Non voglio cominciare coi soliti e filobuonisti preamboli da politically correct per bypassare la (mesta) verità delle cose a pelle (e palle, girate): quando sul tamburino mi vedo associata la premiata ditta Marzano&Cossu – complici i recenti exploit tra scippatori di cervelletti e clientele incartapecorite – qualcosa comincia a tremarmi ben più sotto dei polsi, e lo stomaco si predispone a dei passaggi sofferti
.
E’ l’istinto di auto-conservazione e sopportazione, un’azione di riflesso…nuncepossoffagniente. Partire pre-venuti nel
judicium preacox, e pre-muniti nel difendersi dalle baggianate scroscianti può solo ajutare nel non farsi rosolare da una cocente delusione ben (im)prevista.
Questo non significa che poi dispiacerebbe doversi ricredere e trovarsi contraddetti dalla realtà delle cose…anzi, a conti fatti, sbagliarsi in casi simili è una manna come poche…. un surplus di fortuita goduria su cui non avresti puntato un decimo, come quando alla cassa scopri di aver vinto un set di mozzarelle di bufala extra e ti è appena passata l’intolleranza al latte
.
Quindi, al pataccone ero bello che preparato, ma ancora una volta sono stato spiazzato dall’ardimentosa sfacciataggine con cui questo scrigno di meravigliose pagine sia stato propinato, senza rispetto per il 99% dei lettori che ci sono inciampati dentro.
Stupefacente come ci si possa ancora superare escogitando sempre nuove dabbenaggini per rattoppare un prodotto di fresco consumo ma consumata (a)ri-cottura. In questo c’è del talento, non c’è dubbio…anche se del tipo di cui si gioverebbero senz’altro più Gerry Scotti & Maria De Filippi per le loro baracconate
.
OK, adesso passiamo al bisturi/temperino per sezionare piallando il cadavere di questo baule di discutibile falegnameria giavanese. Avanzerà molta segatura, temo.
SPOILER – SPOILER – SPOILER – SPOILER – SPOILER Si comincia di gran carriera con un incoraggiante Horror Club che praticamente spiega tutto la storia, in anteprima, nel caso (improbabile) che qualcuno si perda durante la sua “complessissima” lettura. Per le prossime letture di questo calibro è previsto un opuscolo integrativo che racconta trama&retroscena dei vari
director’s cut in formato SMS, con annessa l’interpretazione/esegesi ufficiale fornita dal ragazzo che consegna il caffè in redazione
La storia prende il volo – economy, credo – con un (quasi) inutile sperpero di vignette per metter in scena il poco più che banale infarto da viaggio dello scorbutico signor Hankock. Lo dice anche il medico (p. 11.v), ma detto da lui suona un po’ (deontologicamente) carognesco e poco rispettoso. Spero gli capiti una morte non-banale, colpito da un asteroide mentre sta firmando il suo contratto di promozione
.
Salvo solo lo scambio di insulti non tradotti per sbeffeggiare il nostro collezionista, mentre per il resto la pedanteria forzosa di alcuni passaggi sprofonda a vista nel riempitivo: a che servivano tutte quei dettagli sulle manovre, le comunicazioni dalla torre di controllo, i carrelli per i bagagli, etc…??? A questo punto si poteva metter anche il controllo dei passaporti, le grane al check-in, i palpeggiamenti al detector – ma c’era nei 50s? – ed allora l’orrore da paranoja aeroportuale era completo
.
Cossu non ajuta ad allungare il brodino con una serie di anonime vignette rigorosamente “in bianco” - regime ospedaliero da carenza di china – e davvero superflue per la ripetitività non richiesta (v. aereo siamese p. 10.iii e 11.iii…ma la Thailandia , si sa, non è lontana da Giava)
Il pallore domina incontrastato anche nella vignette dedicate a Londra subito dopo – se non fosse per il chiodo di Bryce e poco altro. Ed ecco che Dylan cuore-d’oro va ad assister con una bellàfica ad una benéfica asta – ehhmm, si dice “incanto” (p. 13.iii) ,
by Jove, siamo sempre sudditi di sua Maestà la Buzzicona - con tanto di (mio)cugggino fessacchiotto e stiloso somigliante a Lapo El-kann (per l’aja, e forse anche per Bruxelles un giorno come Europarlamentare, ahimè) che si ritrova in casa una bella ciofeca di baule per la modica cifra di 10.000£ grazie ad una gag degna del miglior vanzinismo griffato. D’altronde il saluto con la mano sinistra alzata crea spesso scompensi nei paesi privi di memoria post-fascista.
