L'albo senza dubbio merita i commenti positivi che precedono il mio, ma per alcune ragioni l'ho apprezzato meno de
La casa delle memorie.
Prima di elencare quelle ragioni, mi unisco a chi ha già osservato che la storia è avvincente e ben scritta; che i disegni di Camagni sono perfetti per le sue atmosfere distopiche; e che l'universo narrativo creato da Bilotta, pur non brillando per originalità, ha una sua coerenza e persino un suo fascino. Insomma, se la saga del Pianeta dei Morti riuscisse a mantenersi su questi livelli e a evitare di scadere nella monotonia, ci sarebbe da essere più che soddisfatti.
Però, come dicevo, per alcune ragioni (per lo più soggettive) questo Speciale mi ha lasciato perplesso.
In particolare:
1) Non è autosufficiente.
rimatt ha scritto:
l'albo, per quanto narrativamente denso, non è pienamente autonomo e non può essere gustato al meglio se non si è letto La casa delle memorie; allo stesso tempo, quando si chiude il volume si intuisce che la vicenda raccontata è propedeutica a quel che accadrà nei prossimi numeri della saga: è insomma una storia "di raccordo", ricca di importanti elementi di continuity, e alla luce della periodità annuale della collana non sono sicuro che l'idea di creare albi così interconnessi sia vincente.
2) Certi dialoghi sono troppo artefatti. Gli spunti filosofici sono graditi ma, se si esagera, il rischio è che tutti i personaggi sembrino più sentenziosi dei protagonisti dei film di Sorrentino.
C'è, inoltre, qualche maldestro infodump (perdonabile, date la continuity e la periodicità annuale).
3) Don Cristo ha scritto:
Questo non è Dylan Dog.
Sarà un luogo comune, ma stavolta purtroppo è vero.
Al di là delle innumerevoli citazioni dell'universo narrativo "ordinario" (alcune, invero, un po' forzate), questa storia ha ben poco di dylaniato, tant'è che forse avrebbe funzionato ugualmente con un protagonista diverso da Dylan. Fra le fonti che hanno ispirato Bilotta qui non mi sembra di scorgere Sclavi e i primi Dylan.
Al contrario,
La casa delle memorie era una storia profondamente dylaniata e, per certi versi, sclaviana. Lì Bilotta ci mostrava la degenerazione di Dylan e del suo mondo, con i toni e la poetica tipici della serie ordinaria. Nell'ultimo speciale, invece, ci mostra un mondo distopico coerente con se stesso, affascinante, ma lontano da quello di Dylan.