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Alors, dal momento che nel frattempo
nessuno risponde al mio scottante interrogativo sulle chiappe in copertina, ed essendo il sottoscritto profondamente magnanimo nonché generoso di misericordia, passo a commentare qualcosa sull’albo in questione… sviscerando qualche punto nell’ambito delle “differenze”, per tener contenti anche quelli come Dear
.
Parlare di spoiler mi sembra abbastanza ridicolo, visto che il 99,9% di noi sa come finiva il DD #1 originale di cui questo albo è un (ennesimo) sgonfio remake che abbisogna del doppio delle pagine, mentre il vero (auto)spoiler sul valore/contenuto dell’albo parte già dalla prima vignetta che molto sinteticamente archivia questa storia come un cumulo di:
Non condividendo questo dono della sintesi su vignetta, mi trovo costretto ad argomentare qualche passaggio più descrittivo
.
Tanto per cominciare ho provato un certo imbarazzo in edicola quando mi son apprestato da adulto ultra30enne all'acquisto di un prodotto stampato con quell'inguardabile
logo fluo, chemmanco gli stickers dei Pokemon o il
Cioè per bimbette. Ma bisogna far calare l’età media dell’acquirente
in prospect e (forse) me ne capacito, per quanto l’estetica sia su un’altra galassia
.
L’albo comincia con un battibecco in formato sketch abbastanza stucchevole tra i due cartonati (inanimati) in ri-ciclo di sé, facendomi rimpiangere perfino le bizze da soap/slapsitick comedy del precedente numero. Peggio di Rania petulante c’è solo Rania non-fan discettante luoghi comuni del politically correct, partendo dai cromosomi, col solito Carpy che ci fa la figura del gorilla annebbiato.
Sigourney Weaver lo salverà, visto che piace tanto citare il grandeschermo come salvador delle patria con i suoi luoghi comuni?
Poi ci si focalizza SUL Dylan recchioniano che soffre di un congenito bisogno di parlarsi addosso, onde auto-definirsi, anche attraverso le domande di Sybil. Pagine su pagine per abbozzare un suo profilo (crono)logico stile bio-pic a marce forzate… su cui sinceramente un Autore a cui preme la “storia”, intesa come albo, sorvolerebbe ben volentieri, tipo un certo Tiziano che se ne sbatteva allegramento (fino al #100 !) della necessità di definire il presente/passato sentire del suo protagonista onde giustificarne le mosse in una ricostruzione (pseudo)coerente. Ennuncerumpete
.
Insomma, al posto del Dylan secco e scaltro visto altrove nei primi veri numeri (Chiaverotti compreso), in un certo senso già “risolto” (avendo cose più importanti di cui occuparsi), ci troviamo davanti ad un barbuto e barboso complessato in cappotto bolscevico (tranne poi scorprirsi anarchico, p. 69
) che si borbotta addosso, fa il fighetto hiptser salvo compatirsi tragicamente da chiagnone come neanche la peggiore Barbato, e nel frattempo ci informa in modo non richiesto delle sue abitudini invece che mostrarle tra le righe, vivendo di frasette stile aforisma/meme cool per impressionare qualche fessa (in senso anche metonimico
) che se lo caga. Vantandosi per giunta di esser pure lui un sottoprodotto nerd (pp.13-14) e che lo stare nell’attualità corrisponda a dimesticheggiarsi con le serie tv stile
Big Bang Theory… ahinoi meta-riflesso della
forma mentis da cui sono piagati gli autori contemporanei di questa testata.
Senza contare che cade da solo in contraddizione, durante queste pseudo-confessioni, perché esordisce il flashback definendosi un semplice “bravo ragazzo” (p.21) quando poco prima aveva ammesso di aver passato un’adolescenza ribelle a base di sesso, droga e rockazzate, sul filo borderline del criminale disadattato prima che papi Bloch lo recuperasse per il ciuffo. Ah: che la trollata del “padre” in coda al #401 fosse una copertura per un rapporto di adozione, l’avevo già anticipato sui commenti dell’albo precedente, a prima lettura
.
Non ho capito perché la rivoluzione darwiniana della meta-specie preveda Sybil con una pettinatura completamente diversa da quella originale, con quel mechato stile
Ivana Spagna anni ‘80s, ma forse Roi ha scoperto un ramo coiffeur alla moda vintage londinese che qua mi sfugge, per cui temo rimarrò parecchio indietro rispetto all’ “
interfacciarsi con la modernità e l’evoluzione del linguaggio” (v. editoriale dell’albo precedente).
Mi fa notevolmente piacere che Undead sia tornata in Scozia, dopo le dislocazioni bilottiane, come le sequenze dellamorose di
Dossena che sa dipingere quel bizzarro contesto obituario sicuramente meglio degli zombies di Roi. Carina la reunion con Lillie, bambolina Burton-iana in decomposizione (pp. 82-83). Non ho apprezzato per niente invece la fratellanza francescana di Dylan con Sorella Morte, che esordisce a gamba tesa sostenendo di esser di uguale risma al Nostro per aver ucciso per indifferenza (oltre che per amore
) in passato (p.39 i-ii). Posto di non conoscer le precedenti relazioni sentimentali della Mietitrice, mi sembra una boutadata non da poco. Senza contare che della Morte in giro per vacanza a Londra (39 v) ne ho già la balle piene in quella mezza dozzine di storie della Barbato
.
