Finalmente delle storie brevi con qualcosa da dire ed imbastire. Niente incubi veri e propri, più excursus di ordinaria solitudine (la seconda e la terza) con giochi di prospettive cinesi, di scatola nella scatola, in penombra nella penombra, che si aprono a molteplici interpretazioni, tra l'uggioso e lo stralunato. La prima invece è banalotta assai e non regge il confronto con le successive, in nessun campo.
Disegni sopra la media, colorazione anche. La copertina a mento duro ci può anche stare.
Un
"buono" complessivo come prodotto lo merita
.
Qualche dettaglio sparso con relativi
S_P_O_I_L_E_R:
Testi
5 1/2 Disegni
6+Hai solo 32 pagine e quasi la metà le sfrutti per introdurre il caso?! Caro
Rizzo, fino a p. 16 se nella storia "breve" non combini nulla e l'unico spunto (seeeh...) deve essere un inseguimento con due gorilla butta-fuori/dentro di un bordello, capirai che la sceneggiatura non depone bene l'uovo, che si fa sodo quando è già marcito l'interesse...
Per il resto troppo retorica sulla questione ritrita dello schiavismo da export-fregna, Boko Haram, le giungle di Calais : quando Dylan si fa specchietto per l'attualità in modo spudorato diventa (per amor di correct)
retorically political. Mancava solo Greta Thunberg su un barcone a Lampedusa, per intenderci. Male anche la zuffa finale, dove bastano mazzate e projettili random per risolvere il problema, come soffre di un sempliciottismo molto disneyano (v. tentacoli violacei della strega, e scagnozzi a rimorchio) il presunto rito senza capo né coda.
Salvo il controfinale non consolatorio, l'esotica Annie molto bella - a propò, perché è l'unica indiana tra le prostitute
- qualche ironia sull'antico mestiere di vita che Groucho avanza senza scadere nello scabroso, e la rivincita tarantiniana delle afro-sadomaso-squillo in formato squadra d'assalto (p.27).
Non c'era una volta un'isola
Testi
7 1/5 Disegni
8 Di Gregorio, a differenza di Rizzo, è molto più rodato come scrittore PER Dylan e si vede, nonostante sia anche molto vituperato di solito. Invece qui sforna un apologo sentito e profondo, quasi "margheritesco", coadiuvato da dei disegni a tono. L'unico appunto sono gli agganci un po' troppo forzosi ai motivi dichiaratamente letterari che girano attorno alla storia, rischiando di farsi metafore meta-testuali un po' troppo flebili, con il coccodrillo, la sveglia, i pirati, le sirene, il Peter Dog Panico, che vanno tradotti nelle deformazioni allu(n)cinate che "Wendy" dà alla sua (mancata) storia... d'amore
.
Non si tratta però della semplice mitomane seclusa che abbiamo visto nell'Old Boy di Secchi in
Green World: è una donna realmente pesata, con tutti i suoi perché irrisolti e contorti, in cerca della "magia". Che può essere una breve fantasia d'evasione sentimentale projettata sull'isola di Albione, quando di fatto lei lavora su una grigia scrivania chissà dove, fuori dal fumetto, senza campanellini a trillare od urlare. E proprio in questa magica illusione non idealizzata, lei rimprovera di continuo il suo ganzo ideale (di/sulla carta) di non voler crescere e di rifugiarsi nel comodo trantran del mostro/dylangirl del mese, slittando con l'ironia sulle questioni concrete.
Molto bella l'espressività di "Wendy" grazie a Tanzillo, ajutata anche dai toni soffusi della vita di tutti i giorni che cerca di farsi trasognata, non solo quella di coppia. Per quanto si tratti di "fantasie" la crisi (e la reunion) di coppia è comunque ritratta in modo realistico; la pizza tutti i giorni pari invece non ci può stare in nessun regime alimentare di stò monno, manco sull'isola di capitan Forcella, guagliò
.
Testi
7 + Disegni
7 1/5 Posto che Simeone non sia tifoso del
Catania, la storia funziona in modo intrigante ma con leggerezza, passando dal meta-romanzesco dello scrittore svitato che si racconta, alle suggestioni Lynchiane del delirio multi-vocale che si prospetta nella babele finale, senza che Dylan spiccichi una parola
.
Carina la love-story preconfezionata, i commenti autoironici mai banali, la fauna di stralunati in giro a piede a libero (poi tradotti nella clinica, di traverso), che man mano fanno perdere a Dylan la bussola sulla situazione, tra un gombloddo e l'altro (v. anche libri a p.93 ). Scommetto che dei cognomi strambi a para-storpiati come Imith e Minnem siano dei riferimenti a qualcosa, ma lascio voi indagare.
I disegni sono parecchio sperimentali, come è giusto che sia per questa testata, e mi sono piaciuti senza alcun dubbio: la personalità non manca. I colori sono una chiave simbolica dichiarata sin dal titolo, anche se non ho capito quanto sia voluta la locandina "azzurra" di pagina 71 che di fatto è rossa. Oltre al tavolino rosso, la casa di Mark si popola di rosseggiante svalvolamento proprio quando subentra Dylan con la sua famosa camicia (p.90), facendosi influenzare sempre più dai fantasmi dello scrittore, che finiranno per ribaltare il negativo della cromia.
E dire che Villa aveva ritratto Dylan con una camicia bianca su diverse copertine... un gombloddo dei daltonici anche quello?