Ahem:
Pianeta dei Morti.
Può, una storia, una semplice storia, arrivare all'epicità ? La risposta è certamente si, se si tiene conto di pubblicazioni come "Storia di Nessuno" e di " Memorie dall'Invisibile " Bilotta qui, ci immerge in una Londra spettrale, cupa, lontana miliardi di km dalle luci di Piccadilly, da Soho, dalla Londra un po' beota di Hung Grant con Notting Hill. Ma anche lontana dalla Londra senza anima di molte, troppe storie di Dylan Dog, catapultandoci in una città morente, putrescente, vittoriana nei suoi misteri, nei suoi vicoli carichi di non morti e non viventi, che tanto sarebbe piaciuta a Sherlock Holmes e sopratutto a Stevenson con il suo " Dottor Jackyl e Mr.Hyde ". E' la città la silenziosa, tragica, angosciante protagonista di un racconto stupendo, struggente, malinconico. Malinconia che avvolge un Dylan svuotato di anima, senza più l'amico fraterno vicino ( o meglio gli amici...) solo quanto e più che " L'Ultimo Uomo sulla Terra". Piove e c'è nebbia, e la morte è svuotata della sue stessa ragione di esistere. Morte altra eterna protagonista, che attende il destino finale come si attende un responso tragico di un esame ospedaliero: rassegnazione e una vaga forma si sollievo. Dylan sfatto, con una cravatta mollemente sfilata dal collo, senza più sesso consolatorio, ritrova una Bree Daniels che prostituta non è, ma che si vende e tradisce per amore. Amore ultima fermata dall'incubo, ganasce che chiudono esseri orrendi con, qui è il vero orrore, l'intento non celato di renderli normali, appetibili, accettati come creature dotate di dignità. Ma proprio perchè, ci dice Dylan con il suo gesto apocalittico finale, questa integrazione è forzata, imposta, dettata da un governo ombra simil 1984 di Orwell, essa perde significato e giustizia. Dylan, ci dice Bilotta stupendamente, come simbolo ( i detective che vestono come lui...) perde di significato, diventa strumento del potere, trascinando se stesso e l'umanità tutta verso la fine. Dylan non è simbolo perché era, è persona, unico rappresentate superbo di se stesso, incapace di reggere al proprio mito e quindi vuoto di energie, di senso del drammatico se non per la propria condizione di alcolizzato. La creatura immersa nell'ombra è subito distinguibile, eppure vorremmo non fosse lui. Non vorremmo che l'esile, sottile filo di follia che ancora ci lega alla normalità nelle storie di Dylan, fosse reciso. Ma non vi è speranza in un mondo senza futuro, ove gli zombie alla fine guardano la tv, ove non esite giustizia, morale, buono e cattivo. La giustizia è degli uomini, ci dice Bilotta, e qui di esseri umani, di uomini, non ce ne sono quasi più. Che sia la selezione naturale, agisce Dylan, a far il suo corso. Il più forte vive, o forse sopravvive soltanto, in un oceano di sangue nel quale naviga il galeone dei ricordi. Dylan come Neville, senza il suo furore distruttore, senza fuoco, senza una donna che scaldi le sue notti. Pianeta dei Morti come Io Sono Leggenda, profondo pozzo nero senz'anima, nella quale si perde ogni tenue chiarore, e regna solo il nichilismo assoluto.
Bellissima, perfetta, indimenticabile. Si aggancia alla divina apocalisse anticipata da "Morgana" e la rende, se possibile, ancor più cupa. Un mondo senza reale pietà, senza vera e consapevole accettazione del diverso, è un mondo morto, morente, orrendo. E' il mondo spalancato da Reed con il suo fumetto, con quella agghiacciante realtà proiettata verso la fine. Altro che centesimo numero. Altro che rassicurante finale. Assolutamente terrorizzante e terribile è uno dei capolavori di Dylan Dog.
Fra i più belli di sempre, affonda la sua anima in una frase, presa da altro contesto: " Si muore perché non si ha più voglia di vivere..." Questo mondo, ci chiede Bilotta, ha ancora voglia di vivere ?
Assoluto.
_________________ " Il locale è triste e sta sempre qua ! "
" Dylan Dog è arrivato allo scontrino fiscale "
Oriana Fallaci ti amo.
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