<b>Le morti bianche</b>
S
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L
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Riconsiderando la storia nel suo complesso, mi sembra che anche qui si possa in qualche modo applicare il concetto, evocato da Dario (la cui analisi della storia di Bilotta, per quel che vale, reputo ottima), di concatenazione univoca quantomeno di molti degli eventi essenziali, con un effetto sfaldante. Larson, nel momento in cui sta per essere schiacciato dalla pressa, fa a tem-po a mettere <i>soltanto</i> la mano fuori e a perdere la chiave che stringe in mano*; Dylan la ritrova e se ne fa spiegare il funzionamento da Straczynski ? peraltro reso più malleabile nei suoi confronti giacché ne ha preso le difese con Loeb ?, così da sospettare un sabotaggio e in-dustriarsi per risalire a chi avesse mano alla pressa idraulica. L?invito a non sdegnarsi e appro-fondirsi più di tanto sulla morte di Larson serve a introdurre il racconto sulla morte di Goodman (pp. 24-25: una delle trovate peggiori, che già dai prodromi della storia scopre una carta essenziale); racconto che a sua volta ha anche la funzione di rendere perspicuo l?atteggiamento di Straczynski. Da una frase di Dylan (?? Non saprei neppure dirti che cosa esattamente pro-duciamo noi qui?: ultima vignetta di p. 56) si accende la lampadina in Roy Bendis; questi entra nei magazzini della fabbrica, si rende conto che quanto fabbricato viene fuso e rimesso in circolo come materiale di produzione e, dunque, dell?inanità di tanto lavoro, perdendo il controllo; tutto ciò, a sua volta, serve a imbeccare Dylan, portandolo alla verità. Una verità propinata attraverso il più classico degli spiegoni (com?è riconosciuto d?altronde dallo stesso sceneggiatore: ?Ora che, <i>come da tradizione</i>, abbiamo soddisfatto la tua curiosità? ?: prima vignetta di p. 92). Peraltro ? parentesi grossa come una casa ? possibile che <i>nessuno</i>, nonostante la poca propensione generale degli operai a porsi domande, abbia maturato la riflessione suggerita a Bendis da Dylan o notato l?assenza di camion che entrano ed escono (cf. terza vignetta di p. 78), come dovrebbe essere all?ordine del giorno in una fabbrica?
Altra caratteristica dell?impalcatura sceneggiatoria è la ripetizione di uno schema piuttosto fisso, prevedente l?alternanza (e talora il reciproco intreccio) di piccoli passi avanti nella storia e introduzione di personaggi, che poi man mano agiscono uno alla volta: a) morte di Larson; b) prima presentazione dei principali attori sulla scena, con abbozzo delle loro caratteristiche peculiari (pp. 10-19); c) ritrovamento della chiave, presentazione della storia di Goodman, con qualche ulteriore tocco di caratterizzazione dei personaggi, e scoperta della funzione della sud-detta chiave (pp. 20-31); d) maggiore attenzione su Straczinsky e retorica, ulteriore sottolineatura della sua pavidità (pp. 32-37); e) sfida tra Dylan e Brian ? che fornisce il pretesto affinché Loeb si tenga distante dal suo ufficio e al contempo la manifestazione più lampante della sua disumanità (pp. 43-47) ? cui segue il recupero, tra qualche difficoltà, delle informazioni necessarie a Rosy e Dylan (pp. 48-53); f) dialogo tra Dylan e Bendis, da cui emerge una defi-nizione più netta del personaggio, al quale viene messa la c.d. pulce nell?orecchio (pp. 54-57), e susseguente morte di Loeb, la cui personalità vien ora fuori con chiarezza (pp. 58-61); g) giunge quindi il turno di Bendis, sconvolto per aver visto ?la verità?; h) dopo un assai poco convincente e radicale cambio d?atteggiamento di Rosy (nel giro di appena quattro tavole), che già fa presagire un altro elemento del futuro sviluppo della vicenda, è in scena la signora Morrison, la cui ragion d?essere pare esclusivamente quella di consentire a Dylan di intrufolarsi nuovamente nella fabbrica (pp. 74-79); i) infine il confronto finale, segnato dalla scoperta della regia occulta di Goodman e dal tradimento di Rosy (wow!) e risolto sbrigativamente dopo lo spiegone, con chiusa à la <i>Gattopardo</i>.
Non che una simile struttura così marcatamente ?a livelli successivi? sia di per sé un disvalore, ma unitamente ad altri difetti mi ha reso noiosa la lettura. Penso soprattutto ai dialoghi in genere molto poco fluidi e ricchi di retorica da manuale, ai personaggi o sfaccettati non più di un poligono o risolti in mere comparse, ad alcuni dettagli che mi lasciano perplessa: oltre ai dubbi già espressi, il fatto che, ad esempio, si dica che l?attacco di cuore di Straczinsy** l?ha colto nella notte (p. 38), mentre segue il colloquio con Dylan, avvenuto naturalmente in orario di lavoro; anche in questo caso, inoltre, nessuno se ne rende conto, eppure la fabbrica non avrebbe dovuto essere deserta; ma ancor di più la scena della sfida stile <i>Cavalleria rusticana</i> organizzata da Loeb, veramente eccessiva, per quanta perfidia si voglia riconoscere al personaggio. Non ho conoscenza dall?interno del mondo delle fabbriche, ma questa rappresentazione che Gualdoni ne dà mi sembra molto ?stilizzata? e retriva. Almeno spero.
Resta uno spunto di base interessante e, soprattutto, la volontà di tradurlo in narrazione ?robusta?, senza contentarsi di spargere scene sconnesse legate a una tenue idea di fondo. Ma l?insieme non mi ha entusiasmato, complici certo anche i disegni.
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<font size="1">*Volendo essere piucchepignoli, al di là del fatto che sarebbe stato più logico avere entrambe le mani libere per riparare il macchinario, per come la scena è stata rappresentata ci si aspet-terebbe restasse tranciata anche parte delle gambe. Ma forse sconfino in una sorta di ?iperrealismo interpetativo?.
**Resta in realtà una delle scene più riuscite, e ancor meglio avrebbe funzionato, a mio avviso, se non fosse stata rovinata dalle pletoriche riflessioni che chiudono p. 36.</font id="size1">
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