Chiedo scusa, la discussione si è spostata leggermente e nel precedente commento ho commesso un errore, che rettifico subito: nell'albo di cui stiamo discutendo NON si verifica quello di cui dicevo sopra, cioè la presentazione di sequenze "oggettive" che poi si rivelano false.
A parte questo, confermo ciò che ho scritto in risposta al primo commento di outcast, anche se a dire il vero mi sarebbe bastato scrivere che la differenza fondamentale è che in "I soliti sospetti" il racconto di Verbal viene
inequivocabilmente rivelato come menzognero (e, incidentalmente, si noti che, proprio alla luce di quanto scopriamo alla fine, è ovvio che Verbal abbia ogni interesse a mentire).
In "Delirium" questo non accade: non c'è nulla, da nessuna parte, che ci dica o ci lasci intendere che Carrie stia mentendo a Dylan, o che le dia un buon motivo per farlo... a parte l'ultima tavola, che però ci impone di credere a qualcosa che, con tutta la buona volontà, io non sono disposto a credere (e cioè che rivedere Brenda per cinque secondi sia più traumatico che essere rapite e tenute in ostaggio per giorni da un assassino deforme e delirante).
outcast ha scritto:
Lo stratagemma di scrivere direttamente sequenze "false", invece di inserirle come sub-racconto di una situazione statica (es. studio di Dylan), facendole narrare da un personaggio ad un altro, funziona alla grande all'interno di un fumetto. Si veda ad esempio quanto più fluida risulta la lettura di un albo come "Il buio", rispetto al citato "Una voce dal nulla", di una pesantezza allucinante. Inutile poi buttarla sul piano etico/morale; semplicemente questa cosa in un film non funzionerebbe a dovere, ma il concetto alla base è sempre la menzogna.
Lasciamo perdere l'ultima frase, che farebbe svenire un dipartimento di narratologi...
Il confronto tra i due albi mi interessa solo limitatamente all'incipit, e tra l'altro ho scoperto di aver commesso un altro errore -anzi, lo abbiamo commesso tutti e due, perché ho appena notato che entrambi adottano lo stesso stratagemma "virtuoso" di cui scrivevo: nella prima vignetta dopo la sequenza iniziale de "Il buio" leggiamo le parole di Kelly ("... poi non ricordo più niente"), che permettono di inquadrare le pagine precedenti come un suo racconto.
Il problema rimane per il momento confinato a "Il mistero del Tamigi", quindi ho il sospetto che l'inserimento di sequenze false non funzioni così "alla grande", come stratagemma -siamo ai livelli di "era tutto un sogno!": in pratica lo sceneggiatore può mostrare qualunque cosa senza alcuna responsabilità in fatto di coerenza e logica interna, perché alla fine può sempre cavarsela con un "ma guardate che quello che avete visto non era mica reale...". Se non ti piace il termine
disonesto, allora dirò che mi sembra una soluzione pigra, sciatta, dozzinale -e d'altra parte, se lo stesso Chiaverotti vi ha fatto ricorso così poche volte, forse non è poi vero che funziona così "alla grande"...
wolkoff ha scritto:
Primo errore: il testo, in questi ambiti, può contenere anche ciò che non contiene. Non deve permettere di visionare ogni dettaglio di cosa viene descritto (o lasciato intendere), né farlo passare necessariamente per veritiero. Parliamo di horror, alla fine, dove suggestioni e paranoje si mescolano a quello che accade sul (presunto)piano del reale. Prendere alla lettera ciò che dicono i personaggi o ciò che rappresentano graficamente le vignette è un approccio controproduttivo o sviante. Non permette di calarsi nel "mood", e Chiaverotti necessita di questomood più di altri autori, perché viveva di ambientazioni "di genere": non per nulla ho citato Fulci.
Secondo errore: il finale da chiusura del cerchio, dove tutto collima e combacia nella mente del lettore - ricostruzioni comprese - HA UN IMPATTO RASSICURANTE, rilascia un senso di accomodamento/sollievo dove ogni cosa riconduce ad un suo ordine prestabilito e ricostruibile. Che è un principio contrario all'incubo/horror in senso lato, che invece dovrebbe lasciare margini d'in-definizione e suggestionabilità per creare effetto anche a narrazione conclusa. Intendevo quello per "saperla più lunga dell'autore", che ha pieni poteri (nonché diritto) di far crollare miseramente queste nostre certezze, e mandare il lettore a quel paese... di nuove interpretazioni possibili, ballando sul banco che salta e saltella con gusto. Non si tratta di pretendere collaborazione, ma di aprirsi alla suggestione. L'autore in questi casi è un incantatore, non un addetto dell'ACI che ti trascina col carro attrezzi da A a B, dove B sarebbe pagina 98 presso cui raggiungere la quadra del cerchio ideale di fatti&misfatti.
Sul piano teorico sono d'accordo su tutto, o quasi. In pratica...
Lascio nel campo della soggettività la questione del "mood" di questa storia -tu la trovi onirica, per me al contrario è una delle più razionali di Chiaverotti (se è Fulci, insomma, è quello di "Murderock", non quello di "L'aldilà").
Il problema è che, ribadisco, questo NON è un finale aperto. È un finale che vuol fare proprio quello che dici tu, ossia chiudere il cerchio: il mostro viene sconfitto definitivamente. Più rassicurante di così...
Parli di "nuove interpretazioni possibili", ma io temo di non vederle, nell'ultima tavola: l'unica interpretazione possibile di quelle immagini e quei dialoghi è che Carrie elimina Brenda, che lei stessa ha creato, con i poteri della sua mente. Ora, anche a prenderla per buona (e io, per i motivi riscritti sopra, non ci riesco): dove ci porta, questa scena? Quali ulteriori suggestioni dovrebbe regalarmi? Che effetto dovrebbe fare? Per quanto mi riguarda, non mi hai (non tu, eh: lo sceneggiatore) instradato su nuovi e inquietanti percorsi dell'incubo, ma su un nastro (asfaltato, e anche male) di Moebius: poiché non mi hai mai fatto (più precisamente: voluto far) credere veramente che Brenda avesse "creato" Carrie, scoprire che in realtà è il contrario non produce nessuna particolare sorpresa (ed è sicuramente meno sorprendente rispetto alla scoperta dell'identità del mostro). Confusione, semmai, non certo una qualche forma di
turbamento.
Per capirci, non è il "rilancio" soprannaturale che contraddistingueva i finali di "Il buio" o "Il mistero del Tamigi" o "La clessidra di pietra" -rilancio che in quei casi funzionava, proprio perché
tutta la storia, o almeno una parte significativa, era immersa in quelle atmosfere oniriche/allucinate che qui non ritrovo, se non in pochissimi e isolati casi. Lì il soprannaturale (o comunque l'irrazionale, lo
strano -"La clessidra di pietra" docet) era un elemento portante delle sceneggiature: qui no, tant'è che viene introdotto tardissimo (e solo come ipotesi, oltretutto formulata dal personaggio meno attendibile), salvo poi ricomparire di punto in bianco nell'ultima pagina.
E pensare che non ci sarebbe voluto poi molto, per ottenere il risultato di cui parli: bastava creare qualche sospetto sulla reale esistenza/identità di Carrie, magari facendo dire/scoprire a Bloch che all'ambasciata americana non risultava nessuna turista con il suo nome -cosa che, per ricollegarmi a quanto scritto sopra, le avrebbe fornito anche una buona ragione per non dire (tutta) la verità a Dylan...