Il mio antieroe romantico tra Chandler e Ruper Everett
Tiziano Sclavi racconta come è nata la sua creatura
di Antonio Gnoli
LA REPUBBLICA, 20 MARZO 2003
Quando Tiziano Sclavi creò Dylan Dog, non solo non immaginava il successo che a lui e alla Bonelli sarebbe piovuto addosso, ma neppure che quel personaggio, letto e amato da milioni di persone, gli avrebbe cucito addosso un’immagine sofferta a somiglianza della sua creatura di carta.
Oggi Sclavi vive molto appartato. Al suo eroe non dedica più i pensieri e l’immaginazione di un tempo, si limita, quando le storie vengono scntte, a sovraintendere il lavoro svolto.
Quando iniziò la serie del fumetto?
“Nel settembre del 1986. Naturalmente avevo già lavorato per Bonelli editore e nella testa mi frullava l’immagine di questo strano personaggio al quale volevo dare vita”.
Strano perché?
“Pensavo a un detective un po’ alla Chandler, molto triste e soprattutto molto solo. Però non poteva essere un detective americano poiché già esisteva nella serie Bonelli il personaggiodi Martin Mystére. Alla fine decidemmo di ambientare le sue storie a Londra”.
Decideste chi? Non era solo?
“No, Dylan Dog è stato il frutto di tante discussioni fra me Bonelli e Decio Canzio. Per esempio loro obiettarono che un detective difficilmente regge da solo. E avevano ragione. Sicché creammo una spalla per Dylan Dog”.
Una spalla comica però…
“L’idea di mettergli accanto Groucho, un maggiordomo logorroico e surreale, è stata mia. In fondo ho sempre avuto la passione per il cinema, adoro i Fratelli Marx e penso che un fumetto che si rispetti abbia tutto il diritto di farsi contaminare da altri generi”.
Per esempio dal cinema. Perfino il volto di Dylan Dog richiama questa sua passione.
“Ricordo che in fase di creazione, parlandone con il disegnatore lui realizzò un personaggio bello ma molto latino. Che non corrispondeva a quello che avevo immaginato. Dopo la visione di un film decisi che il volto del protagonista doveva essere quello di Rupert Everett”.
Come è stato scelto il nome Dylan Dog?
“Per me Dylan Dog era l’equivalente di Mister X, un nome provvisorio. Ma poiché non ne trovammo di migliori decidemmo per quello. Dylan Dog era comunque la strana sintesi fra il poeta DylanThomas e il titolo diun romanzo di Spillane: Dog figlio di…”.
Come fu l’impatto con il pubblico?
“All’inizio non particolarmente esaltante. ll primo numero andò male. Anzi il responso fu: Dylan Dog è morto in edicola. Poi cominciò a muoversi e si assestò dentro un successo di nicchia: intorno alle 50 mila copie. Infine, senza che ce l’aspettassimo, arrivò l’esplosione. Ricordo che il distributore cominciò a tempestare di richieste la Bonelli. Sulla fascetta scrivemmo: “Una tiratura da far paura””.
Si è chiesto il perché del successo?
“Tantissime volte. Ma alla fine il successo resta un mistero. Io non ho mai saputo perché una cosa piace e l’altra no. Posso dire che nel caso di Dylan Dog la penetrazione in un pubblico che è trasversale sia dipesa dai molteplici livelli di lettura cui il fumetto si presta: c’è il livello di avventura, c’è la citazione cinematografica e quella letteraria colta.Alla fine ciascuno può divertirsi a scoprire i dettagli inconsueti di questo antieroe romantico”.