D'accordo sulla parte iniziale del tuo dioscorso, Triss.
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(...)
Accetto il punto sulla diversità di approcci, ma non una preferenza per il realismo di Castelli. Questo,ripeto, indipendentemente se egli abbia o meno inserito tutto quanto sé stesso nell'opera molto più di Sclavi.
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Questo è naturale; come già detto in precedenza, a un certo livello la discriminante torna il gusto personale, che è sempre dettato da una sensibilità personale. E ripropongo il simbolismo astronomico per descrivere i due: il sole Castelli e la luna Sclavi.
Le ragioni del maggior successo commerciale di un fumetto (un film, un libro ecc.) non sono mai riassumibili in una, però per Dylan Dog è stato molto importante il suo pescare a piene mani nella cultura popolare e rielaborarla: Sclavi parlava un linguaggio comune a un numero potenzialmente vasto di lettori (le circa 500 mila copie raggiunte lo testimoniano), porgeva ai suoi lettori se stesso (e disagi che spesso loro ben conoscevano) attraverso questo filtro che fungeva da porta di comunicazione tra le loro sensibilità e creava un universo condivisibile. Paradossalmente, Sclavi più si chiude personalmente più si apre narrativamente. In Dylan Dog, poi, gli elementi di continuity sono labili, e la continuity è generalmente un ostacolo al successo su vasta scala.
Castelli popolarizza un materiale narrativo che invece popolare non è, né può essere reso accessibile più di tanto; affronta temi che di partenza hanno una platea meno vasta (ed è naturale che sia così). Ma soprattutto Martin Mystère non è un personaggio simbolico, un costrutto narrativo nel quale potersi identificare o proiettare sogni e aspirazioni, incubi e paure. Il personaggio non funge da filtro ? non in modo subitaneo ? perché ha un carapace molto duro da perforare, al di sotto del quale non vi è un mondo di simboli riconoscibili, ma un modo di rapportarsi alla realtà e inglobarla in sé, un modo che si deve sentire proprio per entrare in profondità. Cambiando metafora: Sclavi mostra la sintesi, Castelli l?analisi.
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1- Il successo di DD ha chiaramente delineato e consacrato il gusto artistico e culturale di un'epoca in crisi, essendo stato il prediletto da ogni fascia sociale.
2- Il successo di DD ha di riflesso aumentato la notorietà delle altre produzioni Bonelli, ed è quindi in questo frangente che molti fumetti sono potuti nascere o ri-nascere.
3- A questo ha fatto seguito che molte testate si sbriciolassero sotto i colpi di una mutazione camaleontica del fumetto italiano. (?)
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Se sono in sostanziale accordo con i primi due punti, dissento dal terzo.
DD non ha affossato alcuna testata, se non forse i suoi vari cloni (tipo Demon Hunter) nati sull?onda del suo successo e rapidamente esauritisi nello sbatter di ciglia della moda.
Nel quinquennio successivo al suo arrivo e seguente affermazione in edicola, il fumetto ?popolare? beneficia di un clima euforico e di buonissime vendite, che in Bonelli (limitiamoci alla SBE) culmina con la decisione di pubblicare Nathan Never, portando un altro grande filone narrativo nell?alveo della casa editrice. Anche NN sarà un eccellente successo di vendite. Poco prima della metà degli anni ?90 la situazione appare floridissima, poi qualcosa cambia, e DD è parte importante di questo cambiamento, ma non il motore: è il fatalismo di Sergio Bonelli, che si è sempre accompagnato ad una sana propensione a innovare la tradizione fumettistica, a prendere ora il sopravvento. Entrano in crisi i suoi due autori più strategici, Nizzi e Sclavi, e sostanzialmente non fa nulla per disinnescare il pericolo di questo fatto, accettato come fosse un evento della natura. Tex e Dylan Dog sopravvivono sugli exploit personali di autori di buona volontà, e per il resto imboccano una spirale discendente di vendite che non si arresta (e, nel permanere dell?immobilismo, temo non si arresterà). Tutte le altre testate seguiranno più o meno la medesima china, per gli stessi motivi, e per loro specifici. Nathan Never si avvilupperà sempre più in una continuity contorta e via via più banale, e la crisi del suo curatore Serra innesca un caos redazionale tutt?ora irrisolto; Mister No viene abbandonato a se stesso dal fatalismo di Bonelli, per il quale la testata avrebbe esaurito ogni cosa da dire; Martin Mystère viene affossato dal cosiddetto periodo dei ?Mysteri Italiani?, con una successione di storie sempre meno interessanti, e poi subentra una stanchezza creativa di Castelli e l?inadeguatezza di alcuni sostituti (Morales e Beretta sono troppo poco prolifici per ovviare al problema); Zagor vince alla lotteria Boselli e Burattini, due autori che lo rinnovano e tonificano, ma non prima che la gestione Toninelli abbia causato una drastica perdita di lettori, perduti per sempre a quanto pare.
La crisi è in primo luogo imprenditoriale ? non solo di Bonelli, tra l?altro: basta vedere Max Bunker - e poi autoriale (di molti autori), e non viene risolta dalla nascita delle moltissime testate sorte nella seconda metà dei ?90 e poi nel nuovo millennio, alcune semplicemente ottime, ma che non diventano dei grandi successi popolari come Tex e DD.
Questo semplificando, estremizzando e banalizzando anche un po?, però credo sia una ricostruzione schematica abbastanza buona della crisi bonelliana.
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Ecco il perché io affermo che l'incisività culturale di Dylan è stata senz'altro superiore a quella di MM checché se ne possa dire.
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Questo è palese, è una questione di numeri.
V.
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