Toninelli vs. Dylan Dog parte seconda (e ultima), o: no, dai, siamo
davvero sicuri che non sia Chiaverotti?
Nel mezzo di quella che potrebbe essere la decade più sanguinolenta della testata (quella tra il #41 e il #50, ossia tra "Golconda!" e "Ai confini del Tempo" -rimane fuori per un soffio "Il Male", #51, nel qual caso probabilmente avrei potuto evitare il condizionale), "Riflessi di morte" riesce comunque a distinguersi per la generosità e l'audacia con cui elargisce splatter ed erotismo. Il primo aveva già caratterizzato la precedente sceneggiatura di Toninelli ("Giorno maledetto", #21), ma qui si va anche oltre, almeno per quantità ed esplicitezza; il secondo, invece, è più o meno una novità.
In questo senso, come nota Kramer, resta memorabile la scena della strage in classe, ma ancora più tosta e conturbante è la sequenza col gatto a nove code -e la sua appendice, in cui il sadismo si capovolge (logicamente, del resto) in masochismo estremo (letteralmente). La lessi intorno ai quattordici anni, e non sono sicuro di aver colto la sfumatura erotica (... be', più che una sfumatura) di quegli atti di violenza; letta adesso, trovo abbastanza incredibile che una cosa del genere sia apparsa su un albo della Bonelli -cosa che vale, in effetti, anche per la mattanza adolescenziale di Elise. Indimenticabile anche Myrna, una Anna Never se possibile ancora più svampita e distratta.
L'unico neo -ma leggero come quello di Myrna, e in ultima analisi trascurabile- è legato proprio alla sua figura: considerando la distanza a cui si trova, il suo quasi istantaneo svenimento, e la posizione del cadavere di Elise (e, appunto, la sua congenita distrazione), è poco plausibile che sia riuscita a vedere che la sua amica, stesa a terra, impugnava le forbici con la mano sinistra. Incongruenza leggera, tutto sommato, dato che nel giro di poche pagine gli esiti delle autopsie spingeranno comunque Dylan verso la pista dell'inversione, e quindi verso lo specchio.
A proposito, e a proposito del finale: