Programma di rieducazione – Intervista a Giuseppe De Nardo
Soggetto e Sceneggiatura: Giuseppe De Nardo Disegni: Pietro Dall’Agnol Copertina: Angelo Stano |
Uno spietato assassino, catturato da Dylan Dog quando era ancora un agente di polizia, è ora nuovamente a piede libero grazie a un fantascientifico programma in grado di entrare nel cervello dei criminali e cancellare il male che vi risiede. Un esperimento che sembra fallire quando l’omicida scompare e i delitti con la sua firma ricominciano a spargere sangue tra le strade di Londra. Una macabra scia di morte che solo l’Indagatore dell’Incubo pare in grado di fermare. |
L’immagine dà di certo nell’occhio (scusate il gioco di parole), ma il richiamo a quel capolavoro kubrickiano che è A clockwork orange (per i non anglofoni, Arancia meccanica), datato 1971, ci sembrava d’obbligo. Infatti anche Giuseppe De Nardo, con Programma di rieducazione, prova a portare sulle pagine dell’Old Boy una sorprendente terapia riabilitativa per criminali irrecuperabili.
L’autore mancava da più di un anno sulle pagine della serie regolare, mentre il compagno di merende Pietro Dall’Agnol addirittura da tre. Questo mese li vedremo entrambi impegnati in quello che si preannuncia come un albo a dir poco “adrenalinico”, ma nel frattempo, in attesa di leggere la storia, godetevi l’intervista e… occhi aperti!
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Salve Giuseppe, benvenuto su Cravenroad7.it e grazie per l’intervista che ci concedi, a dispetto della tua notoria riservatezza.
Grazie a voi. Sarò anche riservato, ma rispondo volentieri alle domande di lettori appassionati e competenti. Navigo spesso tra le pagine del forum di Cravenroad7, alla ricerca di post che mi riguardano. Ne trovo di lusinghieri e di meno lusinghieri. In un caso e nell’altro, mi astengo dall’intervenire. Riservatezza? Forse. Pigrizia? Anche. La ragione principale: non voglio inquinare con un mio intervento la spontaneità e la genuinità del dibattito. Preferisco prendere applausi e fischi come vengono.
Come autore di Dylan Dog esordisci nel 1998 con la storia La città perduta e da allora in poi la tua attività per l’indagatore dell’incubo è stata costante, sebbene caratterizzata dalla sporadicità delle pubblicazioni. I lettori, tuttavia, hanno imparato da subito a riconoscere come peculiari e propriamente “denardesche” alcune cifre stilistiche delle tue storie: gli elementi del noir e della commedia, ad esempio. Credi che queste due coordinate siano calzanti per descrivere i tuoi lavori? E nel caso la risposta sia sì, dove affondano le radici di questi tuoi interessi?
Noir e commedia certamente. Ma non solo. Mi piace percorrere altre strade. L’albo in edicola dal 26 giugno, per esempio, fonde insieme noir e fantascienza. Il dittico autunnale ha, invece, un respiro più avventuroso.
Per una serie come Dylan Dog, il noir è, comunque, un elemento irrinunciabile. Dylan è un investigatore privato. I suoi casi non sono quelli tipici della narrativa di genere, ma Dylan agisce da investigatore privato. Non a caso, nel suo DNA, così come configurato dal suo creatore Tiziano Sclavi, c’è qualche gene ereditato da Philip Marlowe, il caposcuola della tradizione hard boiled.
Per quanto riguarda la commedia, ce l’ho nel sangue. È un genere difficile. Un dialogo brillante costa più fatica di un dialogo drammatico. Qualche lettore, magari, ci passa su con disinvoltura. Una storia improntata sui toni della commedia è per lui più facile, più leggera, quindi meno importante. “Lo sceneggiatore ha voluto prendersi una vacanza”. Non è così.
La “commedia” è la cifra stilistica di quasi tutto quello che ho scritto prima di lavorare con Bonelli. Mi riferisco, in particolare, a BilliBand.
