#8 – IL RITORNO DEL MOSTRO (soggetto: Sclavi (8), sceneggiatura: Sclavi (8), disegni: Piccatto (1))
Pesante modello ispiratore dell’albo è Terrore Cieco (1971), film di Richard Fleischer, in cui la protagonista è già cieca, a causa di una caduta di cavallo avvenuta qualche tempo prima, quando si aggira per la villa di famiglia senza accorgersi subito dei cadaveri. Sclavi sostituisce il personaggio apparentemente fragile di Sarah, interpretato da Mia Farrow, con la ben più risoluta e simpatica come la sabbia nelle mutande Leonora (ancora lo zampino di Poe!), introducendo un elemento di difformità, rispetto al modello di riferimento, con Damien, lo sfortunato garzone dello stalliere. Tiz sceglie di non mostrarne quasi mai il viso e gli cuce addosso diverse caratteristiche dei boogeyman degli anni 70/80: ha un fisico imponente, apparentemente indistruttibile e va in giro con un machete come Jason Voohrees, fugge da un manicomio, dopo anni di tranquillo anonimato, alla vigilia di una strage familiare da lui compiuta come Michael Myers, ha il volto bruciato come Freddy Kruger e porta il nome del figlio prediletto del Diavolo nella saga di Omen-Il Presagio. Figura tragica Damien, con la quale Sclavi introduce altri temi classici dylandoghiani: il diverso (“monstrum” in latino significa prodigio, ci ricorda il dottor Pierce nell’albo) e la malvagità che si cela nel cuore non del mostro, ma dell'uomo. Proprio buonissimo forse Damien non è, visto che comunque fa fuori due tizi dopo la sua fuga alla ricerca di Leonora. Anche questa, come il #6, è più una storia d’amore, che di morte, malgrado abbia la forma del classico slasher. Perfetto in questo senso il finale, preceduto dalla struggente ultima cavalcata sotto la pioggia di un Damien dallo sguardo tristissimo, in cui la donna di ghiaccio si scioglie al fuoco (non solo metaforico) dell’amore. Peccato la storia abbia un difetto macroscopico che le preclude l'eccellenza: gli atti processuali che Dylan legge a metà albo. Il problema non sta nella non credibilità che polizia e inquirenti non abbiano rilevato un indizio evidente (in parte giustificato dal clima di "daje al mostro" intorno alla vicenda), ma nel palesare la soluzione del caso troppo presto: Dylan non ha letto il prologo, noi lettori sì! E' impossibile non capire la verità, al massimo possono sfuggire le motivazioni. Pleonastico il personaggio di Lilith, al dispetto del bel nome, così come l’ultima pagina che in qualche modo vorrebbe chiudere il cerchio. Si arricchisce il background dylaniato con qualche informazione aggiuntiva: scopriamo che Dog non è un nome d’arte (Dylan lamenta di essere stato, anzi, oggetto di scherno da parte dei compagni di scuola), mentre il nome deriva dalla passione del padre (?) per il poeta inglese Dylan Thomas. Non si sente eroe e dimostra di aver paura, mostrando finalmente il suo lato più umano (quello che davvero mi ha fatto amare l’indagatore dell’incubo) abbandonando del tutto la spacconaggine ostentata negli albi #1 e #5. Prima visita dylaniata nel manicomio (per ricchi) di Harlech, ne seguiranno diverse altre, soprattutto nei primi cento numeri. Dylan fa la conoscenza di Lord Chester, uno dei pazienti della clinica, personaggio ricorrente che, fin dal primo incontro, saluta il nostro cercando simpaticamente di strangolarlo (in amicizia!). Ottimo esordio, ai disegni, del prolifico Piccatto, ricco di particolari e con un tratto più morbido, molto diverso da quello attuale. Personalmente lo preferivo così, prima della svolta stilistica. Molto riuscita la rappresentazione della scalata di Dylan nel pozzo che rende bene l’idea della fatica, della claustrofobia e dell’ansia del nostro. Suggestivi i sotterranei del castello, location comunque superflua nell’economia della storia e bella la galleria di freaks in quel di Harlech. Della copertina di Villa non mi piace il viso di Damien. Il meno riuscito, imho, tra i primi dieci numeri, anche se rimane una buonissima storia.
Curiosità: Sclavi omaggia, intitolandogli uno dei capitoli, anche un altro thriller con una protagonista non vedente, interpretata dalla sempre splendida Audrey Hepburn (che ebbe una nomination all’Oscar per la sua interpretazione): Gli Occhi della notte (1967)di Terence Young.
BODYCOUNT: 10
TIMBRATURA: No
CITAZIONE: “Vuole uccidermi. Vuole completare la strage. E tenterà di farlo. Perché Damien la notte scorsa è fuggito dal manicomio. E’ libero.”
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