Questo è il tipo di storia che fa emergere clamorosamente una verità indiscutibile della critica -tanto indiscutibile quanto scomoda, o perlomeno ignorata, perché finisce per ridurre di parecchio i confini del territorio dell'oggettività: ogni lettore, davanti a ogni racconto, finisce per collocare la soglia della sospensione dell'incredulità in un luogo diverso. O forse, per rimanere in tema, perfino in
dimensioni diverse: in una storia nella quale compaiono Esseri Più Antichi Dell'Universo che Vivono Nelle Pieghe Della Realtà, e in cui dei personaggi sono in grado di spostarsi da un continente all'altro nel giro di secondi, mi è molto difficile fermarmi a chiedere se sia plausibile che una persona possa ingoiare un manufatto (tanto più che quella persona è uno sciamano aborigeno, che a sua volta è in grado di muoversi tra dimensioni diverse, visto che riesce a parlare anche con Dylan).
E questo è anche il tipo di storia che fa emergere clamorosamente come ognuno di noi abbia una personalissima idea di cos'è "un buon albo di Dylan Dog": un'idea che naturalmente si fonda sul passato, sulla nostra familiarità con la testata, ma che rischia di basarsi sull'adesione a determinati parametri e presupposti che poi, al momento del giudizio, vengono applicati in maniera così selettiva e "personale" da trasformarsi di fatto in
bias di conferma.
Per quanto mi riguarda, "Il Primordio" è la riuscitissima escursione della Barbato nei territori sclaviani più disarticolati ed esilaranti ("Cagliostro", "Maelstrom!", quelle cose lì), per la fusione di rompicampi dimensionali, orrori cosmici, e un'ironia ben dosata (molto sclaviano anche il contrasto tra il tormentato idealismo di Dylan Dog e il sorridente pragmatismo -molto americano, del resto- di Sammy). Una saldatura tra Lovecraft e Nolan -via Escher- tanto spericolata quanto, a ben vedere, logicissima (Esseri e/o oggetti che hanno il potere di deformare la realtà), che certamente deve buona parte della sua riuscita ai disegni spettacolari di Martinello -forse perfino
troppo spettacolari, nel senso che è talmente piacevole indugiare su di essi che si rischia di rallentare eccessivamente il ritmo della lettura, in un albo pieno d'azione: ma è veramente un peccato veniale (e poi, dopo il Dell'Edera dello scorso numero, avevo bisogno di qualcosa che mi riempisse gli occhi, quindi perché lamentarmi?
).
In ogni caso, la Barbato mi sembra in gran forma: ci regala un Groucho in palla, un suggestivo incipit australiano che in effetti fa molto Martin Mystère (chissà che la suggestione non sia amplificata dal tratto di Martinello, che spesso mi fa pensare agli Esposito Bros.) e un gustoso finale con John Ghost e la Regina Tentacoluta, e riesce perfino a sfruttare le potenzialità narrative di Irma, integrandola nel racconto in veste di traduttrice simultanea.
Anche stavolta resto con la sensazione che la vicenda dovesse o potesse richiedere qualche pagina in più (gli ultimi tre custodi in pratica non hanno battute); ma, grazie al Caos, finalmente mi ritrovo a leggere una storia generosa, sregolata, sovrabbondante -sbilanciata, forse, come lo stesso Dylan, ma originale, e
viva.