Felix, nella pagina precedente hai scritto un gran bel post.
Sarà che i forum sono in crisi, ma sui social più frequentati è raro trovare analisi così interessanti. Forse ce ne sono, ma restano travolte da fiumi di chiacchiere.
Sono d'accordo con te su tutto, ma mi limito a riportare il passaggio più significativo:
Felix ha scritto:
(...)
Recentemente il fumetto, mercé il cavallo di Troia del [errata corrige per l'editoriale: è maschile, ormai lo sanno persino i giornalisti] Graphic Novel, sembra essersi guadagnato un posto al tavolo degli adulti (nel nostro paese conserva ancora qualche residuo sospetto di puerilità, perché siamo davvero gnucchi). È il turno, finalmente, della Generazione Nerd. Direi che pochi potrebbero esemplificare meglio del binomio Sclavi/Recchioni questo scarto: possiamo dire di godere di un osservatorio privilegiato.
Sclavi proveniva soprattutto dal mondo editoriale: per lui (e per la sua generazione) il fumetto era uno dei media nell'aria: amato, importante, ma non certo esclusivo. Per me stesso, bimbo lettore, il primo Sclavi non è quello di Dylan Dog, ma quello della PaleXtra dei Lettori sul Corriere dei Piccoli dei primissimi anni Ottanta. Era, in sostanza, una divertentissima lenzuolata di posta dei lettori, gestita quasi con piglio da DJ. Il tono era identico a quello dei redazionali di Dyd, e Groucho era già udibile in sottotraccia (e no, non aveva sonorità infere: quello è un problema degli sceneggiatori che non sanno maneggiarlo). La sua voce di scrittore di fumetti all'alba dell'86 era ancora in fase di rodaggio. Con Dylan Dog si può dire che l'abbia trovata (eccome).
Per Sclavi i (tantissimi) riferimenti culturali interni ed esterni al fumetto erano qualcosa da lasciar trapelare con discrezione, in un gioco di citazioni tra il pudico e il sornione, o anche da dissimulare con una buona dose di paraculaggine, quando si trattava di (eccellenti) scopiazzature.
Per Recchioni rappresentano (o almeno così mi pare) un bagaglio da affastellare bulimicamente proprio per giustificare e innalzare il valore di un media che si sente ancora, di fondo, come "minore" (confrontare, prego, gli spazi redazionali del primo con quelli del secondo). E in questo, in sé, non c'è niente di male, se il pubblico di riferimento è quello dei nuovi (giovani) lettori: possiamo vedere i nuovi editoriali come utili consigli d'ascolto e di lettura. Per noi vecchiacci, però, è difficile non sentire un'ansia di autonobilitazione non petita, se non addirittura quel vago retrogusto di arrampicata sugli specchi in sede d'esame alla Enrico Fiabeschi (bisogna riconoscere che però Fiabeschi era messo molto peggio. ah, a proposito, la battuta fumettista/rockstar viene da Pazienza).
(...)
Ecco, da "vecchiaccio" quale sto diventando, ho proprio quella sensazione.
Con l'avvento del RRobe, Dylan Dog si è svegliato da un lungo coma ed è tornato a voler dire qualcosa.
Il problema è che sembra voler parlare soprattutto ad una generazione diversa dalla nostra, ad un pubblico diverso dai suoi lettori tradizionali.
Credo che noi "vecchiacci" prima o poi dovremo prenderne atto.
E, quindi, scegliere se abbandonare il nuovo Dylan oppure giudicarlo sulla base di quello che vuole essere, non sulla base di come noi vorremmo che fosse.
Io, per il momento, scelgo la seconda via.