Ennesimo meta-pippone pseudoautoriale da parte della Barbato sui perché di Dylan, il suo “essere”, i suoi mali di vivere, etc., condito dalla (di)sgraziata aggravante di un villain iconico sfornato alla carlona per l’occasione, a favore del neo-revisionismo posticcio del pantheon dylaniato ripensato alla bisogna, e di cui nessuno sentiva la mancanza
.
Votato 6 perché il comparto grafico è di altissima fattura, e questo non si discute, mentre per due terzi la storia non mi ha irritato particolarmente – diciamo fino a pagina 63 – sprofondando in discutibilissime scelte al limite del patetico nella parte finale che farebbero perdere la pazienza anche al più santo dei miei
alter(native)
ego .
Mi è sembrato di leggere per certi versi un mix abbastanza indigeribile tra
Ut (vedi scelte grafiche di
Roi, ma anche per i “mondi ribaltati”, concettualmente) ed il solito
torture-porn intimista di sadicamente Barbatiana memoria nei confronti dello sviscerabile Dylan– v.
Oltre quella porta,
Il giardino delle illusioni … ma in pompa bastakessemagna, nel senso di una realizzazione molto più dozzinale e facilona. Anche l’ironia che poteva farla da padrona (in senso di
mistress col frustino? Noooo vveprego, nantra amante archetopica così no!
), specialmente nel lato giocoso-onirico della storia, alla fine si spegne in una serie di freddure sarcastiche o poco più, che rinacidiscono a vuoto nella parte finale, invece di virare in un goticismo fumettoso alla
Nightmare Before Christmas come sembrano suggerire alcune tavole de Le Roi.
Qualche dettaglio sparso:
**** **** ****
SPOILER SPOILER
**** **** ****Cavenago superlativo e non c’è bisogno che lo ripeta anche io. Preferisco comunque le pittoriche copertine di
Cronodramma e
La ninnananna, anche perché per le scelte cromatiche fatte qui Dylan è praticamente condannato a sparire sommerso dal rosso. Cambiare la camicia ogni tanto può tornare utile, e Villa ne sapeva qualcosa.
Roi dopo
Ut ormai si è orientato verso uno stile evoluto e definito. Qui ne dà ottima prova, anche se ogni tanto si perde in qualche spazio bianco di troppo o al contrario indugia in gigioneggiamenti vacui – v. la roccia Fabergé di p.85 che proprio non mi dice nulla. In linea di massima direi comunque che è in gran spolvero; il suo talento visionario sembra rinato. E ritorna anche ad atterrire il lettore con il ghigno di Dylan
à la Ti ho visto Morire (p.60)
.
[…]
Passando alla storia, le prime 15 pagine (5-19) sono le migliori, nonostante conoscessi l’anteprima sul
Nero della Paura e non mi avessero impressionato granché. Perché in fondo sono quelle più spigliate, nette, ed anche inquietanti, con la sindrome delle macchie nere che si profila solo agli occhi del solo Dylan fino ad offuscare l’intera Londra, a suo vedere. Forse più che un proseguimento questa parte meritava un approfondimento, invece di rivedere soltanto la vignetta ficcata di straforo pro-Rania
mon amour, che sinceramente farebbe scendere le balle anche al Redentore in cima al Corcovado
.
Capisco omaggiare la presunta continuity, ma trasformare il donnajolo incallito Dylan, in uno che continua a rimorchiare tipe a casaccio come un
muflone allupato mentre rimugina sull’unica che non gliela dà & che ha colonizzato il suo fragile cuoricino da liceale sfigatello, mi pare una delle castronerie più grosse che abbia mai letto su questa testata, vista la gestione del suo protagonista
.
Simpatica nella sua antipatia l’altezzosa Chelsea –
dimmi da dove provieni e ti dirò chi sei – a cui va sinceramente il mio apprezzamento per la questione antivegana sulle piante che soffrono, come in un preistorico topic di scambi qui sul forum tra me ed EvaLuna. Groucho e Bloch tornano in modalità crocerossini dello svalvolato Dylan tipo
…e cenere tornerai, e qui di cenere loro non ne vedono affatto, anche se la fuliggine della china prende il sopravvento su tutto. In questo senso è interessante il gioco metaforico sui preconcetti che offuscano la visione del Nostro, lo sporco/nero “
negli occhi di chi guarda” (p.7), per quanto un Carpenter prossimamente candeggiato per contrappasso possa essere soltanto una trovata complottesca di J.Ghost
.
Si arriva con una certa rapidità nella dimensione dell’Uomo Nero, che introduce il refrain del ribaltamento delle prospettive lì dove lo spauracchio è l’uomo bianco-giustiziere-paladino-senza macchia, e dove la gentilezza terrorizza, i buoni sentimenti avvelenano, etc – metacriticando tra le righe anche chi accusa di buonismo eccessivo questo fumetto. Come tintinna di
ennesima sbrodolata meta-pipponante il fatto che Babau Jr sia incapace di interessarsi ai bambini, annojato dalla paura, ed inetto ad applicarsi negli incubi (p.27), perifrasando molto dei problemi attuali del New Boy, per come viene scritto. Resta tuttavia alquanto pedestre il modo didascalico in cui Babbo Babau spiegonizza in dettaglio come funziona il suo mondo, per circa una quindicina di pagine… “e non finisce qui”. [
cit. Corrado. Partano gli spot dello sponsor dopo cotanto dilettantismo sbaragliato]
.
Tremenda la corrida di pezzi da novanta buttati lì per creare clamore, come la profezia sui figli “tremendi” che avrà Dylan in un nonspecificato futuro (p.26) e l’introduzione di una nuova divinità cosmologicamente abusiva nell’immaginario Dylaniato… la Grande Madre (p.32) di tutte le paure, in pratica
Nonna Fifa, che dovrebbe essere anche una pocodibuonomabbona, dato che è incestuosamente madre di suo nipote (p.91) in una dimensione in cui è dato di conoscere solo l’origine materna, ma sono tutti potenzialmente padri… compreso il misterioso cognato libertino che ha scritto un libro sulla detenzione
(p.81) .
Bah, nel dubbio ho davvero paura – e questa sì che fa aprire gli occhi (v. p.35), complimentandomi per l’esito con gli autori - che dopo Mater Morbi, Sora Morte, e Nonna Fifa si profili prossimamente qualche altra divinità nello spaventevole album di figurine dei villains-allegorici dalle simbologie occulte, quale la terrifichesca
Suocera Tremens, uno degli incubi più conclamati nell'immaginario represso di Dylan, e che se continua così si rivelerà la comare rediviva di Abdul Alhazred, colei che ha dato alla luce Rania tra una tentacolata e l’altra, mentre Saddam gongolava
.
Seguono un numero eccessivo di sequenze rigorosamente in bianco (da p.36)... come Dylan, che se non altro una mezza limonata astringente se la farà più avanti, con Nonna Fifa di poco vestita. Il meccanismo del bujo delle paure evocate, per poi essere dissolte dalla luminosità del buonismo lesivo, è un po’ ripetitivo di per sé, ma funziona, nei vari tentativi di acchiappare il mancato bricconcello Babau Jr. Il bimbo però non si applica, è un caso perso: se ci dobbiamo affidare alla filastrocca (p.48) a sto’ punto meglio darlo all’uomo bianco per raccoglier cotone fino a stancarsi, con gli altri neri
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Carino Dylan che si aggrappa ad una risata per far sanguinare l’orco (p.60), anche se mi sembra davvero inquietante l’idea che Dylan rida in modo sincero ad una battuta del genere da parte di Groucho. Meno inquietante di sicuro il fatto che si professi ammiratore di mostri e mostruosità varie, ma a questo ormai ci abbiamo fatto il callo un po’ tutti. E come collezionista di obbrobri negli ultimi inediti pare essersi portato molto avanti con la collezione…
Da qui in poi (p.63)
è un’impennata di pataccate di taglia epocale, nella peggiore tradizione Ut-tesca, a partire dal frasone ad effetto strombazzante da incidersi sul biglietto da visita “
è scritto che rimanga fedele all’incubo che mi sono scelto”. Scegliersi un incubo migliore mettendo le corna all’altro no? La seconda che hai detto: non basta il cameo (
) di
Quelo-Guzzanti (
https://www.youtube.com/watch?v=WGQ7JZRZ65M ) per salvare quando stiamo andando, e c’è grossa crisi se la risposta dentro di te è sempre sbagliata, mentre miagoli nel bujo
.
Dalla new entry come dark lady di Nonna Fifa ho già parlato abbastanza, come del suo taroccatissimo auto-assurgersi a presenza essenziale nelle affezioni libidinose di Dylan, infliggendoci pure l’ennesima barb(at)osa appendice per meta-spiegare lo stato delle paure del Nostro, con nantra decina di pagine all’insegna del peggior didascalismo psicologorante. Capisco che Dylan possa corteggiare ed essere attratto da una arche-topa del genere, ma tutto il discorso che lui la perseguita come uno stalker sbavante è al limite del pagliaccesco, parlando di metafore sentimentali. Va bene affezionarsi alla proprie fisime…
ma da qui a dire di essere “drogato” delle proprie paure (pp.70-73), aumentando morbosamente dosi, eccessi, ed assuefazioni tossiche ce ne passa… fino a professare una soglia disumana di tolleranza verso le paure stesse. Certo che il mio livello di tolleranza di fronte a cialtronate simili deve esser salito a livelli mostruosamente inumani, se davanti a roba del genere non ho ricoperto tali pagine con litri di pernacchie, fino a stingere tanto bianco & nero di fesserie chiazzati
.
Si prosegue col solito Dylan barbatiano in auto-analisi che si chiagne addosso afflitto (p.75-78) o prova a trovarsi una spauracchio su misura (pp.79-83), sconfessando anche quelli più atavicamente banali (separazione, isolamento, vecchiaja) con frasi esistenzialiste da Moccia-osi della più sempreverde specie tipo “
se invecchi vuol dire che hai vissuto”
.
Direi di stendere un velo (nero, funebre, senza candore pietista) sul sillogismo paraculo che si presume debba risolvere tutto attraverso un illuminato algoritmo di fattori convergenti [
Se non hai più paura di niente, non ti fa questo ancora più paura?]. Abbastanza ignobile
lo sminuire il tutto dicendo che trattavasi di una semplice messinscena a scopo di terapia ad hoc, da somministrare al sempre paziente Dylan sotto prognosi della dottoressa Paola. La mutua impallidisce, pensando al cachet ed i fondi neri per liquidarlo. Non stupisce che si giochi a palla prigioniera (di pezza, rattoppata, come il finale) con le paure di Dylan fino a restituirle di rimbalzo al legittimo proprietario
.
Un bacio e buonanotte alla bua. Una tac e si torna a soffrire, di strizza.
ALOHA MAMMA ME LA SONO FATTA SOTTO…
… LA FIGLIA DEI VICINI, GIU’ IN GARAGE. PAURA, EH?