Sorvegliato speciale – Intervista a Luigi Mignacco
Sorvegliato speciale Soggetto e Sceneggiatura: Luigi Mignacco |
John Bixby è un uomo apparentemente comune, ma che per qualcuno sembra avere un immenso valore, almeno a giudicare dal gran numero di mezzi e uomini impiegati per spiarlo. Ora che l’inquilino di Craven Road ha deciso di aiutarlo, anche la sua vita sarà al centro del mirino… |
Cari spioni, un paio di giorni fa, parlando del Maxi, vi abbiamo fatto conoscere un po’ meglio l’esordiente dylaniato Andrea Cavaletto. Oggi con grande onore ospitiamo per la seconda volta in poco più di dieci giorni Luigi Mignacco (già protagonista qui, nel caso vi foste persi la sua precedente “apparizione”). Per quest’occasione Luigi ci rilascia una fantastica intervista, una piacevole “passeggiata” attraverso gli anni della sua lunga carriera, soffermandosi su alcuni episodi particolarmente salienti del suo lavoro di sceneggiatore e riconoscendo anche alcuni dubbi e incertezze. Inoltre, ci regala qualche piccola anticipazione sulla sua storia di prossima uscita.
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Ciao Luigi, con un po’ di “timore reverenziale” ti diamo il benvenuto su Cravenroad7.it e ti ringraziamo per quest’intervista.
Sono io che ringrazio voi per l’ospitalità sul sito e per la passione con cui seguite il nostro lavoro.
Il succitato “timore reverenziale” deriva, oltre che dal fatto di aver creato alcune delle storie più celebri dell’indagatore dell’incubo, come I conigli rosa uccidono o Il sogno della tigre, anche dalla constatazione che tu sei uno di quelli che su Dylan Dog c’è stato fin dall’inizio. Infatti, dopo Tiziano Sclavi e Giuseppe Ferrandino, sei stato il terzo sceneggiatore a scrivere per la testata, esordendo con l’albo n. 14, Fra la vita e la morte. Ci racconti com’è avvenuta la tua convocazione per l’allora nascente Dylan Dog?
Ho conosciuto di persona Tiziano nell’86, ma già da prima lo consideravo un mito, avevo letto le sue storie sul Corriere dei Ragazzi e un paio di altre su Ken Parker, sapevo che aveva sceneggiato anche qualche Mister No, insomma per me era già uno “famoso” (e anche per tutti quelli che s’intendevano di fumetti). Io avevo scritto la mia prima sceneggiatura di Mister No, Le tigri volanti, un “romanzo” di 341 tavole in cui raccontavo le imprese giovanili del mio eroe preferito… Bonelli in persona mi aveva autorizzato a realizzare questa storia in cui praticamente io, l’ultimo arrivato, “battezzavo” il personaggio creato da lui, un grande onore! Tiziano, che allora era il Redattore Unico della casa editrice, aveva supervisionato la sceneggiatura (cambiando poco o nulla), mi mandarono nel suo ufficio e lui mi fece i complimenti, per me fu proprio come ricevere una medaglia sul campo, o un oscar!
Pochi mesi dopo uscì il primo Dylan Dog, ricordo che lo presi in redazione qualche giorno prima che fosse in edicola e mi piacque un casino. Anche se mi sembrava un personaggio destinato a una pattuglia di pochi scelti lettori, quasi un erede di Ken Parker: troppo “ben fatto” per piacere al grande pubblico, disegni raffinati e sceneggiature ben ritmate che potevano risultare “difficili” per i lettori di Tex, Zagor eccetera. Insomma, non ci ho preso proprio per niente!
Qualche settimana dopo, forse era già uscito il n. 2, Tiz mi telefonò chiedendomi se volevo provare a sceneggiare un suo soggetto e accettai con entusiasmo. Mi mandò tre sceneggiature di storie non ancora pubblicate per farmi capire il linguaggio (mi sembra che fossero Killer!, Alfa e Omega e Il ritorno del mostro) e io le lessi avidamente per tentare di carpire la magia del suo stile. Il soggetto era quello di Fra la vita e la morte, quattro pagine che sintetizzavano la trama. Prima di mandarmelo mi domandò: “Tu sei mai stato operato? Hai mai fatto l’anestesia?” “Sì, un anno fa mi sono rotto la gamba cadendo in moto e mi hanno fatto la totale.” “E hai avuto paura?” “Mah… Francamente no…” “Impossibile! Chiunque faccia l’anestesia totale DEVE avere paura. Perché l’anestesia è come MORIRE!” Rimasi un po’ perplesso dopo questa affermazione, ci ripensai e mi accorsi che anch’io, la notte prima dell’operazione, avevo avuto molti pensieri angosciosi che avevano incrinato non poco la mia fiducia razionale nei medici che “fanno un intervento di routine, non c’è nulla da temere”. Questo e altri elementi entrarono nella storia che perciò fu su soggetto di Tiziano ma un po’ “autobiografica”.
