Gianni Brunoro, noto esponente del nondo del fumetto, giornalista, scrittore ci parla del suo Dylan Dog preferito.
"Ho le mie buone ragioni per considerare "Dal profondo" quello che preferisco nella pur lunga serie giunta ormai alla quintuplicazione numerica di questa cifra (l'articolo è del 1994, N.d.R). Premetto subito che si tratta di ragioni dal sapore più egocentrico che assoluto, specie perchè mi rendo conto che nel centinaio di numeri ormai usciti gli episodi eccellenti sono talmente numerosi da suscitare un insuperabile imbarazzo nella scelta. Senza contare che, oltre tutto, questo n.20 non è nemmeno un episodio "puro", vale a dire di Tiziano Sclavi, bensì uno "spurio", un "ibrido" nato dalla collaborazione con Alfredo Castelli: eppure è il mio preferito: dico appunto, per ragioni un pò egocentriche. Il fatto è che, all'uscita del n.1, nell'ormai lontano 1986, ebbi (come, immagino, tanti altri) l'immediata sensazione che si trattasse di un fumetto del tutto diverso. Era una sensazione così netta e forte che mi sbilanciai a scriverne subito, a caldo, alcuni articoli: il più argomentato dei quali rimane quello uscito su "Il fumetto" dell'Anaf n.9 del dicembre 1986, col titolo "L'investigatore Dylan, suppongo" [...] nel quale articolo usavo un tono profetico: nel senso che manifestavo la mia precisa impressione che una serie del genere potesse - nientemeno! - cambiare corso al fumetto, dando una spallata definitiva a quella separazione (che allora era ancora abbastanza papabile) tra il cosiddetto fumetto d'autore e quello popolare. Siccome, si sa, è difficile essere profeti è logico che mi rimaneva pur sempre il dubbio che il futuro potesse tradirmi. Pertanto seguivo il procedere degli episodi con curiosità di lettore non disgiunta dall'apprensione del profeta. Beh, devo dire che mentre la prima veniva sistematicamente soddisfatta, la seconda si andava mano a mano dileguando, sia pure fra qualche alto e basso. Ma giunti al n.20, ebbi - a livello intuitivo, in un primo momento - la sensazione della conferma definitiva. Dal tentativo di razionalizzare tale sensazione, direi che le ragioni sono quantomeno le seguenti. Innanzitutto, si tratta di una storia non particolarmente ricca d'azione, ma al contrario complessa e ricca di implicazioni sul piano psicologico, nella quale l'orrore, lungi da termini granghignoleschi, raggiunge i toni coinvolgenti dell'angoscia, giustificandosi in piena coerenza con la natura stessa della trama. La trama stessa, poi, è incentrata su quelle turbe psicologiche che coinvolgono tutti i bambini e che talora raggiungono livelli di tragica amoralità, specie in prospettiva edipica: e ciò la diceva lunga sulle ragioni di psicologia del profondo che devono stare alla base di questa serie straordinaria, grazie alle problematiche di natura freudiana che i racconti vanno a rimestare: il che, inoltre, esemplificava in maniera assai concreta illuminandola di una luce particolarmente viva, la psicologia stessa del'autore, che con tale personaggio sta dando da anni un disarmante identikit psicologico di sè, ma al tempo stesso anche un intrigante identikit psicologico di ciascuno di noi, nelle sue pieghe più segrete. E già questi erano elementi che confermavano in via definitiva la mia precoce profezia. A coronamento della quale, stava il disegno stesso di Corrado Roi che in quell'episodio continuava a dimostrare la sua crescita artistica (giunta oggi a livelli di validità assoluta). In particolare per quanto riguarda quella specie di racconto nel racconto ("Il racconto del mostro nelle fogne", da pag.62 a pag.89) e che costituiscono di per sè un breve capolavoro autonomo: perchè sono una fusione perfetta tra stile grafico liberty e grafismo del fumetto testimoniando così che esso ha la possibilità di amalgamarsi perfettamente con l'arte; perchè intriso di metafore grafiche che esercitano una profonda saldatura col mondo freudiano; perchè contiene ampi elementi sviluppati dalla costola di "Psycho", effettuando così anche un significativo punto di saldatura con uno dei più nobili ed efficaci esempi di horror cinematografico e più in generale col cinema; perchè, infine, lega indissolubilmente fra loro i termini eterni di amore e morte a quelli non meno eterni dell'orrore e dell'odio edipico. Il semplice fatto che un fumetto popolare - a maggio del 1988 - dava già chiari sintomi di una diffusione in via di diventare morbosa - potesse anche solo dare adito (ma ci sarebbe ampio spazio anche per un adeguato approfondimento) a prospettive critico-esegetiche del genere, dimostrava già allora che ero stato buon profeta, che Dylan Dog aveva portato a compimento una forse inattesa rivoluzione silenziosa, quella della saldatura tra le due categorie del fumetto popolare e quello d'autore, distinzione oggi ormai più storica o artificiosa che effettiva. Perchè è ormai un fatto che ha pacificamente contagiato parecchi settori del fumetto nel suo insieme."
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Umpf! Qualcuno mi ha trovato, finalmente... devono aver sentito la puzza... però, bei tempi quando puzzavo solo di whisky...
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