La sola presenza di questo albo nella mia collezione -uno dei pochissimi che ho conservato nei tre anni intercorsi tra il numero 300 e l'inizio della Fase 2- mi fa supporre che all'epoca mi fosse piaciuto. Come esercizio di stile è carino, certo: però, dopo aver riletto le precedenti storie scritte da Mignacco per Dylan Dog, è difficile non pensare che la cornice metanarrativa sia stata usata come facile scappatoia per evitare di dover scrivere una sceneggiatura coerente e una storia interessante, cosa che su queste pagine gli è riuscita pochissime volte (dopo "Una voce dal nulla", salverei giusto "I ricordi sepolti", più che altro per certe atmosfere).
Suppongo si volesse dimostrare che ognuno ha il suo Dylan Dog, oppure che ognuno pensa di essere in grado di scrivere Dylan Dog (ma pochissimi sono in grado di farlo bene): entrambe cose vere, credo, ma nel complesso mi pare che non ci sia stata la volontà di spingersi fino in fondo, in un senso o nell'altro -le tre storie (molto mystériana la prima, con tanto di monasteri tibetani e "Diavoli dell'inferno!"; romantica/esistenzialista la seconda; più classicamente dylaniana la terza) partono da idee carine, ma non sono abbastanza buone per essere prese sul serio (il condizionatore? le sparizioni "scaglionate"? la possessione fantasmatica?), e non sono abbastanza sgangherate da far emergere l'intenzione parodistica dell'autore (idem per il Dylan di pagina 94 che, con tutta la serietà del mondo, ci guarda dicendo che "I veri mostri siamo noi!"
Cioè, l'avesse detto in una delle tre storie sarebbe stato perfetto, ma essendo "fuori cornice" non abbiamo elementi per capire che si tratta di ironia).
La descrizione dei tre forumisti, d'altro canto, è parecchio scontata (diciamo pure stereotipata), la satira molto blanda, e la strizzatina d'occhio metafumettistica finisce per essere pleonastica (l'albo non ci ha appena detto che Dylan Dog è un personaggio, più che una persona?). E poi, come sempre in Mignacco, si tende a parlare troppo -il racconto di Mark in Tibet si prende ben quattordici pagine, in pratica i due terzi della storiella.
Alla fine è un gioco, e il gioco in genere lo si accetta così com'è, benché l'unico aspetto "reale" della vicenda sia a ben vedere già poco plausibile di suo: come scriveva The Imp qualche pagina sopra,