Detto questo un parere sull'albo in sé
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Ok, "in sé", ma fino a quanto?
Lanzoni&consorte possono recitarmi per ore fino al mantra conculcato il fatto che tutto para ad una trilogia progettata a monte(carlo, di rilancio?), ma a conti fatti non ci vuole un esperto di filologia modernesca per comprendere come il collegamento tra il lavoro della Baraldi e quello di Recchioni sia molto tenue se non sfasato. Non solo per lo stile, ma per il registro complessivo della storia e di dove vorrebbe arrivare. Lanzoni può aver fornito anche uno spunto unico/collettivo/da collant-e ma non autoregge nessun andamento narrativo coeso, e s'impicc(i)a in modo poco sinouso dentro una guepiere da cul de sac per ricollegare le parti del "corpus" che dovrebbero invece darle una silhouette formosamente organica e slanciata al naturale
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Siamo passati da
Matrix con Dylan a spasso nel non-spaziotempo da classica meta-storia divagante, al consueto b-movie con gli shperimenti dei mad docs, e il killerissimo che si nasconde negli anfratti ombrosi della casetta desolata.
L'unico imprinting residuale rinvenuto dall'episodio precedente, a parte l'incappucciato (eccemancherebbe che mancasse pure quello
), è la questione del reset delle memorie. Che vuol dire tutto&gnente in senso narrativo: cancelli la memoria e riscrivi nantra storia; comodo no
Pertanto , ho gradito maggiormente il #435 perché Recchioni è meno scontato e preferisco Pontrelli a Gerasi...
... ma alla fine ho
votato 6 - - di manica molto slabbrata, dato che tutto sommato si presenta meno idiota pro-tredicenni emodark della media baraldesca, e (forse) promette qualcosa di interessante per il prossimo numero.
S ◙ P ◙ O ◙ I ◙ L ◙ E ◙ R ◙ Parto dalle (due, nun c'allargamo) cose migliori: l'intro con l'incubo della non-moglie che alla fine si rivela seviziata a morte, e l'epifania dal regno degli alberi comunicanti tra Rania ed Oliver, come epilogo. Due belle scene, che non posso dire si assestano all'altezza del resto della storia, che invece tonfa di morbide chiappe senza fragore in ciò che insta nel mezzo di questi due riquadri
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Carol è un personaggetto di contorno che straparla e si contraddice da sola con l'aggravante di
prestare il fianco a ai soliti buchi di logica di cui la Baraldi è faconda: ci mette non so quanti baloons per ammettere di esser stata lei a spedire il pacco con le foto nel numero scorso a Dylan - sviandolo alla rinfusa con dolo immotivato - e poi disconosce di saper alcunché (p.16.ii) sull'albergo dove è stato trovato il cadavere spappolato del "presunto" Kaplan, mentre in quella scatola da LEI SPEDITA c'era una foto dove troneggiava bellamente proprio l'Hotel Bramford.
Due sono le cose, o Carol è un'incapace nel gestire le fregnacce da gombloddo per uccellare Dylan, o l'uccellino del malaugurato scalcagnamento logico dei dialoghi di Talebarbara è tornato alla finestra
Passiamo alla sequenza della
Clinica del Sonno, che era potenzialmente la più stimolante per risorse, mentre si è rilevata la più banale e loffa, col solito motivetto di forzare e visionare gli incubi in stato d'incoscienza, stavolta infestati dagli ometti vuoti di Eliot a corredo.
Personalmente mi dà la nausea l'atteggiamento infantilmente moralista per istinto di Dylan che si butta alla disperata in cose che non conosce pensando di farsi giustizia da solo, irrompendo nella stanza dei dormienti ad cattsum, a rischio di fare gravi pasticci, illudendosi di poter prelevare dai letti almeno 4 pazienti attaccati delicatamente a macchinari molti sofisticati...
... senza contare che tutta la faccenda della
paralisi ipnagogica viene trattata in modo scafesso a dir poco, non tanto nel contenuto in sé (scientifico o fantasioso che sia), quanto per la dialettica illogica - aridaje
- che la Baraldi snocciola per illustrarla. Un eloquio diagnostico pro-supercazzola involontaria in pratica (pp.22-24), per bocca alla dott.sa Eche.
L'illustre luminare parte dicendo che Kaplan
"soffriva" di paralisi ipnagogica, ma subito dopo fa capire che è una cosa comune a tutti gli individui umani, per autodifesa naturale dai movimenti convulsi durante i sogni/incubi. Ed in questo solco concettuale le allucinazioni ipnagogiche sono alla stregua dei sogni stessi, per dirlo in soldoni... per cui una volta illustrata così la faccenda, non ci sono fattori per distinguere Kaplan & co dagli altri comuni sognatori, e parte l'intensità di questi incubi e dall'esser pienamente coscienti nella consueta paresi.
La parte per il tutto, il tutto per la parte: ci vorrebbe un diagrammino di Venn con le nuvolette concentriche o intersecanti per far capire alla Baraldi certi sillogismi a lei non pervenuti...
Poi per agghindare stile fantasy da telefilm per tredicenni il tutto (p.25), la dottoressa la mette sulla falsariga delle barzellette da taverna dove "
c'era un francese, un tedesco, un inglese, un italiano" etichettando gli omini vuoti d'ombra con nomi dal vago retregusto arcano, jinn per gli egiziani, fantasmi per i cinesi, per gli inglesi spiriti... e (cit.) "
nella NOSTRA cultura popolare shadow people". Ma "nostra" de chi? Dei dottoroni che non c'entrano nulla con la cultura di strada? Degli inglesi post-Brexit? Degli sbandati con disturbi del sonno che hanno fondato un partito social anti-gombloddo? Anche stavolta la Baraldi non capisce come determinare la parte per il tutto, ed il tutto per la parte....
Dopo l'excursus metacosmico, che si rivela un comodo escamotage per virare verso altro, compiacendosi di una citazione diffusa (pp.44-46), comincia la seconda metà dell'albo: abbastanza scadente e priva di sussulti degni d'interesse a mio vedere, a parte la (paventata?) morte sacrifichevole e sacrificabile della Rakim che troverà sviluppi nel prossimo albo, lacrimoni inclusi
.
Rania ha bisogno di troppe pagine per spiegare il contesto precedente delle indagini; la storia del "dimenticato" Oliver non prende, e a livello di caccia all'uomo non tiene per nulla la raccomandazione della stessa Rania di non allertare/allarmare il sospetto nel casolare (p.50) quando i suoi colleghi sparano in modo lampante gli abbaglianti di non so quante volanti (pp.46-67) nei dintorni agresti, senza contare le torce verso l'alto.
Troppe pagine anche per metter in moto la parte action, con gli sbirri che fanno la consueta parte dei fessi inermi - loro sì presi da paresi, senza sognare però
- davanti alle acrobazie ninja dell'incappucciato.
In generale ho apprezzato il lavoro di
Gerasi ma proprio in questa parte più horror classicheggiante ho ritrovato diverse sue carenze. Malino la decomposizione facciadischeletro dell'incappucciato (p.79) su cui la pixelatura non nasconde un vuoto originario con poco da dire e ancora meno da raffigurare. Male, fino all
'anonimato quasi insulso il paginone (p.68) con la collezione di cadaveri appesi e relative cianfrusaglie, che doveva rappresentare il clou macabro di tutta la storia
Non con afrore, in vista del #437, il resto mi puzzerà comunque di lamentevole meta-discorsetto per pararsi le terga.