Mi accorgo di non aver mai postato le mie impressioni sul ciclo 666, scritte dopo averlo letto tutto d'un fiato. Sicuramente qualche considerazione è già invecchiata male o smentita dal prosieguo della testata, ma tanto vale lasciarla qui sul forum in ogni caso, come testimonianza dei pensieri che furono al tempo in cui furono scritti. Chiaramente presenti pesanti spoiler su tutto.
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Dylan Dog 666 (#401-406)
GIUDIZIO SINTETICO
Temevo peggio, nel complesso. Ci sono diverse parti dell’operazione che non ho gradito ma, complessivamente, il ciclo della meteora è stato pure peggio in quanto privo di identità, diviso tra diversi autori e con qualità media dei singoli albi inferiore al ciclo 666. Se partiamo dal Dylan Dog di Sclavi, siamo comunque sul filo del rasoio tra la mediocrità e la risicata sufficienza; ciononostante, ho apprezzato il 404 e il 405. Mi ha invece lasciato abbastanza freddo la trama orizzontale.
Era un’operazione di cui non sentivo, personalmente, la necessità. Non è una boccata d’aria fresca dopo lo scempio della meteora. Non so nemmeno quanto rappresenti un reale cambio di direzione in seno alla serie regolare, anche se c’è un aspetto che potrebbe rivelarsi molto positivo, ossia l’autorialità dei singoli scrittori. Positivo ovviamente qualora sarà lasciata carta bianca ad Ambrosini o a Bilotta.
I FATTI
Il piano narrativo fattuale dice che Dylan Dog vive delle esperienze paranormali, forse in alcuni casi dovute al suo alcolismo, in compagnia del suo amico e assistente Gnaghi. Piano piano emerge che queste vicende sono collegate fra di loro e a tessere la tela vi è un serial killer comico, che inscena le morti delle sue vittime sulla base di battute umoristiche di scarso livello. Dylan Dog indagherà su questi misteri, inseguendo il serial killer e risolvendo, infine, il caso. Non sarà un’indagine priva di effetti collaterali, dal momento che finirà per uccidere a sangue freddo un uomo, provandone rimorso, e perderà il suo assistente Gnaghi, ucciso dal serial killer. La vicenda ha dei risvolti positivi: Dylan sconfigge il demone dell’alcolismo e decide di dare una svolta alla sua vita, tagliandosi la barba, assumendo come assistente un sosia di Groucho Marx salvatosi dal serial killer e investendo anima e corpo nella nuova professione di Indagatore dell’Incubo, pronto a vivere nuove (vecchie) avventure.
IL PASSATO SARÀ DOMANI
Ci troviamo di fronte a un Dylan sostanzialmente pre-#1: non conosce Groucho (anche se nell’oscurità di un futuro passato ha qualche reminiscenza), sta ancora disintossicandosi dall’alcol, vive in Craven Road 7 ma non c’è il campanello che urla, ha appena preso la licenza da investigatore, ha ancora il tesserino della polizia, Bloch e Jenkins sono al loro posto. Tuttavia, a questo universo narrativo sono state aggiunte delle soluzioni prese da altrove: il fatto che abbia lavorato come becchino in un cimitero e conosciuto Gnaghi dà ulteriore riprova all’identificazione tra Dylan Dog e Dellamorte Dellamore, in un rimando interno tra altroquandi; ci sono Carpenter e Rania, da un universo narrativo post #337 ma precedente alla meteora (Carpenter ha il braccio); si scopre che Dylan è stato sposato con la collega Rania mentre era in polizia, per poi tradirla e scappare con una terrorista di cui poi si sono perse le tracce (Lillie Connolly). Altresì viene detto figlio adottivo di Bloch, che magicamente comincia a chiamare “papà”. Ritorna la dicitura “old boy” ma ritorna anche l’insofferenza di Dylan verso questo nomignolo, introduzione della nuova gestione.
