, pag.4). A pag.n 57 JD rifila un calcio al cane che gli piscia sulla gamba: l'intera pagina è dedicata a questo. Oggi nessuno scrive un fumetto come Ambrosini: il coraggio di questo autore è straordinario, rinnovandosi con trovate sempre nuove, idee avanzate, minuzie quasi impercetttibili che a ben guardare suonano geniali. Il calcio al cane (è solo un esempio) fotografa l'inevitabile flop commerciale della collana: perché non importa DAVVERO compiacere il pubblico, allo scrittore non interessa, la leggibilità , la routine e la ruffianeria sono maschere che si rifiuta di indossare. Risultato? JD va dove gli pare, anche da nessuna parte, non ha una strada tracciata nè una compiutezza interna, ma d'altronde non saprebbe che farsene, essendo la sfumatura, il particolare, le forme nella nebbia (pag. 119) la sua vera ragione di vita. JD è indipendente, si mette in posa solo per scherzo, Karin a pag.37 lo prende in giro: "Sei buffo quando ti metti in posa...".
IL COLPO DA MAESTRO
L'albo ne è pieno, non li cito tutti per motivi di spazio. Tra questi scelgo il mini personaggio di Karin, tra le scene più belle mai viste su fumetto: Ambrosini tratta la sua figura con una destabilizzante "falsa pista" per i lettori (e poi dicono che non sa fare il giallo...). Sinceramente: nel primo giro di sguardi (pag.35) non siamo forse certi che sarà lei la donna di Jan? L'idillio, che prosegue per le pagine successive, è spezzato proprio dalla madre/Annika (non è un caso...), quindi c'è il riflusso del giovane JD che torna verso la bimba (pag.42). Poi riecco Karin nel finale: "Gli ho proposto di venire a fare delle foto con noi... ma non gli interessava" "Quello è un sognatore, sta cercando la sua anima gemella"... Allora non è Karin? No, è Annika, e noi siamo fregati.
LA METAFORA FINALE
La sirena arenata E' Jan Dix e il ruolo di Carlo Ambrosini nel mondo del fumetto. I bagnanti sconcertati si chiedono cosa sia, un animale di grossa taglia, forse uno squalo... invece Ambrosini è una sirena, diverso dagli altri pesci (fumetti), che vive nei fondali (pubblico di nicchia) e, dopo aver realizzato il suo harakiri artistico (il suicidio di Jan) si inabissa di nuovo e torna a nuotare: JD muore, la sua idea di fumetto vive. L'impressione di JD si imprime, monetianamente, verrà ricordata.
I DISEGNI
Eccelsi come sempre. Mi limito a dire che il volto di JD, illustrato anche in maniera molto diversa (cfr. quarta tavola pag.43 - quarta tavola pag.117), qui rende le drammatiche evoluzioni della storia e, volendo azzardare, si riferisce all'aspetto onirico: di fronte a una realtà che cambia, dominata dall'impressione delle cose, di pagina in pagina è diversa anche la faccia del protagonista.
DOMANI
LO SGUARDO CIECO verrà riconosciuto domani. Come tutte le cose troppo nuove, che spiazzano e distruggono certezze, è difficile trovare un pubblico pronto ad accoglierlo: molti i casi nel passato, anche MEMORIE DALL'INVISIBILE nel 1988 non divenne cult nel momento stesso dell'uscita in edicola ma qualche tempo dopo, quando fu compiuta la sua "storicizzazione". Oggi tutti ne riconoscono l'importanza. Sarà così anche per questo albo di JD (per questa serie, vorrei dire: sicuramente altalenante - come tutte le serie -, ma comunque la migliore della scuderia Bonelli) e per l'autore da anni sul tetto della produzione italiana. Ne riparliamo tra dieci anni.
TOTALE
Ambrosini con questo albo si propone di cambiare strada, mostrare un'altra possibilità , dimostrare che nel fumetto le cose non stanno sempre così, possono andare anche in un ALTRO modo. Vuole sfidare il lettore, polverizzando la comoda routine della produzione seriale: vi riesce ampiamente.
Un suicidio magnifico.
VOTO: 10
NOTA
Qualunque mia annotazione va presa con il beneficio di inventario: di fronte a un albo come questo, che contiene potenziale analitico idealmente infinito (ripeto), a ogni riflessione si può aggiungere qualcosa, ogni tesi è smontabile e rimontabile, si può sempre dire altro. Continua...
*Celebra un'idea di fumetto.
**Jan afferma su madame Hoschedè: "Quel che è certo è che ha un brutto carattere" (pag. 60): questa antipatia, che non sembra narrativamente giustificata, in realtà è dovuta alle due concezioni opposte dell'arte (passione - denaro) che inevitabilmente si scontrano.