Strano che non ne faccia una tragedia di questo affarone, visto che oltre che sfigato è anche squattrinato…ed oltre ad una casa non possieda nulla…ma questo lo scopriremo più tardi. Resta il fatto che l’investimento sul mattone rimane sempre un bene rifugio, specie quando per le aste non sei portato
.
Eppure, questa parte non è poi così malvagia, perché i dialoghi sono abbastanza vivaci (
ma non troppo...
musica maestro!) ed il ritmo discreto. Peccato soltanto per l'insopportabile sbucare di futili e compassati fuori -campo tipo “Più tardi” (p. 18.i ) e “Il giorno dopo” (p. 19.i) che sfrullano i tempi (e la presa) della sceneggiatura sulla falsariga di una tiepida favoletta o di un report giornalistico. Perché non aggiungere anche l’orario cronometrico dal fuso di Greenwich, e le coordinate da longo-latitido a questo punto
Maestri della sceneggiatura come Sclavi ed il Chiave evitavano queste sottili goffaggini staccando con vignette di paesaggi urbani o improvvisi break…ma qui avevamo bisogno di informazioni fondamentali…per il referto da dare all’assicurazione, forse
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C’è di buono che non se ne farà più uso per il resto della storia, nonostante diversi sbalzi spazio-temporali.
Noto con piacere che Marzano prosegue con la sua infatuazione narrativa per la categoria dei vari corrieri, portantini e scaricatori…arrivando alla terza coppia nel giro di una dozzina di pagine, e concedendogli un numero di baloon/ vignette spropositato vista la loro pseudo-importanza al ribasso. Stavolta il duo si rivela alquanto venale, lasciando intuire qualche personale avversione/precedente ostile dello sceneggiatore contro il personale UPS, DHL, TNT…o qualche traslocatore furbetto in cerca di mance spropositate
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L’omicidio duplice della coppia di vicini – caratterizzati in modo simpatico e retrodylaniano, v.
Maelstrom – si lascia godere senza strafare, anche perché nelle corde di Cossu in casi come questo non traspira mai l’orrore espressivo della tensione o del delirio sanguino
Lento: solo qualche coltellata di routine, tanto bianco, azione legnosa, faccette candide e serene come ad un barbeque…più un retrogusto paradossale rilasciato dai discorsi farneticanti di Ronnie…che mi ricorda, moooolto vagamente, scene simili di ironici omicidi spennellati in “
Risvegli” dallo stesso sardo.
La vignetta (presunto clou) coi tre cadaveri finali (p. 28.iii) disposti come in una prospettiva da III° Liceo Scientifico lascia allibiti per la faciloneria aggravata
Fine dell’antefatto propulsivo; adesso Dylan scende in campo. E come? Creandosi un partito? Non ancora, è sufficiente la visita di prassi da Bloch – a cui dà “verosimilmente” del cinico fingendo uno stupore senza capo né coda (p. 30.ii) – una passeggiatina al cimitero deserto, ed un salto presso un vero mostro sanguinario di questi tempi: il commercialista/notajo. Da notare che sia questo che quello successivo dagli anni 50s, a cui si rivolgono gli Hankcock (p. 92 i-ii), ha il vizietto di esitare tossicchiano quando si tratta di ammettere che i suoi defunti (ex)clienti avevano un pessimo fiuto per gli affari da collezionismo.
Poi, visti i rincari sui traslochi e la svalutazione edilizia sulle ville dei killer, Bryce pensa bene di piazzarsi a casa di Ronnie, e chiede a Dylan di sgobbare al suo posto per spostare quella patacca di baule che adesso trova contrario a qualsiasi senso estetico.
Persino Dylan le fa notare come abbia cambiato idea rispetto a quanto espresso sullo stesso aggeggio durante l’asta (pp. 15.vi; 16.iii)…ma Marzano pensa bene di cavarsela con una battuta (originale…eh
) sulla volubilità fluida dei gusti femminili, senza sapere che nel frattempo Bryce s’era abbonata ad una rivista d’arredamento alternativo, ed aveva cominciato a farsi un’idea del ciarpame spacciato come tale. Resta un mistero il perché Marzano abbia inserito questo scambio/sciocchezzeria gratuita, visto che non si tratta neanche di una svista…che forse era più giustificabile, nella dinamica di scrittura. Mah…
Il quinto senso e mezzo (stordito) di Dylan solleticando pre-sente che qualcosa non va bene nel baule (oltre al pugno nell’occhio estetico), lo vede aprirsi come per meraviglia…e che fa? Comincia ad indagare e/o preoccuparsi? Non proprio: preferisce farsi spupazzare dalla tipa di turno - lo capisco, è davvero carina…e poi ho un debole per le fanciulle albioniche con le lentiggini – che lo trascina a “far altro” con una convincente prepotenza
. Almeno lui non va in bianco, a differenza di Cossu che continua a lampeggiare nei vuoti e nella carenza di dettagli.