Le radici dei miei interessi. Vado indietro con la memoria a quando avevo quindici anni. Il primo libro “da grande” che ho comprato, da solo, senza consigliarmi con nessuno, è stato Tutto Marlowe investigatore,un Omnibus Mondadori in due volumi. Comprato d’istinto, senza conoscere nulla del personaggio e del suo autore. Una rivelazione. Qualche tempo dopo, in vacanza a casa dei nonni, mi sono imbattuto in un libro di mio zio. Libro che non credo lui abbia mai letto. Io sì. Si trattava di La Milano nera di Scerbanenco, monumentale raccolta di romanzi e racconti edita da Garzanti. Dopo letture così, il noir ti resta attaccato per tutta la vita.
Le radici della commedia, invece, sono soprattutto cinematografiche. Adoro la commedia sofisticata all’americana (Colazione da Tiffany, A qualcuno piace caldo) alla pari di quella più sbracata all’italiana (Monicelli e Age & Scarpelli sopra tutti).
Torniamo a parlare dell’elemento noir. Quasi contemporanea all’approdo su Dylan Dog, infatti, è stata anche la collaborazione per la creatura nata dalla penna di Giancarlo Berardi, Julia, appunto il noir di casa Bonelli. Gli echi della criminologa si ripercuotono in qualche modo sulle avventure dell’indagatore? E qual è il modo in cui ti rapporti ai rispettivi personaggi: vi sono punti di tangenza o magari profonde divergenze?
Berardi mi ha conosciuto tramite Luca Vannini, che prima di creare graficamente Julia aveva disegnato per me su BilliBand. “Ci sono delle affinità tra il mio e il tuo modo di scrivere”, mi disse. Accettai senza esitare la sua proposta di collaborazione. Berardi è uno di quei maestri che da lettore veneravo. Ho imparato molto da lui, e molto di quanto ho imparato, in termini di tecnica della scrittura e di visualizzazione della scena, l’ho riversato in Dylan Dog. Ciononostante, alla domanda rispondo: no. Gli echi della criminologa non si ripercuotono sulle avventure dell’indagatore dell’incubo. Si tratta di due progetti profondamente diversi. Quello di Berardi è fondato su un maggiore rigore stilistico. Le storie di Julia si basano su una formula narrativa ben definita, rispetto alla quale lo sceneggiatore che collabora alla serie non ha molti margini di deroga. Leggendo un albo di Julia sceneggiato da De Nardo i lettori, anche i più attenti, non riconoscono una cifra stilistica “denardesca”.
Julia e Dylan sono diversi. Diverso è il mondo nel quale si muovono. Diverso l’immaginario dal quale attingono. Diverso il linguaggio. Credo che gli elementi di divergenza superino, di gran lunga, quelli di tangenza.
Non parlerò della trama, per non privarvi del gusto della sorpresa. È una storia che ha avuto una genesi lunga e laboriosa. Oltre alle difficoltà di scrittura, che una storia di lunghezza doppia comporta, ha richiesto un notevole lavoro di ricerca e di progettazione. È una storia nella quale ho riversato molto di ciò che più mi piace, rischiando, a volte, di cacciarmi in qualche vicolo cieco. Solo dopo la pubblicazione potrò spiegare perché. Fortunatamente, sono riuscito a uscirne sempre.
Ho sacrificato, per la sua realizzazione, una intera vacanza estiva e quella natalizia successiva, periodi durante i quali si interrompe la mia attività di insegnante. Mesi e mesi di lavoro. Ne sono uscito esausto, ma soddisfatto. Molto soddisfatto.
Il sodalizio professionale vero e proprio cominciò nel 1993, quando chiesi a Daniele di entrare nel ristretto staff di disegnatori di BilliBand. Va dato merito a Mauro Marcheselli di aver voluto ricostituire la coppia su Dylan Dog qualche tempo dopo.
Collaborazione “speciale” e “unica”. Son contento che la riteniate tale. Credo che lo sia davvero. L’intesa tra sceneggiatore e disegnatore, in questo caso, è perfetta. Io so cosa posso chiedere a Bigliardo e lui sa sempre come realizzare ciò che io chiedo. Non parlo della complessità degli scenari, della profondità di campo e del numero dei personaggi in scena (Bigliardo non si risparmia mai, non surroga certe approssimazioni con vuoti effetti grafici). Parlo della capacità di far muovere e di far recitare i personaggi, come attori. Pochi disegnatori sanno farlo. Daniele è uno di quei pochi. Fantastico.
1 commento
Bellissima intervista!! Forza Prof. siete sempre il migliore!! Vi penso spesso, grazie ancora di tutto!
Buon lavoro!! Denise