Concordo con Dear, anche se ammetto di essere da sempre affezionatissimo ad Oltre la morte
@alemans
Non voglio trasformare questo topic in una disanima sulla figura dell'eroe noir. Sicuramente la teoria secondo cui Dylan è un eroe più dolente e tristemente ironico alla Marlowe che un pistolero del cazzo alla Mike Hammer e l'altra merda è tutta da dimostrare. Ma rapidissimamente: Marlowe beve e fuma in un'epoca in cui tutti bevono e fumano, e lo fa anche meno rispetto ad altri (tipico l'occhio sarcastico con cui Marlowe contempla le crapule altrui, rispetto alle quali lui è quasi sobrio, in tutti i sensi). Ma Merlowe non è quasi mai "macho", e neppure Dylan, che nel suo rapporto con il bere, il fumare e il mangiar carne abbassa il proprio grado di mascolinità diventando molto più simile a (che dio mi perdoni) uno di noi.
Anche il rapporto di Dylan con l'autorità è conflittuale: s'innammora di una terrorista, finisce in galera una volta l'anno e in almeno una occasione ha tentato di far fuori il Sovrintendente. E DEVE essere conflittuale, come dimostra l'introduzione del personaggio di Carpenter: altrimenti non sarebbe un outsider, sarebbe un integrato. L'amicizia con Bloch è una necessaria eccezione, peraltro non rara nel genere noir. Anche il suo rapporto con le donne ricorda molto da vicino quello degli investigatori hard boiled (vedasi la scena di seduzione della signora Grayle in Addio mia amata e il finale dell'hammettiano Il Falcone Maltese). Quanto alle capacità deduttive, Dylan non è nè un genio nè uno sprovveduto. Esattamente come il detective noir per eccellenza, che non è mai un cervellone alla Hercule Poirot: protagonista non è mai "il caso", ma il contesto.
Ecco: il protagonista è il contesto in cui si muovono i personaggi. Come in Dyd e anche come nell'horror anni '70, quello di vaga denuncia sociale, quello che veniva realizzato con i quattro soldi racimolati dall'aver fatto girare qualche pornazzo in certi libertini circuiti privati (cominciarono così Wes Craven e Tobe Hooper, ed è forse fra le ragioni per cui i loro primi film sono così sottilmente percorsi da quel lieve filo di erotismo pruriginoso che Sclavi riesce così egregiamente a replicare nelle sue storie).
Ecco perché è così importante parlare delle citazioni in Dylan Dog. Le citazioni sono uno dei tanti elementi che compongono il contesto, se non altro quello culturale in cui le storie nascono e fermentano, fanno parte di quel quid che l'autore cerca di dire, sono uno dei tanti strumenti della consapevolezza (quindi non solo il "cuore", ammesso che esista, ma anche la tecnica) con cui un autore cerca di far pervenire al lettore la propria VISIONE.
La VISIONE che mi arriva da I Vampiri di Sclavi (sempre seguendo l'esempio da cui sono partito) è la seguente: la società fa schifo e ci sono ingiustizie che andrebbero combattute. Ma combattere le ingiustizie, soprattutto in certi modi, trasforma anche noi in mostri. Allora cosa ci resta? Sperare e continuare a credere nella libertà. Piaccia o non piaccia, gusto o non gusto, voglio credere che siamo d'accordo nel considerare tutto ciò più pregnante del semplice limitarsi a citare dei quadri in Mater Dolorosa, o Walking Dead in quella maniera in Mai più Ispettore Bloch, o Nelson Mandela a mò di moralina finale in Anarchia nel Regno Unito, eccetera, eccetera, eccetera.
Chiaramente una citazione può anche essere un "gioco", un momento di comunione fra autore e spettatore. Ma non si può abusarne al punto da rendere una storia una sterile collezione di "cose" prese qui e là dalla tua libreria personale.
Ah, poiché lo stai "citando" (
) il Fantozzi che s'intravede sullo sfondo narrativo della Macchina Umana dimostra che Bilotta, con tutti i suoi alti e bassi, ha capito COME si mettono le citazioni al servizio della narrazione.