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Di buono c'è che grazie a tutti i miei commenti precedenti, posso risparmiarmi un giudizio complessivo su questo (tipo di) albo e passare soltanto ad una rassegna di alcuni suoi passaggi.
Per la cronaca ho votato
5... dato che l'inizio era promettente ed i disegni in alcuni punti sono stati di rilievo... altrove irritanti. Su
Cavenago inutile ripetersi, ogni volta un'estasi differente: solo che qui esagera un po' troppo nel nascondere Dylan, assorbito fino ad un certo punto dal bio-ammasso nelle sue volute di carne e trasognanze.
SPOILER
SPOILER
SPOILERSi parte bene con “quegli strani giorni” e l’Apocalisse che coglie tutti di soppiatto, senza consapevolezza, neanche nel ricordo. Fa bene Dylan a scrivere, anche se facendo leva sul concetto di “indignazione” in pratica per due pagine (6-7) Uzzeo ci riserva uno spottone contro Salvini e Di Majo, tra scie chimiche, 50£ ai rom, vaccini tossici, e panzane complottistiche. Se la cosa non fosse stata chiara, nelle vignette iii-iv di pagina 7 ci presenta in modo puerlimente manicheo il fronte di chi assorbe tali notizie (sassi, molotov ed incappucciamenti da tafferuglio) contro quello degli increduli bbravaggente, madre di famiglia e tizi in bermuda
.
Le tre scimmie a fine pagina non sono coordinate con il trittico di attività messe in campo (leggere, vedere, sentire), ma tolto ciò, in questa parte iniziale ottimi i disegni di
Santucci, pulp ed efferati quanto serve, e la strage nella metropolitana fa davvero impressione. Meno interessante il rito delle Rune del presunto artista, che si dimena un po’ troppo per i miei gusti, ma l’omaggio a Lovecraft nelle sue formule (
Z’lyeh, p.13.iv ) lo salva per un capello… cotonato.
E Apocalisse sia
Lo shock è garantito nella spettacolare scena dell’esplosione/dissolvenze, con la voce fuori campo che suona come una campana a morto. Con un’intro ad effetto così pensavo ad un albo dirompente…ma le cose sono andate a scatafascio pagina per pagina, e mi si sono rotte solo le acque del travaglio. Acqua se ne vede in quantità biblica anche nel cataclismatico incedere dell’Apocalisse, un po’ banalizzata tra maremoti, esplosioni, e scosse varie (pp. 16-19) …ma l’avvento di Aletheia con le sue manone e l’occhione scrutatore lascia davvero dei brividi, insinuati anche con quei cavi da biodroidi nella cotenna
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Dylan prova a capirci qualcosa con la Dylangirl del mese – una pallida speranza, Hope, sperare che venga caratterizzata a parte i cameo da Alice in Wonderland una tantum
- ma alla fine il massimo che possono enunciare è
il solito meta-aforisma di verità infraDylaniata, che suona come una minaccia al cospetto di molti lettori speranzosi: “
Secondo te l’orrore può anche esser bello?/ Soltanto se non ci fai l’abitudine, Hope, altrimenti rischi di non ricordarla più, la bellezza”. A stò punto un asterisco per invogliare a rileggere la storia della
Barbato di Settembre non poteva mancare, come ripasso su questa fuffa.
Lasciando perdere queste ricercatezze d’artista, arriva dopo il vero Artista (p.33), e Santucci comincia a perdere il polso della situazione, soffocando sempre più le tavole con chine non dovute o campiture impiastricicose. I suoi deliri sono solo un rimpallo di sentenze da cripto-sfinge che non portano Dylan a nulla – anche perché lui stesso crea più volte confusione tra “fili” e “figli” di Aletheia, muah… - se non fargli venir voglia di metter le mani al collo di questo laconico invasato, sul che posso concordare (p.47)
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Mentre continua a non succeder assolutamente nulla, Uzzeo preferisce sottolineare il vero focus del suo albo, con altre sparate razziste e qualunquiste ammucchiate a casaccio sulla pelata non-pensante del taxista (pp.43-44) che giustamente spatascia una povera fiammiferaja intenta a chiedere l’elemosina mentre dispone dei soldini per comprarsi una copia di Dylan Dog: a letto senza cena, disgraziata! e se sanguini ancora ti butto la collezione del giovane MartinMystère nel Tamigi; ce ne sono già tante.
