Un dato statistico significativo (anche se sul suo significato preciso ci sarebbe da discutere): prima di Manfredi, l'ultimo sceneggiatore a esordire sulla serie regolare era stato... Chiaverotti, oltre cinque anni prima. In quel periodo, lui e Sclavi si divisero quasi equamente la produzione dylaniana, con pochissime eccezioni (tre storie di Mignacco e un paio del trio sardo, oltre all'ultimo Ferrandino e all'ultimo Toninelli). Parliamo quindi di un intero lustro senza un autore esordiente, circostanza che negli anni a venire non si ripeterà più -e che forse spiega la generosità con cui fu accolto, anche dal sottoscritto, questo "I giorni dell'incubo".
Il romanzo da cui Manfredi trae lo spunto di partenza l'avrei letto moltissimi anni dopo, essendomi completamente dimenticato nel frattempo della mezza polemica sorta riguardo alla mancata indicazione della fonte, e quindi ne rimasi parecchio sorpreso (così come mi accadrà per il romanzo che sta alla base di "Tre per Zero",
Effetto valanga di Mack Reynolds -un altro Urania, per inciso). Il problema non è l'ispirazione o l'originalità, ma lo stile: nel libro la condizione del pittore è descritta in modo da rendere partecipe il lettore della sua angoscia e della sua impotenza di fronte all'annichilimento cosmico del quale è progressivamente spettatore (come accadeva in un'altra opera che Manfredi citò, in risposta al lettore che gli segnalava l'origine della sua storia, ossia il capolavoro "La casa sull'abisso" di William Hope Hodgson).
Manfredi sceglie invece un tono scanzonato e umoristico che, insieme alle numerose scene d'azione, ha probabilmente lo scopo di alleggerire l'estrema verbosità della sceneggiatura, strizzando l'occhio al lettore quasi a chiedergli perdono per alcuni eccessi di inverosimiglianza (Dylan che mette fuori combattimento tre persone sparando letteralmente alla cieca, perfino di sponda
). Ma il torrente di parole che inonda le tavole (le otto pagine di processo sono micidiali) finisce comunque per annacquare ogni forma di tensione, di angoscia -e il fatto che tutti sembrino sempre avere la battuta pronta non aiuta certo chi è in cerca di un po' di inquietudine, e che al più troverà un po' di perplessità, soprattutto per certe scelte (Dylan che compra un tabloid scandalistico come il "Daily Mail", Gloria che esce di scena -chiedo scusa- ingloriosamente, un'ipotesi "magica" che non viene mai realmente resa plausibile).
Perfino i bei disegni di Siniscalchi, forse alla sua miglior prova dylaniana (direi a pari merito con "I killer venuti dal buio", ma qui il suo tratto si è fatto già un po' meno brindisino -curiosamente, anche qui si ritrova a disegnare un Dylan Dog invecchiato), finiscono quasi per risultare sprecati, o almeno penalizzati da un'impostazione che non lascia abbastanza spazio agli aspetti più visionari della storia (si guardi, con rimpianto, la tavola -finalmente!- muta di pagina 77).