Le sequenza del party-saltato/sfigato scorre senza intoppi o sbavature, e devo dire che non mi è dispiaciuto il personaggio di Goldie, in quanto diversamente magra, diversamente ironica – una delle poche in questa serie a ridere delle battute di Groucho – e diversamente erotica, pensando di metter le zampe sulle carni ardenti del nostro baffo
. Un po’ telefonato il suo ricordo sgradevole d’infanzia, meno il rimpicciolimento della camera (o re-impinguamento di sé) stile
Alice in Wonderland – cameo dal titolo? – che mi è piaciuto specie per la vignetta dell’occhio/viso fuori scala che sbuca dietro la porta (p. 46.iii) come se stesse sbirciando da/in una casa di bambole.
Le battutacce dei portantini da ambulanza – e siamo alla 4a coppia! – sono cinicamente spassose, ma fa benissimo Groucho a fulminarli con un’impennata di personalità niente male, come capitano di rado nelle sue ultime performances
A questo punto Cossu ringiovanisce una Bryce struccata e seminuda post-sfregolamento – imparate donne, così si preserva la naturale eterna giovinezza – per consegnarla di peso nelle grinfie/assi legnose del baule, a suon di ratti e scolopendre in disordine (neanche tanto) sparso . Dylan tenta di salvarla nel parapiglia brulicante, anche con un martello, …ma come falegname non sembra aver grandi prospettive. Invece di affrontare direttamente l’arcano del baule, con la sua esperienza dell’incubo, pensa bene di consegnarlo agli esperti stregoni di Scotland Yard per un’erudita consulenza stile Giacobbo/Jenkins sui bauli indonesiani incantati, e Bloch sembra quasi reggergli il gioco…invece che mandarlo al paese dove meriterebbe
.
Per sua fortuna, comunque, Bryce riapparirà miracolosamente senza una spiegazione poco dopo, tentando di strozzarlo come benvenuto…anche questo senza una spiegazione, a parte l’ipotesi di uno scatto d’ira per non averle portato neanche nu pajo di jeans & nà majetta di ricambio per uscire dal commissariato in condizioni decenti.
Probabile anche che non l’abbia riconosciuto, visto che un Dylan che si fionda in camera d’ospedale lanciandosi con un (sit-comico) “Sono qui, tesoro” (p. 64.ii) è davvero irriconoscibile.
L’Old boy abbozza un’infarinata di indagini bazzicando prima dal solito vecchietto marzanico che si lamenta dei tempi che furono davanti ad un PC
, e poi dai non-giovani Hankock ancora in vita. Suona molto strano che un bagaglio/ collo non reclamato possa sostare ad Heathrow per ben 50anni tranquillo tranquillo come nulla fosse, ma forse l’autore non ha conoscenza dei ladrocini compiuti del personale di Fiumicino, dove hanno trafugato anche le bombe di AlQaeda, durante i rovistamenti abusivi dei bagagli.
Visto che le indagini non hanno fruttato molto – neanche un the da quei pidocchiosi degli Hankock!
– finalmente Dylan si decide ad affrontare a muso duro il baule di persona.
Se fino ad ora la storia si era svolta su cadenze da indagine horror di routine, da qui in poi Marzano sembra volerci regalare un viaggio verso i territori inesplorati ed assurdi del nonsense fantastico, ma questa svolta dura soltanto una manciata di pagine buttate lì a livello puramente decorativo, che con la storia non c’entrano nulla, né vi aggiungono altro. Un abbaglio puro, messo per dare un tono più magicizzante&estroso all’albo, che si perde nella sua stessa pretestuosità quando poche pagine avanti la storia ci viene (ahinoi) svelata per intero. Omaggio allo Sclavi di
Zed et similia…o posticcio rigurgito riempitivo? A voi la scelta…
Non bastano comunque un gioco di scatole (indo)cinesi in scala (pp. 70-71), un demone goffamente ridicolo (ma qui la colpa è da condividere con Cossu) a metà strada tra un Oni nipponico – quelli di
Lamù, per intenderci – un ciclope ebete ed un fauno capresco
***, più un fantasma cuggginesco di sabbia destinata a farsi “mobile” e risucchiante, per echeggiare quel tipo di tagli narrativi surreali de navorta
.
