Pierrebi, eccomi qui, con un ritardo mostruoso! Scusami, scusami, scusami ancora.
Mi sono riletto le due storie della Baraldi con in testa questa chiave di lettura, ho colto diverse cose in questo senso, in effetti, e il finale del 437 è chiaro, in questo senso. Intanto grazie di avermi dato questa chiave di lettura, che sicuramente mi interessa di più rispetto a quella che vorrebbe che le ombre siano i lettori che ammazzano i personaggi che non amano: le due non si escludono, ma quest'ultima è piuttosto pretestuosa e basata soprattutto sulla conoscienza delle meta-fisse del Recchioni autore, per quanto mi riguarda. Mi spiace che sia saltata fuori così tardi!
Anche rispetto a questo tipo di ricostruzioni:
V.M. ha scritto:
Mi immagino la scena.
Lanzoni va a casa di Sclavi e gli dice: "Tiziano, ho saputo che vuoi far tornare Dylan alle origini e mi è venuto in mente un soggetto meraviglioso.
Ci sono delle strane ombre che compaiono nei sogni, vagano nel tempo e nello spazio e hanno il potere di cancellare persone e avvenimenti dall'universo e dalla memoria.
Vogliamo far sparire Rania, Carpenter e la parentela fra Bloch e Dylan?
Fuori uno, fuori due, fuori tre
e alla fine torna tutto com'è"
che erano esattamente come me l'ero immaginata io
, l'idea di chiudere il vecchio nuovo corso come una metafora sulla memoria e la morte mi piace, in potenza.
Ahimè, in potenza.
Purtroppo, per quanto mi riguarda, questa tua osservazione marca soprattutto il divario tra le idee della Baraldi, anche interessanti, e l'esecuzione. Mi sembra una massa di cose appiccicate insieme, alcune anche riuscite, che però non fanno una storia (di Nessuno, vorrebbero loro) ma una minestrona con i pezzoni. In particolare, il personaggio di Jasper Kaplan non ha il minimo senso, cambia a ogni scena.
A volte, lo scarto tra l'interpretazione degli autori e quella del lettore produce cose più interessanti dell'idea iniziale. Per me, questa non è una di queste volte, purtroppo.
E sottolineo "interpretazione" degli autori, nel senso che, dalla pubblicazione in poi, la loro diventa una visione sull'opera legittima come le altre, anche se ovviamente tante volte sarà più profonda e comprensiva (e grazie al carso, dirai tu
). Su questo tema mi aveva colpito molto Nick Cave
https://www.theredhandfiles.com/what-is ... urn-about/ . O, per fare un altro esempio, io sono uno di quelli che adorano la final cut di
Blade runner, e questo anche perché mi sono trovato diverse volte a interpretare in modo diverso il salvataggio di Deckard nella famosa scena, trovandomi spesso in disaccordo con la versione spiattellata dal voice over.
Ecco, questo per dire che il dolore per l'oblio dopo la morte non riesce a convincermi, come grande tema della trilogia! Mi piacerebbe, ma lo trovo schiacciato dall'antipaticissima componente metaletteraria. Ma passa un albo in più a mettere a fuoco quello, invece di svaccare con Matrix e ombre metallare! Boh...
E le radiazioni da...
spazio profondo? Ma porco cane.
In ogni caso, rileggendo quest'ultimo numero ho trovato alcune cose che mi sono piaciute e su cui avevo sorvolato a una prima lettura.
In particolare:
- mi ha colpito la sequenza di Bloch scapolone. Le notizie alla TV sono il passaggio di trama veicolato da quella sequenza, ma la scansione data dalla serata tipo di un solitario mi è sembrata molto riuscita. Il "ping" del microonde il mio preferito! Una mini-storia un po' alla Carver infilata di straforo.
- Pag. 62, "se trovi un bivio, prendilo". Questo è quel che succede nel primo albo, con le pillole rossa e blu!
- pag. 83, il dettaglio del gatto.
- Il finale assurdo con una sala piena di morti non identificati. Ecco, qui per esempio forse dovrei essere triste per Bloch che dimentica Carpenter ("un uomo che stimavo", dice qualche pagina prima), ma per quanto mi riguarda non funziona proprio, pur essendo rimasto impressionato dalla sua morte.
Ultimo dettaglio, dal forum di Nathan Never qualcuno fa notare che le date del fascicolo di Kaplan corrispondono a momenti chiave della vita fumettistica di Sclavi, 1953 (nascita), 1973 (prima opera pubblicata) e 1986 (che ve lo dico a fare). Mi fa ridere perché capace che sia uno di voi che lo scrive.