Dylan non brilla particolarmente d’acume e ci mette quelle tre/quattro pagine per comprendere come le versioni della verità siano relative (pp. 49-52), decidendosi poi ad un’allegra scampagnata col Rastalethioso in cerca di una soluzione.
Segue scambio a livello di sit-com made in Belpietro con l’elegante in(s)contro coi manifestanti, reso ancora più patetico dal fatto di come
un Dylan davvero-in-character-esticazzi sia pronto ad etichettare subito in tono colpevolizzante questi tizi con l’appellativo di “ipocriti e bacchettoni”, mentre poco prima non aveva mosso una sillaba di sdegno al cospetto dell’Artista, che per una causa della minchia aveva confessato lo sterminio di migliaja di innocenti. Ottimo così, la coerenza prima di tutto
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Nel frattempo messi in ballo un tot di nomi tantoper (Ted, Sylvia, Stephen, Josh, Marla, p.54) ma ovviamente si tratterà di qualche citazione che per fortuna sinora è sfuggita. Come sono buttate lì le chiavi di distinzione - giusto per evidenziare la cialtronaggine di tutto l'impianto narrativo - tra chi possiede il bio-cavo, chi no, chi lo riceve in un secondo tempo, chi viene assorbito anche senza, etc.
Spettacolare il paginone della torre (p.60), ma è l’unica cosa salvabile in questa parte di un albo che inevitabilmente sta per sgonfiarsi su se stesso a causa di carenza atavica di spunti e motivazioni per costruire una trama degna di questo nome.
Eccheabbiamo, a seguire? Dylan che viene nantra vorta respinto da Aletheia – meglio non sapere la verità sulla propria condizione dopotutto… se permettete un po’ di meta- lo faccio pure io, aggratise
- l’Artista che fa da sparring partner per sentenze da dopolavoro di maestri di yoga, e poi la più inutile e stucchevole sequenza di tutte, quella dell’arrampicata sotto la pioggia (p.67-73), afflitta dalla presenza di nientepopò(&tetté)di meno che Bree Daniels per un imprescindibile contributo di vertiginosi ribaltamenti. Quando si dice, ad ognuno il suo pacchetto di figurine feticcio, da appicciare sul frigo-altarino come ricordo
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Dopo sette pagine (74-80) tanto suggestive graficamente quanto spudoratamente dal valore riempitivo, non sapendo dove andare a parare, l’autore riduce tutto ad un mini spiegoncino insulso (pp.81ss) e riflesso su Dylan da parte dell’Artista, adesso tutto luminoso come l’Uomo Quantico – questa è per gli amici neveriani - che ripete il mantra posticcio di tutto questo carrozzone sulle post-verità.
La realtà, poveraccia, è che si riduce tutto a poco più di un rito insanguinato, con un medium/ESPer potentissimo alla base (il tizio mummificato dei “fili” di Aletheia, che fluttua con l’Artista, pp. 85 e 93) con il Nostro che si risolve a chiudere la faccenda con un semplice schioppo di Bodeo. I Subsonica commenterebbero in coretto "
ti farò male con un colpo di pistola/ Ti vedo un po’ a corto di numeri, numeri"... mentre l’autore a corto di qualsiasi trovata, pensa bene di impallettarci
con l’ennesima meta-ammissione di ipocrita paraculismo ‘
Ma è tutta una storia sciocca’/ Si’, c’è un controfinale che ribalta tutto’ (p.93 iv-v)
Manco quello a dire il vero: si strappa soltanto il diario nel finale, ammettendo l’incapacità di registrare una visione della realtà tramite i propri appunti, e tanti saluti. Viviamola così, come degli emo-esistenzialisti da Harmony
.
"
Io adesso vedo te… è solo questo ciò che conta"
Io ho visto una vaccata lunga 94pp… ma forse ho contato male.
IN DI-VINO ALOHA VERITAS EST