Sappiamo che insieme a Tiziano Sclavi sei stato coautore dei testi dell’ormai mitico Speciale Dylan Dog n. 3, Orrore nero. Ci spieghi in che modo si scrive una sceneggiatura “a quattro mani”? E in particolare, come si è rivelata l’interazione fra te e Tiziano per questo lavoro? L’uno aveva la possibilità di agire sulle parti scritte dall’altro?
Altro revival. Tiziano mi chiamò in redazione e mi disse che non riusciva a seguire tutti i disegnatori: per lo Speciale, affidato a Gianni Freghieri, aveva pensato a un crossover fra Dylan e Francesco Dellamorte, personaggio che aveva ideato per un romanzo allora inedito e che era un po’ un “prototipo” di Dylan. Lui avrebbe scritto le parti di Dellamorte, cannibalizzando il suo romanzo. A me affidava la parte londinese con Dylan, aveva già fatto le prime sedici pagine in cui si presentavano i personaggi di alcuni gangster e di un ragazzino. Mi chiese: “Hai letto I Buddenbrook?” “Ehm… No.” “Male. Un bravo sceneggiatore deve conoscere I Buddenbrook. Nel romanzo di Thomas Mann c’è un ragazzino che muore, Hanno. Beh, lui muore fra un capitolo e l’altro. Le scene della malattia mortale, del funerale eccetera non ci sono. A un certo punto c’è solo l’assenza del personaggio. Tu devi fare lo stesso con il nostro ragazzino!” E io eseguii: la mia prima scena è quella di Dylan con la cravatta che torna dal funerale (I Buddenbrook l’ho letto dopo aver scritto questa storia e lo consiglio anche ai non sceneggiatori) e poi sono andato avanti raccontando tutta questa storia di Dylan contro i gangsters, più realistica e avventurosa, che controbilanciava un po’ le vicende surreali di Dellamorte. Il finale con l’incontro fra le due storie lo scrisse Tiziano (mi sembra di ricordare che lui mi diede un punto d’arrivo, la bara del gangster che torna in Italia destinata al cimitero di Buffalora in cui i morti ritornano, ma non ve lo do per certo. Anche Orrore nero non ce l’ho sottomano e lo cito a memoria…).
Insomma, la storia fu scritta a quattro mani ma ognuno per conto suo e Tiziano mi lasciò molta libertà!
Poco fa si parlava de I conigli rosa uccidono e Il sogno della tigre. La prima storia è entrata recentemente a far parte di una trilogia, con i seguiti Il paese delle ombre colorate e I conigli rosa colpiscono ancora, mentre da alcune anticipazioni apprendiamo che la seconda storia avrà una sorta di, diciamo, “prosecuzione” sul Dylan Dog Gigante in uscita a novembre, con il ritorno di Seline. Allora ti chiedo: se nel cinema il successo di un horror si misura con la sua capacità di generare seguiti, credi si possa applicare lo stesso ragionamento anche per questi tuoi “cicli narrativi”?
Beh, non farei questo paragone. Nel cinema i sequel nascono da esigenze commerciali, si punta sullo stesso pubblico che ha visto i film precedenti. Una serie a fumetti che esce tutti i mesi, invece, ha già un suo pubblico fedele. Certi personaggi “a volte ritornano” per ragioni unicamente narrative: è come se “loro” vivessero di vita propria e ci obbligassero a raccontare le loro storie. Con Pink Rabbit è successo così: io credevo di avere detto tutto nei “Conigli”, e invece mi sono accorto che la spiegazione finale non bastava, anzi era falsa e non spiegava nulla, il Coniglio Rosa esigeva di essere reale e di avere un suo mondo, il “Paese delle Ombre Colorate”; poi credevo che fosse finita, ma “Lui” mi ha imposto di raccontare un’altra storia per spiegare che a uccidere non sono i “conigli rosa” della follia ma certi “uomini in grigio” che hanno i loro moventi razionali, economici, perfettamente logici. Quanto a Seline, come ho già detto, non è un seguito, non è una storia costruita su quella: c’è solo la curiosità di vedere come è cresciuta quella ragazzina di tanti anni fa. Tutti noi siamo cambiati, è cambiata anche lei.
Nel volume Making of DYLAN DOG hai dichiarato che per te l’inquilino di Craven Road è una specie di “psicanalista bravo”. E nelle tue storie l’elemento psicanalitico e lo scandaglio dell’anima sono fattori non solo ricorrenti, ma in alcuni casi addirittura preponderanti, basti citare albi come L’uomo nero, I ricordi sepolti o Da una lontana galassia. Questo vuol dire che ti sentiresti di applicare a Dylan stesso il suo celebre consiglio prima di accettare il caso da un cliente, ovvero quello di rivolgersi ad un buon analista?
