Il post di maggio 2013 – Novità importanti per Dylan Dog
Si parlava di rivoluzioni dylaniate, nel cappello dello scorso mese. E se ne parla sul forum, ormai l’impazienza di vedere i risultati del nuovo corso in Craven Road (o in via Buonarroti) è tale e tanta che le discussioni più accese si tengono nel topic dedicato a queste novità, anche a scapito dei commenti al post della storia, che ha visto meno partecipazione. Noi che ogni mese ci riuniamo (in una stanza maleodorante e tetra, of course) abbiamo seguito l’entusiasmo e abbiamo deciso a nostra volta di premiare uno di questi commenti, maggiormente rappresentativi degli umori del forum.
A venire premiato è un esordiente, che batte un’agguerritissima concorrenza, con un post molto particolare. Non avendo avatar, per la premiazione gliene assegnamo uno d’ufficio, interpretando il suo ambiguo nick in senso tolstojano, per par condicio con un altro nick dostoevskjano già premiato in precedenza.
Lui è…
Myskin
Di seguito il post del mese:
Premessa: ho scoperto Dylan Dog con il numero 68, ne sono stato un lettore affezionatissimo fino al numero 150 circa, per poi abbandonarlo e riprendere nuovamente fino al 250 (recuperando tutti gli albi nel mezzo, speciali e giganti compresi). A oggi non ho recuperato e non ho letto nessuna delle storie uscite da allora, dunque nemmeno la celebrata Mater Morbi.
Detto ciò, ho la sensazione che la volontà dichiarata di riportare il personaggio alle sue origini sia destinata a fallire.
Non perché non abbia fiducia in Recchioni. Lo conosco praticamente solo per John Doe e per una frequentazione comune, cessata anni fa, di forum sui fumetti. Ma apprezzo il suo entusiasmo, la sua professionalità, e, quando ne ho avuto l’occasione, il suo talento.
Non perché ritenga che i primi numeri (quelli fino all’81 per intenderci) siano capolavori assoluti e insuperabili del fumetto. Ci sono molti albi celebrati che a me non sono piaciuti, e albi famosissimi – che non nominerò – che a rileggerli mi hanno provocato un senso di delusione.
Non perché ritenga Sclavi il miglior scrittore di Dylan Dog di tutti i tempi in senso assoluto. Per me Sclavi è un genio, ma ho sempre avuto la sensazione che il suo talento si sia espresso al meglio soprattutto in storie e personaggi che oggi pochi ricordano, per esempio l’Agente Allen, Vita da cani, lo Gran Girodelmondo, Altai e Jonson e Roy Mann. Ci sono delle storie di Paola Barbato in cui, per me, Dylan è caratterizzato meglio che in certe storie di Sclavi.
Ma perché sono convinto che ogni fumetto, così come in generale ogni opera d’arte, sia figlia del proprio tempo, e il tempo nel quale la versione di Dylan che tutti amano è stata concepita è svanito per sempre. Per il declino di Dylan dell’ultimo decennio si possono dare, anche a ragione, tutte le colpe del mondo ai supervisori poco accorti, a una politica editoriale non indovinata e a degli scrittori svogliati, ma sono convinto che la maggior parte dei problemi sia nata da un tentativo disperato, ma comprensibile, di ricreare nelle storie quel tipo di atmosfera che non era più possibile ricreare, perché apparteneva a un altro modo di fare fumetto e a un’altra epoca.
In cosa consisteva la particolarità dei primi Dylan Dog? Credo che a nessun lettore, anche il più appassionato, basterebbe un volume per descriverla davvero, dunque non mi ci proverò nemmeno io. Basti dire che mi riferisco – ovviamente – a quel misto di orrore e grottesco, caratterizzato da un senso di artigianalità – non mi viene una parola migliore – e di carnalità. E di assenza di politicamente corretto, non per volontà di scioccare, ma perché il politicamente corretto ancora non esisteva. Esempio: chi mai oggi, anche con le migliore intenzioni, potrebbe scrivere una storia come La maschera del demonio, dell’Almanacco 1992? Non la cito perché la considero un capolavoro, piuttosto perché la violenza di certi momenti è veramente impressionante e sgradevole. Ma è, almeno secondo me, abbastanza indicativa della libertà creativa degli scrittori del primo Dylan e del tipo di film e letture da cui erano influenzati.
Non saprei dire, così su due piedi, se i cambiamenti sociali e/o della cultura popolare dalla metà degli anni ’90 in poi siano stati più profondi di quelli avvenuti tra gli anni ’70 e gli anni ’80. Ma a leggere certi fumetti direi di sì (e forse non è un caso che il crollo del genere horror al cinema, dagli anni ’90 in poi, sia coinciso con l’inizio del declino di Dylan). Ho scoperto molto tardi Max Bunker, ma ho sempre avuto la sensazione che Dylan avesse molto più in comune con i fumetti “neri” tipo Kriminal e Satanik degli anni ’60 e ’70 (e per certe cose anche con Alan Ford) che con qualsiasi fumetto degli anni successivi. La stessa disinvoltura nel descrivere morti violentissime accompagnandole da qualche battuta tagliente, la stessa visione della vita amara e grottesca. Forse anche un po’ di misoginia, in certe storie.
Per me, l’unico modo in cui un progetto di riportare Dylan agli antichi splendori può funzionare – e forse in questo sta proprio il desiderio di Recchioni, magari sono io ad averlo frainteso – non è riportandolo alle origini, ma facendolo evolvere in qualcosa di nuovo che funzioni, per il pubblico moderno, in maniera analoga a come il Dylan delle origini funzionava per i lettori degli anni ’80. Non saprei dire in cosa potrebbe consistere questo Dylan nuovo, e nemmeno se i lettori di vecchia data sarebbero disposti ad accettare alcuni cambiamenti inevitabili. Ma credo sia una strada più o meno obbligata, peraltro vagamente accennata in alcune storie dai più apprezzati eredi di Sclavi (penso alla Barbato in alcuni albi dal tono metafumettistico).
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