Il flashback nei gloriosi 50s a Giakarta fa un po’ di chiarezza, se non altro nel tracciare il profilo di un vecchio Hankock boccalone e truffato a ripetizione, mentre la storiella zoppicante del Re Pakong sbrodola (volontariamente?) nell’autoironia, essendo chiaramente uno spento pataccone rifilato sull’unghia al gonzo/cliente dell’ultim’ora per adescarlo nel mito di bassa tacca.
Marzano ritorna sul personaggio del rigattiere/antiquario canaglissimo dopo avercene già dato un assaggio in
La nave nera …ma lì era per giunta ‘anfamone ed appuntito alla Shylock. Evidentemente si va di pallino in pallino…fino a finirci (noi) impallinati.
Fuori fase l’appello di Dylan ad Hankcock per farlo desistere (“Ne va della vostra vita…” p. 83.iv), quando il realtà la sua morte ordinaria non è connessa a nessuna maledizione derivante dal baule. Ma il peggiore baule si deve ancora scoperchiare, con le sue (penose) sorprese…
Fin qui (p. 87) la storia non mi era del tutto dispiaciuta, e si assestava intorno ad un
5 1/2 bello che abbondante (nonostante tutti i difetti ed ingenuità di contorno), soprattutto grazie alla sceneggiatura quasi dinamica, i dialoghi abbastanza spigliati, quel po’ di ironia in circolo, ed un Dylan non troppo
OutOfCharacter.
Anche il motivetto sottotraccia (e depistante) dell’occhio ciclopico non mi era dispiaciuto, presente in primo piano in diverse vignette (pp. 46.i; 54.ii; 72.ii) oltre che sul solito buale.
Ma lo spiegonzolone finale ha il potere di mandare tutto a gambe all’aria in modo sciagurato. Meglio chiudere prima tutta la baracca, piuttosto che raccapezzarsi per lo strarotto della cuffia (da nonnetta) con una ricostruzione “logica” frettolosa e scadente, nonché offensiva nei confronti di qualsiasi lettore over11, come quella rifilata qui
.
A parte la tardiva presa di coscienza del pericolo-baule da parte delle decrepita nonna-Hankock – davvero poco credibile nel complesso – tutta la storia della maledizione sembra raffazzonata in modo penoso per affibbiare una parvenza di senso all’albo, quando invece finisce per renderlo ancora più sgangheratamente fasullo in premesse e conseguenze. Non un
divertissment ardito né una presa in giro del lettore, ma un patetico tentativo di tamponare le carenze nel soggetto con un colpo di mano (narrativo) da pennajolo a corto di idee, intento a camuffare cialtronescamente l’assenza di una base solida a tutta questa storia…scritta probabilmente cominciando dall’inizio – cosa non sempre consigliabile, in termini di soggetto/sceneggiatura – e poi scivolata nel panico verso la conclusione incombente col tipico <<
E mo’ come me ne esco ? >>
Arieccoci quindi a scomodare all’ultimo minuto archetipi astratti e/o figurati come la forza dell’Odio e quella del Perdono, buttati lì semplicisticamente alla menopeggio per giustificare in 4e4=8 una forma di jattura da Mago Oronzo, con subitaneo e conseguente annullamento dei suoi nefandi esiti…con la sola imposizione delle mani (
awè, posso ungervi…), senza far un colpo di telefono a quell’altra carampana del Trelkovsky, o all’insopportabile nanetto McLaudatosia (fffiuuu, pericolo scampato ) per un’allegra merenda geriatrico-mistica.
Non c’è nulla che collega le modalità delle morti, né dei diversi “poteri” del baule, tirati via con lo sputo per puro (ori)sfizio
Tanta sciatteria aggravata può contare impunemente solo sul lettore distratto di primo pelo, o su quello assuefatto alla mediocrità, che ormai non ha più la forza di indignarsi e passa oltre ammiccando senza rimpianti.
Se “
Una affezionata clientela” meritava voti bassi in quanto storia non-Dylaniana, le va comunque riconosciuto il piccolo merito di esser in sé una “storia”, scritta onestamente e magari potabile su altri lidi. Qui invece le colpe sono ancora più gravi perché si confeziona in modo organico la tipica storia secondo i (recenti) schemi/parametri dylaniani, ma poi tutto degenera in una farsa da sveltina che tenta di fingersi profonda (e dolente) senza alcun pudore
.
