Scusate se interrompo questo interessantissimo dissing, ma è un argomento che mi appassiona molto.
Parto ricollegandomi a un post di Valla sul topic dell'ultimo albo. Per me, e sottolineo mille volte il
per me, è un errore credere che esista formula predeterminata per scrivere una "buona storia". Già solo definire cosa sia una buona storia è assurdamente complesso. Non mi metto a fare l'elenco dei grandissimi fumettisti, alcuni nemmeno recenti, che hanno brillato grazie a un modo non-lineare di raccontare storie; lasciamo perdere Moebius, Pazienza, Ware e quant'altri, se ci mettiamo col bilancino a pesare tutte le contraddizioni dei celebrati primi cento (meravigliosi) albi di Dylan Dog saltano fuori certe perle
Sono anche abbastanza in disaccordo con l'idea che basti scrivere una storia lineare senza buchi di trama per ottenere una storia leggibile: il mondo è pieno di mediocrate che personalmente trovo illeggibili. Passando un attimo dal generale al particolare, Valla elenca anche tre elementi basilari su cui devono poggiare le storie di Dylan Dog: l'indagine, lo splatter, il soprannaturale.
A parer mio non sono questi gli elementi fondamentali che servono a fare una buona storia di Dylan Dog. Lo splatter e il mistero, per quanto apprezzabili, non sono secondo me ingredienti irrinunciabili di Dylan Dog, l'indagine meno che mai: abbiamo avuto forse centinaia di storie di Dyd che spregiativamente abbiamo definito sulle pagine di questo stesso forum "gialletti soprannaturali", all'idea di leggere un altro Polvere di stelle, Il bacio della vipera, La donna urlante, Medusa, La decima vittima, mi viene voglia di evirarmi a colpi di machete senza filo. E' stato proprio il voler normalizzare Dylan trasformandolo in un Tex dell'occulto che si è ucciso il personaggio: lo si è fatto portando in edicola storie dignitose ma completamente prive di ambizione e di quella indefinibile scintilla che ha reso grandi il personaggio e il suo mondo.
Anche sulle caratteristiche di Dylan come personaggio ci sarebbe tantissimo da dire, perché insomma... Dylan come personaggio non esiste. In un albo è un fragile e tenero gigione, in un altro è James Bond in maggiolone. Fa parte del fascino dei mitici primi cento. Fino agli anni 90 il fumetto periodico da edicola è andato avanti secondo la formula "Una storia, un universo". Questo permetteva ai personaggi di rinnovarsi costantemente consentendo anche al lettore casual di sentirsi libero di seguire la testata partendo dal punto che preferiva. D'altronde anche Eco nel suo Apocalittici e integrati citava l'assenza di continuity di Superman come uno dei suoi pregi assoluti: sia per i motivi che ho già elencato sia perché la continuità fra le storie avrebbe stressato eccessivamente la sospensione d'incredulità del lettore. Oggi però l'idea di un fumetto completamente privo di continuità progressiva è purtroppo irricevibile sia da un punto di vista artistico sia da quello commerciale. Cristallizzare Dylan gli ha impedito col tempo di crescere e di andare incontro al gusto dei nuovi lettori. Per questo ritengo che tornare indietro sia un errore: non solo DYD poteva ma
doveva cambiare, di più e meglio di come si è fatto.
In un altro post Dear Boy scriveva: "Le storie della golden age non sono invecchiate di un giorno per quanto erano moderne nella narrazione". Vero: ma Sclavi aveva una grazia nella scrittura, una brillantezza indefinibile e irreplicabile da cui non possiamo ripartire senza una macchina che ci dia accesso al suo cervello degli anni '80. Lo stesso Sclavi di oggi, arrugginito a dire poco, quando ha avuto la possibilità di rientrare dalla finestra nell'universo narrativo che ha creato ha prodotto I racconti di domani, una roba del tutto fuori tempo massimo ad essere buoni.
La strada giusta era quella presa da Bilotta: tradire il personaggio rinnovando il suo mondo, e poco conta che il Dylan di Bilotta sia di fatto un personaggio meno fresco e originale di quello da cui è derivato; poco conta anche che dopo la mitica trilogia zombie di Romero nessuno sia riuscito a fare di più e meglio con gli stessi elementi a disposizione. Ciò che rende (rendeva) il Dylan di Bilotta interessante era la personalità dell'autore che traspariva dalle pagine, quel je ne sais quoi che ritroviamo anche nelle migliori storie di Medda, di Ambrosini, dello stesso Recchioni. Bloccare il personaggio all'interno di una formula da cui non uscire mai è proprio ciò che a suo tempo ha decretato la morte della testata.