Dylan dallo psic? Bella domanda! In effetti il nostro ha le sue fobie e piccole nevrosi, il suo passato è un buco nero e le sue personali paure sono quello che lo spinge a comprendere le paure degli altri e a fare il mestiere che fa…
Ma io non lo manderei in analisi. Dylan vive in un mondo diverso dal nostro, che del nostro mondo però è lo specchio fedele: è il mondo della fantasia, qualcuno che se ne intende più di me direbbe il mondo dell’inconscio. Quando lui consiglia a un potenziale cliente di andare dall’analista fa una battuta che dà anche al lettore una chiave d’interpretazione delle sue storie: i mostri immaginari del mondo di Dylan hanno una corrispondenza reale nelle paure e nelle fobie del nostro mondo. Insomma, una chiave di lettura realistica, ci fa capire che vampiri e fantasmi sono “veri” e che anche noi li conosciamo bene. Ma nel “suo” mondo questi mostri esistono veramente. Perciò Dylan non ha bisogno di un analista che lo aiuti a capire da dove vengono mostri e paure. Significherebbe “attraversare la pagina” e arrivare nel mondo reale. Significherebbe spezzare la magia delle sue storie. Un finale un po’ deludente, come quando Pinocchio diventa bambino in carne e ossa. Inoltre, un analista non lo aiuterebbe ad affrontare i mostri reali del suo mondo. Insomma, teniamocelo così, con la paura del buio, le vertigini, eccetera!
Parlaci un poco della tua storia in uscita sul prossimo Maxi, Sorvegliato speciale.
È una storia sulla paranoia, sulla paura che la nostra vita banale sia al centro di un grande complotto, e anche sulla domanda di “autenticità” che poniamo a noi stessi e a quelli che ci circondano. La vicenda è ispirata a The Truman Show, con l’innesto di sviluppi spionistici, polizieschi e anche un po’ metafisici. Non è una storia facile, la trama è complicata ed è piena di spiegazioni che si contraddicono ma sono tutte un po’ vere. Insomma, gioca anche un po’ ironicamente sullo “spiegazionismo” che, pur contestato, è una parte importante dei nostri fumetti. Non è una storia facile, ho faticato a costruirla e ci ho anche sofferto, perciò temo che sarà “impegnativa” anche per molti lettori avvezzi a trame più facili (ma non per gli abituali frequentatori di Craven Road 7!).
I disegnatori: quando l’ho scritta non pensavo a Montanari e Grassani, francamente. Ma loro hanno fatto un buon lavoro, so che hanno sgobbato parecchio perché nella storia ci sono molti personaggi e ambienti e il risultato è davvero soddisfacente. E ha quel taglio un po’ surreale che è la loro cifra stilistica, quel raccontare la vita quotidiana facendo capire che tutto è finto, cosa che si adatta benissimo a questo racconto.
Te la sentiresti di compiere un piccolo bilancio sui tuoi più di vent’anni di lavoro per l’indagatore dell’incubo? Qual è stato un momento particolarmente significativo di questa avventura, o un passo falso che non rifaresti?
Il passo falso: Una voce dal nulla. La sceneggiai in poco tempo, meno di un mese, perché mi ero messo in testa che un bravo professionista deve essere anche veloce. Un errore di gioventù! La storia non era granché, Tiziano riscrisse molti dialoghi e s’incazzò giustamente con me. Non rifarei quell’errore e non l’ho più fatto: belle e brutte che siano, le storie le ho sempre scritte nei tempi “giusti”, riflettendoci sopra, partecipando a quello che scrivevo, soffrendoci e divertendomi.
Momento significativo: mi sembra importante avere partecipato alla nascita di Dylan Dog, anche se come soldato semplice ligio agli ordini del generale Sclavi e assolutamente inconsapevole del fatto che si stava “facendo la storia” del fumetto italiano. Cosa di cui non ho nessun merito, ma almeno oggi posso dire “io c’ero!”.
Ultima domanda: come la protagonista di Appuntamento con il destino, una tua storia apparsa sull’Almanacco della paura 2008, ti chiediamo di “improvvisare” doti profetiche. Qual è per te il futuro di Dylan Dog?
Ricordandovi che non sono un profeta, posso dire che, in un momento oggettivamente difficile per il fumetto italiano, Dylan Dog regge bene: è il secondo o il terzo mensile più venduto (dopo Tex e forse Diabolik) e da poco tempo ha addirittura una nuova testata, il Color Fest che diventa semestrale. Insomma, per l’orrore prevedo un futuro roseo!
Ancora grazie e buon lavoro!
Grazie a voi e felici incubi a tutti!
2 Comments
una voce dal nulla..passo falso?? ma se è stata quella storia che mi ha introdotto a DYLAN……
Personalmente invece sono un fautore della Storia di un povero diavolo. 😉
…E de Il sogno della tigre, una di quelle storie di cui ricordo con precisione quando e dove l’ho letta, e la sensazione che mi aveva trasmesso.