Keanu Coen ha scritto:
A proposito di copertina, il concept bacilieriano è eccezionale, mentre la resa di Montanari è agghiacciante.
Mah ...sinceramente non vedo cosa Montanari avrebbe potuto fare in più, dato che il concept a nido d'ape rimpicciolisce tutto (stile caselle/griglia, come sprite di un videogame retro', v.sopra) e quei pochi dettagli che si vedono, mi sembrano ben curati. Non trovo necessario un certo realismo geometrico nelle prospettive, e anche se i mostriciattoli non brillano per fantasia, quello tra la cliente scosciata e Dylan assorto in poltrona è spassoso.
Beh, visto che ci sono completo il discorso con la seconda storia,
che mi è piaciuta parecchio.
Non arriva a livello delle
P&M sul OB precedente, ma soltanto perché segue una traccia completamente diversa e non può contare sul beneficio di due episodi apripista, come nel caso della saga di Cora.
S
P
O
I
L
E
R
A
B
I
Z
Z
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F
EL'Invasione degli Ultraschermi
Testi 8
Disegni 7In breve sul lato grafico: forse la migliore prova di
Camagni post-
Napoleone su Dylan Dog. Non arriverà ai livelli di quando lavorava per Ambrosini quasi vent'anni fa, ma rispetto alla sua media attuale qui ci guadagna molto in espressività dei personaggi e pose plastiche, molto cinematografiche o teatrali come non potevano non essere in questo genere di storia. Sui fondali va moooolto al risparmio (forse pure troppo) ma qui in alcuni casi un'ambientazione/set un po' vuota ed astratta ci può stare.
Le bavosità antennate della lucaca aliena ci stanno bene, un po' kinky tipo porno-tentacolare da hentai.
Vanzella, come già detto altrove, a mio vedere rappresenta la
top new entry ai testi da oltre 5 anni a questa parte. In pratica l'unico azzeccato dal Rrobe, anche se forse non è neanche merito tutto suo, e c'entrerà qualcosa Busatta (o Masiero, occhiperloro) nell'aver trovato questo nuovo collaboratore.
È molto più complesso di quello che sembra, a livello di scrittura, non lancia slogan, iconizza le sue tavole, ironizza dove serve, e difficilmente gira a vuoto nei dialoghi, dimostrando diverse idee ed un mood particolarmente ispirato, di pura esperienza dylaniata. E anche un retroterra/bagaglio che non pesa come il citazionismo autoreferenzial-onanistico del Sommo. Cose che sciagurati allo sbaraglio come la
Baraldi o
Simeoni non riuscirebbero a scrivere neanche dopo 30 anni di apprendistato con travaso neuronale diretto da Sclavi stesso (o Chiaverotti, o Medda, o Ambrosini...)
.
La storia è un (sapientemente) artefatto meccanismo di scatole cinesi alleate a russe matrioske, una dentro l'altra, in bambola su bambola, di racconti nel racconto, di fiction nella fiction, inclusi in maniera organica dietro il fil-rouge dell'amore spassionato per i b-movie denavorta, non tanto horror, quanto sul
fanta-trash polpettonico per amanti, come da titolo.
Un inno alla cinefilia, featuring cameo e citazioni(ça va sans dire), che parte nella sua spirale concentrica da una troupe teatrale che mette in scena una parodia del
Rocky Horror Picture Show con tanto di formichiere afrodisiaco slinguazzante, per poi proseguire a ruota con delitti da sclero fuori copione teatrale (p.20), cast in ostaggio da congiura, registi mandrillamente bisex, sospetti di cannibalismo (p.52), o ipno raggi-zeta (p.59) per mettere a tacere chi non è d'accordo con la produzione della pellicola
.
Inevitabile che il mood della meta-recitazione si rifaccio vivo,
ma qui non fa danni e risulta pienamente giustificato perché Dylan è più strumento/figurante che parte in causa, dato che il mondo del fumetto in sé c'entra poco o nulla col resto. Si naviga più in vista del pirandelliano
Grand Guignol (DD#31), tra le beghe e gelosie dell'eccentrica troupe di svitati&complessati, col transfert combina-danni del Nostro Boy sul set, in versione Dyl
anna Never (DD#4) reincarnato - richiami evidenziati anche nell'intervista stile editoriale
.
Quando l'ambiguità del fetish made in Karloff viene meno, si apre la cesura intorno a metà storia (pp.60-67) per un intermezzo registico ampiamente surreale, con omaggio ad
Ultimatum alla terra in chiusura.
Dopo questa parte si mescolano ulteriormente le carte con una fiction sempre più vicina ai (presunti) fatti "reali", non prima di una versione ancora distorta delle parti in causa, con Karloff che interpreta Dylan nel ficcare il naso indagando sugli strani fatti - perlopiù visioni e svenimenti - avvenuti in un cinema d'essai gestiti da 4 amici amanti dei cult fantatamarri vintage (Eddie, Victoria, Ygor e Spencer), mentre a Dylan tocca fare il supereroe contro l'impostore, con tanto di raggio laser da B-movie di quel genere (pp.68-75)
Nel ribaltamento in flashback di questa vicenda, veniamo (forse?) a sapere come si sia originato il tutto... e qui si avverte un certo sclavismo di riporto da parte di Vanzella - già annusato in
Qwertyington - con la fabula cosmica della lumaca aliena (pp.84-86) che si scopre cinefila dopo un atterraggio di fortuna, e come prima forma di linguaggio/contatto coi terrestri instaura un delirio ipercreativo basato sulla magia del cinema, delle sue luci, delle sue illusioni riflesse, una nell'altra, dalle stelle alle star, etc.
Se proprio devo trovarci un difetto in questa parte, non mi è piaciuta granché la facilità con cui Dylan convince la lum-aka-rloff a rinunciare alle sue rappresentazioni, né ho capito tanto perché alla fine sempre il povero Eddie, in tutte le versioni della storia, ci debba rimettere le penne
.
Sta di fatto che anche questa storia pare meritare una rivisitazione da rimettere in scena, e Jenny non se la fa teatralmente sfuggire per un'ulteriore post-produzione... ma pure qui sembra esserci lo zampino (sbavante) della lumaca, che probabilmente ha raggirato Dylan l'imbranato con una finta resa/scena madre, e per questo si becca rocambolescamente un bel riflettore nella nuca, negli ari-panni di Karloff... con tanto di occhio schizzato via
Macerie e sipario.