Il post di novembre
Cari nani che non vengono per nuocere, questo mese sarà sul diciannovesimo Gigante che si disputerà la consueta guerra tra forumisti per aggiudicarsi il premio messo in palio in questa rubrica.
Un albo (comunque storico per il ritorno di una delle più vecchie e rimpiante fiamme del nostro Dylan) giudicato tiepidamente, promosso con qualche riserva qua e là dalla maggior parte degli spietati critici del forum, ma schiacciato dal confronto con l’illustre predecessore del 2009, che aveva riscosso consensi più decisi.
Anche questo mese, c’è una prima volta: l’esordio nel ristretto gruppo dei premiati da parte di una delle rare, ma preparatissime, donzelle di Cravenroad7…
Un applauso alla nostra…
Fedylaniata
La dotta Lady Fedy, che in teoria dovrebbe essere esclusa dall’agone in quanto parte dello staff di Cr7, è stata invece esclusa dal nostro ‘tetro conciliabolo blogettaro’ grazie al vecchio trucco della scimmia a tre teste. D’altra parte, come si fa a non premiarla per un post così:
Su Belve di città (Mignacco/Piccatto) c’è ben poco da dire. L’evoluzione non disprezzabile del personaggio di Seline è incorniciata in una storia indigesta, in certi punti sbrodolata e molto poco impressive – direbbero oltre Manica –, altrove inverosimile (fino all’illogicità) e sgangherata. Inutile sovrapporsi oltre a quanto avete già fatto emergere. Piccatto continua sulla scia minimalista, sia pure con frettolosità leggermente inferiore alle ultime uscite, ma francamente mi risulta difficile rubricare questa sua prova come “sintesi stilizzante” (vedi alla voce Dall’Agnol).
Anche a me sembra che Autoscatto (Marzano/Dall’Agnol) possa trovare in qualche modo un “ipotesto” nella celebre serie The Twilight Zone*, che ai dylaniati dovrebbe dire qualcosa, al di là della trilogia sclavian-masieriana: basti pensare, ad esempio, alle prime tavole di Cronache di straordinaria follia… Resta che la narrazione non sfrutta appieno gli aspetti surreali e/o stranianti offerti dal contesto, mantenendo un profilo piuttosto freddino – e a questo concorrono anche i dialoghi**, impostati su un mero livello “informativo” quando non del tutto ingessati. Né uno switching ending, il rovesciamento finale di prospettiva caratteristico degli episodi della succitata serie, corona l’insieme con un colpo di coda. Direi che la brevità ha impedito che divenisse irrimediabilmente noiosa. Dall’Agnol, dal canto suo, offre la consueta prestazione mostruosa, con qualche oscillazione nella leggibilità e alcune (poche) prospettive non pienamente convincenti, annacquate però in tavole globalmente magistrali per espressività e recitazione dei personaggi, capacità di rappresentare sinteticamente, scelta delle inquadrature, atmosfera.
* E chi mi nomina una famigerata serie di romanzi… peste lo colga!
** Unitamente all’insopportabile tormentone del Dylan delinquente.
Il penitente (Ruju/Freghieri) agguanta agevolmente la palma di storia migliore dell’albo, benché i suoi meriti siano parzialmente amplificati dal sapore sciapo delle altre portate. La sceneggiatura è condotta con mano ferma e precisa, lineare ma piacevolmente inattesa in alcuni snodi. Interessante soprattutto lo scioglimento finale, dall’idea dello spettro famiglio al rinvenimento di Mattie, sempre più vittima di un’autodistruttiva visione morbosa dell’amore, al tentato omicidio – con pronto ravvedimento («Questa non serve più! Anzi, non serve mai.») – da parte di Dylan. Se non ci si sofferma troppo sull’implausibile scelta di abbandonare la ragazza al suo amante/carceriere, le ultime tavole lasciano con il dubbio di che cosa sarebbe potuto accadere se l’Old Boy non avesse assistito al concreto materializzarsi di una punizione ben più dura per Braddock. L’altra faccia della medaglia è rappresentata da una generale atmosfera non molto inquietante e piuttosto “anestetizzata”, con pochi sussulti, ma la narrazione riesce a essere comunque soddisfacente e scorrevole. Concentrato e funzionale Freghieri: che le tavole non patiscano come in altre occasioni il formato del Gigante mi sembra indicativo.
Ps. A p. 136 stesso richiamo ad Arancia meccanica che in Mater morbi.
La confessione (Gualdoni/Vetro) è discreta, non molto di più. Le tavole scorrono fluide ma anche sin troppo anonime e placide, col ribaltone finale che – mentre ingarbuglia il quadro – introduce alcuni elementi di ambiguità (avete richiamato la caratterizzazione di Danielle e dell’avvocato, ma una certa carica emotiva e, appunto, ambigua riveste anche quel disperato «Danielle… Amore… Amore mio!»). Forse, però, sarebbe il caso di battere nuove vie* all’infuori di quella del Dylan «alternativo», sempre più cristallizata come locus communis (lo evidenziava da qualche parte Cyber Dylan), anche perché le potenzialità non difettano allo sceneggiatore. A differenza di alcuni, l’esordio di Vetro non mi è spiaciuto. È naturale che non potesse esibire una cifra stilistica già molto caratterizzata e personale al suo esordio, ma i disegni mi sono parsi dettagliati, efficaci e gradevoli quanto basta.
* Speriamo che il premier non legga, sennò anche lui vorrà conoscere queste nuove strade.
4 Comments
ma non si capisce x me!
Mmm, nemmeno x me!
Raccomandata!!!
Il mutuo è stato pagato a mia insaputa!