IL FUTURO È OGGI
Dylan Dog va dal #1 al #400. Il Dylan del futuro anteriore post #401 è catapultato in un passato remoto pre-#1 in cui non ha ancora vissuto le sue avventure. Dylan si sdoppia ed è passato remoto (Dylan Dog Personaggio) e al contempo futuro anteriore (Dylan Dog Fumetto). Il Dylan del passato remoto vive le esperienze del suo futuro, che però per il Dylan del futuro anteriore sono le avventure del passato prossimo. In questo gioco di reminiscenze e distopie, Dylan Dog vive delle esperienze che richiamano vicende che non dovrebbe aver ancora vissuto in quanto personaggio, ma che ha già vissuto in quanto fumetto.
Questo è un piano narrativo del ciclo 666.
LO SPAZIO-TEMPO DYLANIATO
Esistono più possibilità di interpretare la linea del tempo di Dylan Dog.
Possiamo cercare di far quadrare quello che disse Sclavi nei #1, 7, 25, 43, 74, 100, 121 e quello che hanno aggiunto gli epigoni del Creatore nei celebrativi e sparse qua e là. Forse (e il beneficio del dubbio è una concessione) è possibile creare una timeline sensata. Ma più probabilmente già quel che ha detto Sclavi è passibile di smentita. Figuriamoci con quello che è successo dopo il #300. Dal #401 in avanti diventa impossibile dare una cronologia a Dylan Dog.
Quindi resta una seconda strada, che preferisco e che è suggerita non solo da Sclavi. Se seguiamo i dettami filosofici del primo speciale, è tutto un altroquando, nel senso che ogni avventura o ciclo di avventure di Dylan Dog vive in uno spazio-tempo ben definito, altresì detto universo parallelo. Questo è a sé stante, cronologicamente posteriore al 1986 ma non in continuità rispetto all’albo del mese precedente o di quello prima. Salvo ovviamente esplicito rimando all’albo precedente (Oltre la morte viene dopo Memorie dall’Invisibile). Verrebbero in questo caso a crearsi centinaia di universi dylaniati paralleli, in gran parte composti da un albo. Vi sono alcuni albi super partes che sembrano vedere questo arcobaleno di universi alternativi da un punto più elevato, come Il “Senza nome” o Spazio profondo. Ma sono un’eccezione.
Il ciclo 666 fa casino con la linea del tempo, complicandola ulteriormente. Infatti:
- Dal punto di vista della trama è comprensibile solamente nella posizione in cui è stata pubblicata, ossia dopo aver letto Il ciclo della meteora, E cenere tornerai..., Mater Morbi & sequel e tutti gli albi fondamentali del Dylan Dog sclaviano.
- Dal punto di vista dell’universo dylaniato è leggibile solamente conoscendo gli albi della gestione Recchioni e le sue novità (Irma, Carpenter, Rania).
- Dal punto di vista della linea del tempo sembra porsi dopo il #121 e prima del #1; altresì avalla la teoria degli altroquandi.
L’operazione mira a creare un nuovo #1, a regolarizzare e codificare il passato di Dylan Dog e a presentare un nuovo universo narrativo entro cui far vivere al personaggio una nuova serie di avventure. La domanda, ora, riguarda il come saranno gestite queste nuove avventure.
LA CONTINUITY E I CICLI NARRATIVI
Recchioni vuole proporre un nuovo modo di narrare Dylan Dog. Sclavi mise Dylan Dog nel solco della tradizione bonelliana: albi autoconclusivi fruibili in maniera casuale, celebrativi altrettanto autoconclusivi (legati al passato del protagonista). Recchioni ha portato fin da subito il concetto di continuity nell’universo dylaniato. La continuity, blandamente, si è insinuata nel lettore. Dal #338 in avanti con rimandi sempre più vicini ad albi del passato recente (John Ghost, prevalentemente), nel ciclo della meteora con la scritta “continua” a fine albo e con ‘sto sasso che pioveva dal cielo, nel ciclo 666 con una storia unica spalmata in sei albi. Il futuro lo scopriremo leggendo i prossimi albi, ma se tanto mi dà tanto, ci sarà questo nuovo universo narrativo non più frutto di rimaneggiamenti di quello sclaviano, bensì una crasi tra tradizione e innovazione che dà un colpo al cerchio e uno alla botte. Per gli autori nuovi, c’è possibilità di scrivere storie con un personaggio meno soggetto alle limitazioni sclaviane; per gli autori vecchi, si può puntare sull’effetto nostalgia narrando il nuovo Dylan come se fosse quello vecchio (in questo senso, vedremo probabilmente Mana Cerace).
