Le premesse non erano neppure male, ma il risultato finale è stranamente esangue -non resta che provare a immaginare, con un certo rimpianto, cosa ne sarebbe venuto fuori se ci fossero stati il Chiaverotti e il Mari d'altri tempi. I disegni sono sempre un bel vedere, certo, ma questo Mari normalizzato, alleggerito e ripulito, è inevitabilmente meno evocativo di quello che aveva esordito con "Phoenix" (che già a sua volta era un po' più "leggibile" di quello del quale mi ero innamorato sulle pagine di Nathan Never). Streghe e vecchie decrepite e occhi sporgenti che traboccano di follia e orrore gli riescono benissimo; un po' meno convincente mi pare il suo Dylan, a tratti troppo giovanile.
Dylan è praticamente in gita, dal momento che non rischia nulla (perché la strega attacca Claire e non lui, poi?), e lo stesso si può dire di Chiaverotti: come appare evidente già dal prologo, decisamente statico e verboso. Due aggettivi che in verità si adattano anche al resto della storia, che non si fa mancare soluzioni di comodo (si replica il teatrino di "Possessione diabolica", con Bloch che prima nega il suo aiuto a Dylan e subito dopo, indirettamente, glielo fornisce) ed errori di continuità (Dylan e Claire partono per il bosco di prima mattina, ma ne vengono subito scacciati, e sulla via del ritorno Dylan è convocato dal sergente, che gli dà la videocassetta -ma allora, perché quando torna al bungalow Claire sta già dormendo?).
La soluzione coinvolge l'ennesimo caso chiaverottiano di doppia personalità/identità, ai bordi della schizofrenia, anche se un controfinale vecchio stile rilancia, e anzi convalida, l'interpretazione soprannaturale (anche qui in maniera molto verbosa, con la spiegazione della strega che è unicamente ad uso del lettore). Meno male, perché la rivelazione è deboluccia assai: non solo abbiamo una ricercatrice universitaria che di punto in bianco si rivela un'abilissima criminale, falsificandosi pure i documenti (senza problema, come tiene a sottolineare), ma dobbiamo anche credere che basti mettersi delle lenti colorate e cambiare pettinatura perché NESSUNO riesca a riconoscerti... a parte Dylan, che peraltro non ci arriva coi suoi occhi, ma ha bisogno di una frase sibillina pronunciata da una donna che è in silenzio da mezzo secolo.