Luci, soffuse ma con brillante classe, da parte di
Dossena che rilascia una prova di calibro superiore per la gioia di diversi occhi puntati sulla ribalta di questo CF. Favoloso e fabuleggiante sotto diversi punti di vista, anche se a mio gusto il top è rappresentato dalla prima storia, tra
Roi e
Tim Burton. Bene anche il minimalismo delle terza; la seconda si assesta a mezza via in questo senso...
Ombre sbiadite ed allungate sulla capacità degli autori coinvolti ai testi di scrivere mezza storia vagamente interessante in quella trentina di pagine a disposizione. Nessuno di loro mi ha convinto, e non convincerei nessuno ad acquistare l'albo se al posto di Dossena (v. sopra) il lato grafico fosse spettato a qualcun altro. Per un motivo o per un altro tutti e tre gli autori dei testi fanno una fatica cagna ad avanzare un'idea, e quando ce l'hanno ruotano SOLO SU QUELLA, senza pensare al resto, dal lato narrativo. Davvero, gente che dovrebbe rileggersi stile mantra pilastri come
La Cantina, La Bambina, Il Ritorno del Vampiro per capire come s'imposta una storia dylaniata breve ed incisiva
.
Copertina che non rende onore al resto. Colorazione (per affinità?) monotona, per quanto le storie vertano sul mono-concept cromatico del rosso come clou, anche simbolico: quasi non si nota che gli addetti alla colorazione sono tre autori differenti
.
Voto complessivo 6 e non oltre.
[...]
Qualcosa di rossoQualcosa mi dice che dovrei arrossire a lamentarmi di un "finale aperto", ma qua la storia sembra semplicemente INCOMPLETA. Mozza all'origine; con quel Dylan che dice di presentire il classico "
particolare che mi sfugge" (pp.27-28) e noi non sapremo mai di cosa si tratta. Ellitticismo da approssimazione lacunosa più che altro.
Bah, peccato... perché l'atmosfera gotico-satanica c'era - complice Dossena sontuoso - l'incisione medievale stuzzicava, il rosso dei quattro elementi diabolici transfughi anche, ma già quando si ricorre ad un colpo di pistola (p.22) per estinguere una macchia d'inchiostro assassina col falcetto, si capisce che
Nucci oltre all'atmosfera non sa dove andare a parare per uscirsene narrativamente dal setting creato. Una parabola ellittica che mette in tavola diversi ingredienti per poi digiunarci sopra
.
Rossa è la terra ...ma preferisco l'erba o il veloce, direbbe Djokovic. Io invece, ma giusto di un pelo, forse preferisco la lacunosità di Nucci rispetto alla prolissaggine ossessiva di
Rossi-Endrighi, che rilancia da pallettaro sempre lo stesso ritornello tematico in queste 32 pagine, con Dylan che poi ci si mette pure capo&piedi in prima persona, passionatamente, a rifrullarci sopra fino a sbattere contro la rete. Insostenibile alla lunga, a mio parere.
Banali le metafore, banali le introspezioni (v. meta-apparizione di Groucho&Bloch), banale la risoluzione (un colpo alla testa e via) con la poesiola a corredo per-chi-non-avesse-capito.
Invece di approfondire i rapporti fratello-sorella o defunto-defunta, in pratica tutto si focalizza ego(t)isticamente su una rivampata di fiamma post-mortem del nostro, che si re-infatua ossessivamente della Euridice/Berenice di turno, ed INSISTE didascalia su didascalia ad ammorbarci dei dettagli di ciò, dal melò mieloso al compulsivo patetico... cospargendosi di un alone (oltre alla cenere) da filmetto con Accorsi protagonista, che si compiace dei suoi pseudo-innamoramenti per atteggiarsi da esagitato afflitto.
Tolto questo la storia non sussiste di nulla. E nel nulla dell'oblio tornerà, senza che nessuno la rievochi a memoria, come la lezioncina che vorrebbe darci.
Pace sia alla terra, come agli scaffali
Rosso dispera ... e Beltempo si spara, dopo quella sera? Mi ricorda per assonanza una vecchia barzelletta (v. finale) forse prounciata pure da Groucho secoli orsono, su un tale ed una promessa di matrimonio andata male.
In questo senso l'ironia cinica di
Cajelli almeno mi risulta apprezzabile ed un po' di mestiere in più dylaniato si nota rispetto ai due autori precedenti. Ma anche qui, come in Rossi-Endrighi, si torna ossessivamente su un singolo concetto (l'auto-svilimento depressivo, fino al disperato annichilimento antisociale), con l'infida creaturina poliposa che ritorna sempre sulle stesse cose, come un famiglio gelosone a cui viene dato troppo fiato nel sussurrare cattiverie incancrenite, che risultano spesso solo corollari del medesimo discorso.
Dylan qui costituisce la variabile scardinante coi suoi modi naif e spiazzanti per Gloria: mi è piaciuto l'incipit del parco, lo scambio con Groucho e l'assenza di frasi storiche... ma trovo parecchio senza gloria (solito abbraccio post-pasticche + lotta metaforica col mostriciazzo) il modo in cui sennesce da questa faccenda.
Spero che il giorno dopo non prepari amorevolmente per la tizia un
bento con questo ingrediente