Si continuerà a suon di continuity come con la meteora o ci sarà una americanizzazione ulteriore e andremo avanti a cicli narrativi? Personalmente spero la seconda, di modo da poter decidere cosa leggere o no. E poi la prima si è rivelata un mezzo fallimento, se non altro per l’incapacità di star dietro a tutti i diversi autori. La continuity funzionava su Ken Parker e su Napoleone. Dylan Dog è troppo per gestirlo in continuity e ci sono gli ultimi due anni a dimostrarlo.
IL DYLAN DOG DI RECCHIONI
Se Recchioni abbia voluto o meno proporre un suo Dylan Dog, probabilmente non lo sapremo mai. Come tutti gli autori, certamente ha avuto il desiderio di scrivere un Dylan più personale e in alcuni casi l’ha anche fatto. Ma sempre nella tradizione sclaviana. Perché dal #1 al #400, volenti o nolenti, Dylan Dog è stato il Dylan Dog di Sclavi, volta per volta rimaneggiato, modificato nei suoi caratteri a seconda delle gestioni e degli autori singoli. Si distinguono molto bene, ad esempio, le storie supervisionate da Sclavi anche se scritte da altri autori, autori che nel prosieguo scriveranno ancora qualcosa di buono ma anche molti riempitivi. Il Dylan della Barbato ha i suoi connotati, il Dylan della gestione Gualdoni è buonista, il Dylan di Recchioni è più spaccone. Ma è sempre Dylan Dog.
Il Dylan con la barba del ciclo 666 non è il Dylan di Recchioni, bensì è come Recchioni, in questa fase della sua vita, vorrebbe utilizzare il personaggio di Sclavi per farne un personaggio molto diverso. Gli va riconosciuto che ha trovato un espediente narrativo decente per scrivere una storia con questa reinterpretazione di Dylan, anche se la presenza sulla serie regolare è al limite dell’accettabilità (Il Pianeta dei Morti, infatti, è sullo speciale).
Insomma, il sunto è che se Dylan Dog ha la barba, allora non è Dylan Dog ma è una reinterpretazione recchioniana che racconta il periodo post-polizia e pre-indagatore dell’incubo. Come se Gualdoni avesse scritto le avventure di Dylan poliziotto, esagerando in buonismo e in senso di giustizia. Dylan come lo avrebbe voluto Recchioni non sarà il nuovo Dylan Dog e mi sembra che sia chiarissimo nel finale del 406. Non è escluso che torni, ad esempio nei celebrativi, ma non sarà il nostro Dylan quotidiano, altrimenti non sarebbe finito così.
Comunque, a me il Dylan spocchioso di Recchioni non piace. Ciò non toglie che, in questi sei albi, ci siano state delle soluzioni interessanti e ben congeniate.