L’ultima pagina con matrioska metanarrativa da presepe alla
Videokiller, un racconto immaginato nel racconto fittizio, non sconfessa con (presunta) leggerezza le precedenti castronerie, anzi, sembra quasi volervi rimediare in corner per un senso di imbarazzo latente….nella consapevolezza dell’impossibilità di chiudere l’albo con la scena dell’esorcismo della cassapanca infernale. Ormai il frittatone ribaltabile è fatto, e le uova erano di gallina storpia, pare. Buona digestione, turbolenze comprese
.
Con roba come questa si finisce per rivalutare (
sic…e non alla teutonica “
sich “ come piace a
dogares)
il trittico di De Gregorio e Gualdoni che l’ha preceduta…cioè,sosstorie, regà, sosstorie [leggasi con tono nasale alla Verdone di “
Un sacco bello”]
L’unica morale di riflesso (sbilenco) che si può trarre è quella di non sottovalutare i poteri malefici di una moglie/compagna/madre/sorella/nonna/suocera imbestialita per l’ammasso di cianfrusaglie che accumuliamo avidamente, ed a cui diamo valore, spendendo soldi e tempo invece che dedicarli ad altro, loro comprese… - che poi poveracce di solito devono pure spolverare tali oggetti
. In pratica una parabola addomesticata contro lo smanioso collezionista che è in tutti noi… alla
Takurr, tanto per intenderci….solo che qui il discorso si estende alla paccottiglia venduta nei negozi pseudo-tribali e spacciata per mysteriosamente esotica…quando in realtà la impacchettano a Casoria nel migliore dei casi.
C’è da dire che anche Dylan, però, non sembra esser immune da questo morbo, a giudicare dal ciarpame bizzarro di casa sua
.
Corro quindi a nascondere l’acchiappasogni indiano (regalatomi da una mia amica), le tazze irlandesi, un pajo di
mecha di
anime storici, la base spaziale Lego, e la mia collezione di Penthouse anni ’70….prima che mia suocera ci scagli contro qualche jattura…anche perché in un numero c’è quel fotoservizio molto scabroso con lei protagonista
.
Concludendo, ed in sintesi (nuncesperate poi tanto…), un albo dimenticabile, eccetto che per lo sgarro finale, che ha però il merito di esser particolarmente leggero…per volar meglio dalla finestra
In cifre, ma non in soldoni - bastano i 2,7€ spesi:
Soggetto:
3 . e che altro devo aggiungere? Di oggetti maledetti in DD se ne sono visti a bizzeffe, dalla tastiera del letto al VHS, fino all’aspirapolvere…ma questo è il peggiore.
Sceneggiatura:
6 - - . l’unica cosa che salvo, eccetto le ultime 10pp
Disegni :
4 + Cossu decisamente sotto la sua media, anche se era una storia perfetta per lui, e se fate due calcoli… Altrove l’ho anche difeso, ma qui è troppo per qualsiasi aficionado. Salvo solo la maschera di sabbia per il tratteggio (p. 76.v), qualche bel primo piano di Bryce, ed un po’ di (indo)cineserie da Suharto e nel suo racconto – buon set per il BVZM.
Copertina 5 . Stano al risparmio, e ogni tanto ci può anche stare. Idea carina, realizzazione vuota, come il baule.
***Appendice (ulcerosa) per curiosoni e sfaccendatiSenza nulla togliere al buon maestro Coe/Eco di
Lassù qualcuno ci chiama, ho notato che il gigante monoculare si esprime nei baloon in (zoppicanti)
hiragana, una specie di alfabeto sillabico giapponese usato per alcune brevi parole/particelle o per rendere la pronuncia degli ideogrammi complessi (i
kanji).
Non so se le vignette in questione siano da attribuire a Cossu, Marzano o a Diana Rocchi in vena di orientalismi taroccheschi, ma ad occhio(unico) pare che…non significhino nulla.
Per esempio la prima (p. 72.iii) foneticamente si legge (+ o – ) "
sesora(na?) heyo(ru?)tsunteru”…che in nipponico non vuol dir niente…ma in giavanese vallassapè…perché non è da escludere che lo Shrek ciclopico scriva in caratteri giapponesi ma parli in indonesiano (?!)
Ma d’altronde… in questi casi meglio rifarsi a Groucho come esperto di fonetica&linguistica , che ci aveva già preso in tempi non sospetti con la massima: si scrive Freud, si legge Froid, si pronuncia Fruà.
KONBAWA TO ALOHA
(e scusate se ho tralasciato qualcosa…)