L’amarcord per la gitarella scolastica nei paesotti scozzesi si esaurisce quasi subito, perché il tratto di
Roi non ajuta molto a rievocare certe atmosfere ma si adagia (pp. 45-48) su un eccesso di mezzetinte che sfocia in certe turbe barocco-naif (v.
UT) e non nel gotico spigoloso dello Stano più genuino. Rispetto al numero scorso qui la parte action viene a calare – a parte Gnaghi
in Spin Attack di Vanga (p.51) - per far posto ad un’escursione tipo
Goonies nei meandri cavernosi del cimitero, onde far capolino presso la carrambata galeonica di turno. Si prova a mescolare il
#43 con il cameo di Nessuno novello Caronte – che somiglia a Qualcuno, per come disegnato nella prima vignetta (p.59.v), ma qui chiedo lumi a qualche citazionista più fisionomista di me – ma la cosa è tutta a discapito del personaggio in quanto tale.
Una cosa è rimasta tale, vale a dire la nausea di Dylan sui natanti (p.61), anche se ci sarà forse da scoprirne l’origine, che magari deriva da quella famosa traversata sul galeone nel ‘600 o da quella meta-diffamatoria sul #400 per ritrovare la propria identità alla deriva.
A proposito di corsi & ricorsi storici, Xabaras insiste nei suoi pistolotti da spiegone meta-allusivo, che questo è l’ennesimo universo parallelo in cui lui e Dylan debbano scontrarsi per il destino beffardamente in loop da infiniti re-takes : ma non mi dire, che novità termonucleare… sai che non ci avevo pensato? Sarà che io non scrivo fanfiction nerdose quindi non sono abituato a certi
tropes stra-sdoganati fino ad intossicarsene nell’abuso
.
Però c’è forse un altro ricorso un tantinello più inquietante tra le righe che spero non abbia seguito, ma ho il sentore che sarà l’opposto: abbiamo visto nel #401 il biglietto da vista
riconducibile alla Ghost Enterprise …e qui ad un certo viene ribadito come lo smart-segnale (mancante, p.33) sia in un certo senso “complice” connivente dell’epidemia di zombiesmo. Senza contare che lo stesso Xabaras ci appioppa nei sensi l’ennesimo sermone paternalistico sui cellulari malvagenti che hanno spersonalizzato le civiltà creando tanti nuovi smart-mostri (p.68), con l’arroganza di separare il giusto dallo sbagliato, come i cattivoni da tastiera che addossano le colpe sul Profeta Incompreso da Tor Fregnacciara
.
Lo showdown tanto conclamato sfocia con un clarinetto in esplosione rivisitata per l’occasione che ci fa capire come si pagano le proprie nemesi e non tutti i remake vengano col buco (di trama… qualcuno si ricorda in questo senso la breve
Il Ritorno del Vampiro, di un magistrale Roi da Belle époque?), risolvendosi alla fine con un tuffo nelle acque torbide con tanto di Bodeo e smartphone ben a vista tra i sopravvissuti (p.78), tanto per farci capire cosa conta per il futuro, quando “
ci ritroveremo Dylan Dog”.
Non so cosa aspettarmi a livello di conseguenze logiche da continuity per come Dylan possa scagionarsi dalla fucilazione di Sybil, visto che non si trattava di non-morta da Boffalora, ehhhm Undead… ma senza dubbio capisco che la sequenza della squinzia pedinata prima di esser fatta a pezzi dal Jack di turno (pp. 92-95) non ha neanche un decimo della tensione impregnata nelle tavole originarie dalla sceneggiatura di Sclavi… e non basta scimmiottare il tik-tak onomatopeico dei tacchi per ricreare quelle atmosfere, quando anche un
Piani (v. DD #383) in tempi più recenti è riuscito a riprodurre quell’elemento in sequenze simili, per quanto Argento possa averlo ispirato.
Anche se in tempi di reali virus e pandemie dalla Cina con furore (mediatico?), ci fanno un po’ sorridere i gombloddi alchemici iniettati da Xabaras attraverso le condutture scozzesi, c’è un morbo da cui questo DD non sembra essersi immunizzato, a partire dai suoi autori. O meglio quella patologia da fan nelle stanza dei bottoni che affligge le nuove generazioni di autori dylaniati, che a differenza di quelle pioneristiche nascono
PRIMA DI TUTTO come
LETTORI DI LUNGO CORSO di Dylan (v. le bio-sviolinate del Rrobe per il #5), mentre la
generazione originaria era pre-vaccinata da questa visione ammorbante e condizionante, essendo anzitutto scrittori PER un personaggio, in parte sconosciuto e non sedimentato nel loro (nerd?)immaginario già plasmato con l' imprinting di oltre un ventennio, da sciorinare come le figurine in un album di ricordi da ristrutturare, forse condiviso, passando in rassegna ora Jack lo Squartatore, ora Anna Never, ora Mana Cerace, etc., da manomettere invece che liberarsene per guardare avanti con le proprie idee
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Qualcuno metta un bel tampone a questa gente, o li circoscrivano in quarantena su qualche zona-rossa editoriale parallela, prima che il contagio peggiori in modo irreparabile l'inedito come organo a sé.
ALOH MASCHERINA TI CONOSCO…
MA NON TI CAPISCO