UN COMMENTO ALLE STORIE
Dire che il ciclo 666 è una delle cose migliori scritte da Recchioni la dice lunga sulla qualità della sua produzione e sulle capacità dell’autore in sé. Quintessenza della cosiddetta “arte della citazione”, Recchioni non solo cita a man bassa qualsiasi forma di intrattenimento e la sua stessa vita, ma arriva all’esagerazione di citare lo stesso Dylan Dog per scriverne una storia nuova. Comincia malissimo, i primi due albi sono impalpabili, eccessivamente cupi e privi anche di una parvenza di trama. Si sente che lo sceneggiatore è in difficoltà a cimentarsi con qualcosa che, evidentemente, è più grande di lui, e nel contempo a dover presentare il nuovo/vecchio Dylan ai lettori. Ne esce un mezzo disastro, con Dylan iperrealista, eccessivamente macho e calato in atmosfere assurdamente cupe, in un florilegio di manierismo fine a se stesso. Tutto questo Roi, per quel che mi riguarda, è una scelta poco azzeccata. Mi rendo conto che Roi per i lettori è diventato il nuovo Montanari e Grassani, nella misura in cui incarna il Dylan Dog primigenio, ma non può più essere messo a disegnare qualsiasi cosa, bisogna scrivere storie appositamente perché lui le disegni. La situazione comincia a migliorare col terzo albo e con i primi, veri, indizi degli omicidi seriali. Mari dà una boccata d’aria fresca (Mari! Rendiamoci conto di quanto era cupo e nero Roi) ma l’albo resta vagamente insignificante. Recchioni è molto più schematico e meno artista di quanto sembri e infatti con l’apice della narrazione arrivano anche le due storie migliori. Anna per sempre è una storia sull’alcolismo decisamente riuscita e con una notevolissima sequenza muta di trenta pagine che rende perfettamente lo stato d’animo del protagonista. L’uccisore è una sorpresa, Pontrelli tira fuori il capolavoro e la sequenza nel libro è una delle migliori viste da un po’ di tempo a questa parte. Finalmente torna Dylan che indaga, torna una trama e troviamo un albo che non si legge in dieci minuti. La chiusura è un po’ telefonata e il controfinale in cui esce il Groucho che poi sarà assistente è il trait-d’union tra futuro e passato, tra un futuro in cui Groucho era cattivo e complottista, e un passato in cui è candidamente un sosia di Groucho Marx ancora senza un’identità precisa. A livello di timeline, anche qui se la cava con la tematica del doppio.
Dopo oltre cinquanta mesi, torna un rapporto decente tra Dylan Dog e la polizia. Decente nel senso di complesso e non a senso unico. Si deve essere accorto anche Recchioni che l’idea di pensionare Bloch e di mettere Scotland Yard contro Dylan Dog rendeva complicato imbastire trame originali. Con Bloch dietro la scrivania è possibile tutto, sperando che non inceppino immediatamente il nuovo gioco facendo litigare Bloch e Carpenter prima di subito. Giocando sul nastro di Moebius, si è riusciti a risolvere, come detto, la querelle Groucho, ma anche quella di Rania, la cui love story c’è stata ma è finita, e pertanto è giusto che rimanga della tensione tra i due, ma Dylan può continuare a fare il puttaniere come ci è sempre piaciuto. Già prevedo un celebrativo scritto da un’autrice donna in cui si narra di questo amore interraziale. Non so chi possa essere peggio tra la Baraldi e la Barbato 2.0.
E QUINDI?
Si torna a una fase zero da cui tutto è possibile. Dylan Dog ha agonizzato lentamente e gli è stata praticata eutanasia col #400. Adesso che Dylan Dog non c’è più e che ne è stato riscritto il passato, vediamo se gli autori sono veramente in grado di produrre qualcosa che meriti di essere letto in quanto tale e non in quanto sensazionale ma fine a se stesso. Capiremo anche quanto i paletti ereditati da Sclavi fossero veramente un ostacolo alla qualità e all’innovazione (ci credo poco), anche se il ciclo 666 non fa proprio ben sperare, perché questo è il meglio che si possa mandare in stampa, senza più paletti, forse bisognerebbe rivedere le scelte fatte a monte ai piani alti. Per carità, questi sei albi sono ancora meglio di quanto letto nel 2019 e almeno hanno una cifra autoriale e una volontà di azzeramento del passato che li rendono significativi. Però c’è da lavorare proprio sulle trame, le idee, gli intrecci, i colpi di scena. Altrimenti è meglio scendere a 64 pagine e rendere il tutto maggiormente denso e meno aleatorio. Non si può coprire tutto con ottimi disegni e citazioni a profusione.
Beata innocenza