Sono Dylan Dog e vado pazzo per Guccini

di Bruno Ruffilli

Di canzoni ne ha scritte trecento: alcune sono finite in un disco, altre in un libro pubblicato nel 1993. Ha composto musica. Si è sbizzarrito con una collezione di 12 mila compact disc. Nulla di strano, se parlassimo di un aspirante cantautore e non di uno dei più famosi autori di fumetti italiani, Tiziano Sclavi. Ma lui, Sclavi, è un po’ come la sua creatura più famosa, Dylan Dog: nella vita fa altro, ma se si parla di note…
In diciotto anni, Dylan Dog è diventato il fumetto italiano più famoso, il solo capace di competere col sempreverde Tex Willer, raggiungendo le 500 mila copie mensili tra nuove uscite, ristampe, raccolte. La sua è una vita piena di avventure, misteri, donne, personaggi bizzarri e tanta musica. Suonata dallo stesso Dylan, ascoltata quasi per caso in un pub, nascosta nei testi, oppure esibita, con tanto di canzoni tradotte in italiano. «Nel fumetto sento molto la mancanza della colonna sonora. La immaginerei come nei film di Kubrick: un gran miscuglio di cassica, Bach, Iron Maiden e Yngwie Malmsteen».

Quando nasce la passione di Dylan Dog per la musica?
I suoi amori sono, ovviamente, i miei. Ho cominciato con l’heavy metal, ma presto sono passato a De André e Guccini, che rimangono per me grandi fonti di ispirazione, come Vecchioni e De Gregori. Più tardi, molto più tardi, è arrivata la musica classica, con due brani, l’Aria sulla quarta corda di Bach, che poi è la sigla di Quark, e la Moldava di Smetana. Per anni ho ascoltato il più possibile, poi mi sono specializzato. Adesso la mia passione è la musica antica, ma arrivo fino al Settecento, senza dimenticare ovviamente la “grande Nona” di Beethoven, come la chiama Kubrick. A un certo punto sono stato colto da una specie di mania per il violoncello, così oggi ho tutti i dischi per questo strumento che sono stati pubblicati in Italia.

Perchè?
Non saprei. Un film, Tutte le mattine del mondo, mi ha aperto la strada verso Marin Marais, poi l’interesse è cresciuto. Più tardi ho scoperto il jazz e il blues, John Lee Hooker e Van Morrison. Il rock, invece, l’ho vissuto poco, non sono mai impazzito per i Beatles. Non conosco l’inglese, per questo mi è difficile amare i loro dischi. Ricordo che Guccini, introducendo in concerto un pezzo in dialetto modenese disse al pubblico: “E non fate quella faccia lì, che ascoltate tutto il giorno canzoni in inglese senza capirle”.

Per questo nelle strisce i testi delle canzoni sono tradotti?
Certo, hanno sempre un’attinenza con la storia.

Arrivano anche a ispirarla?
Qualche episodio è nato proprio sul calco di una canzone: in una storia ho preso spunto da La collina di De André, a sua volta ispirata dall’Antologia di Spoon River, in Abyss ho parafrasato Titanic di De Gregori. Almeno, ci ho provato, ma poi mi sono sentito dire da Umberto Eco che sbaglio la metrica (il semiologo ha dedicato a Dylan Dog un saggio-intervista in Dylan Dog, indocili sentimenti, arcane paure, ndr). E pensare che ho avuto il coraggio di pubblicare un libo con le mie canzoni.

Quando?
Nel 1993, mi sembra, su suggerimento del mio primo editore, Camunia. Comprende i testi delle filastrocche che compaiono nelle storie di Dylan Dog e una scelta di canzoni che ho scritto, saranno trecento… l’ho riletto e mi sono vergognato molto. Da ragazzo avrei voluto fare tante cose, ma come cantautore non sono credibile: sono stonato, al massimo posso fare l’autore. In effetti alla fine degli anni Settanta alcune mie canzoni finirono in un disco; le interpretava uno sconosciuto, si chiamava Tiziano Cantatore. Adesso è ancora sconosciuto, ma dirige una rivista, Mototurismo.

Ha composto anche musica?
Spesso. Andavo da un amico, gli canticchiavo le parole e lui riusciva a tradurre in note i miei gargarismi, in maniera amatoriale ma efficace. Ho un pessimo rapporto con gli strumenti musicali, quando vedo un pianoforte non so da che parte soffiare.

Cosa ascolta quando inventa le avventure di Dylan Dog?
Sono anni che ho una specie di blocco dello scrittore, per Dylan Dog ormai mi limito a rivedere i testi. Però, in generale, quando scrivo non deve esserci musica cantata in italiano perchè mi distrae. Le storie tristi sono state spesso accompagnate da brani di Marais, o cose come la Suite per violoncello di Bach, Lachrimae di John Dowland, il massimo della malinconia, insomma.

Quali sono le canzoni che hanno segnato la sua vita?
Non posso citarne una singola, ma direi tutte quelle di De André e Guccini. Quando collaboravo con Stampa Sera proposi un racconto: Ho ucciso De André. Era una storia di fantascienza, in cui andavo indietro nel tempo per ammazzare De André, rubavo le sue canzoni, poi tornavo nel presente e facevo credere di essere io l’autore. Naturalmente non fu pubblicata.

È legato al disco come oggetto?
Per molto tempo ho acceso il giradischi al mattino per spegnerlo solo quando andavo a letto. Ero affascinato dal piatto che girava, e poi i 33 giri erano favolosi, era un piacere aprire la copertina… Ricordo ancora quella fantastica grafica della Hypgnosis per i Pink Floyd, su The Dark Side Of The Moon. Oggi ascolto solo cd, gli Mp3 non m’interessano, non m’importa avere mille canzoni in un affare da usare con le cuffiette.

Ha mai comprato un album solo per il titolo?
Certo, ultimamente ne ho acquistato uno via Internet. Titolo in latino, copertina nera, la band si chiama Fantomas. Prometteva bene, ma è inascoltabile. Faccio spesso acquisti a caso, così accumulo quantità enormi di dischi. Qualche anno fa sono arrivato ad avere dodicimila cd, ma ne ho regalato più della metà ad amici e colleghi. In casa non c’era più posto, e io non riuscivo ad ascoltarli, molti erano ancora sigillati.

Perchè comprarli, allora?
Ero diventato un collezionista maniaco, proprio come Dylan Dog.