Volessi cercare l'effetto sorpresa a ogni costo, direi che sono d'accordo con tutti i commenti che mi hanno preceduto... per poi, a pagina 98, rivelare che in realtà
-let's do the (Chiaverotti) twist again!
-
dentro di me ci sono due persone.
La prima è quella che lesse l'albo all'epoca della sua uscita, affascinato già dalla copertina (e perfino dalla combinazione giallo/nero della testata, che forse non si era mai vista prima -non con quella tonalità di giallo senape, almeno), e ancor di più dal richiamo a una
continuity della quale fino a quel punto, nei due anni da lettore dylaniato, avevo avuto pochissimi esempi. E poi dalle morti visionarie e crudeli, dalla spietata bellezza di Hannah, dalla tristezza e dalla disperazione di Dylan davanti alla morte delle sue vecchie fiamme, dai disegni dell'immenso Brindisi. Ai tempi, l'avrei indicata come una delle mie storie preferite, e quasi sicuramente la migliore dell'anno, oltre che del mini-ciclo chiaverottiano di quei mesi.
La seconda è quella che ha riletto l'albo, dopo venticinque anni o poco meno. Che non ha cuore di rinnegare completamente le sensazioni e le suggestioni della prima persona, con la quale ha ancora qualche vaghissimo rapporto, ma che non può neppure fingere di non notare il tono caricaturale di troppe situazioni, non adatto a una storia così malinconica e autunnale (la faccenda del cellulare nella bara, resa ancora più inspiegabile dal fatto che la telefonata ricevuta da Dylan arriva da un numero fisso...
), o il clamoroso e già evidenziato errore di nomi e date relativo alla stessa Hannah (Goldstein, Lester, conosciuta negli anni '20, nata nel 1932...). Qualche buona trovata c'è -piuttosto originale l'idea di mostrare la morte di Kelly prima di rivelare il suo legame con Dylan-, ma anche qui Chiaverotti si ricicla parecchio: ammazza l'ennesimo ragazzino, fa tornare dal passato di Dylan (come in "Titanic") un altro "amico" sconosciuto al lettore, ossia Ben Joker (!), che finisce letteralmente murato vivo -come già accaduto due mesi prima, nelle pagine di "Il mosaico dell'orrore" (ultima vignetta di pagina 38).
Sulla liceità o meno di cancellare in questo modo il passato di Dylan non ho un'opinione precisa -ma sinceramente già all'epoca mi pare che la questione dei suoi "amori eterni a scadenza mensile" fosse scaduta a livello di cliché, perfino all'interno dello stesso universo dylaniano, e dunque si rivelasse sempre più difficile da riproporre e giustificare non-ironicamente (cosa che, dopo otto anni, poteva anche essere prevedibile). La Barbato e il suo spietato lavoro di decostruzione di questo tratto erano ancora lontani, ma era già abbastanza chiaro che il rapporto di Dylan con le donne (che, detto per inciso, mi è sempre parso non del tutto compatibile con i tratti più introversi, cupi e malinconici del suo carattere) dovesse essere almeno parzialmente ripensato.