Cravenroad7

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#356 - La macchina umana
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Mediocre (5) 4%  4%  [ 4 ]
Accettabile (6) 5%  5%  [ 5 ]
Buono (7-8) 34%  34%  [ 37 ]
Ottimo (9-10) 45%  45%  [ 49 ]
Voti totali : 110
Autore Messaggio
 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 4:34 pm 
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Iscritto il: mar feb 03, 2015 10:01 pm
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Aleksandr ha scritto:
ci si scorda del nuovo corso


Volentieri, grazie :g:


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 4:37 pm 
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Iscritto il: ven ott 10, 2014 1:54 pm
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Dear Boy ha scritto:
Non mi tornava solo perché era l'unica situazione onirica/simbolica non strettamente personale ma condivisa con altre persone.
Mi avete convinto, anche se il tana libera tutti non mi entusiasma.

LestatDeLioncourt ha scritto:
Perche' si vede la foto d'epoca con Jack Torrance all'Overlook,quando Jack era appena stato all'Overlook?
Sarebbe interessante saperlo,e magari con qualche didascalia.
Non è la stessa cosa ma non importa.
Ho detto che mi avete convinto.


Ah,perche'...c'era una "cosa"?... :lol:


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 6:01 pm 
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Iscritto il: dom gen 22, 2012 4:51 pm
Messaggi: 511
Aiuto, mi è andato un cliché di traverso.


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 6:48 pm 
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Iscritto il: lun ago 15, 2011 10:01 am
Messaggi: 407
io vado contro corrente, la copertina mi piace, specie per quel colore bianco/grigio, molto particolare perche manca uno sfondo nero che è presente in moltissime copertine

la storia è bellissima, non ne trovavo cosi da molto tempo


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 7:57 pm 
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Iscritto il: ven giu 27, 2003 10:00 pm
Messaggi: 3868
SPOILER

A me e' piaciuto quando hanno rotto gli occhiali alla spia/ arpia , segno che un po' di reazioni ci sono, perche' tanto reagire con buone maniere e' una battaglia persa , son d'accordo con ittosan , reagire con violenza e' corretto.


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: lun mag 02, 2016 8:18 pm 
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Iscritto il: gio ago 20, 2009 12:26 pm
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Granger ha scritto:
[...] l'aver alleggerito il logo rendendo trasparente lo sfondo (cosa che a me piace perché lo svecchia notevolmente senza far urlare alla blasfemia gli storici) in alcuni albi, tipo questo, sposta la scritta nettamente a sinistra dando un effetto decentrato un pochino spiacevole, almeno per me.


Almeno per me questo è un tasto dolentissimo...e non capisco la cocciatuggine revanchista della redazione nello sbandierare il nuovo logo come distintivo all'occhiello (sfiorito) della filosofia estetica del nuovo corso :evil: :evil: :evil:

Più che un esempio di "rottura", un rompete le righe che non dovrete più vedere. E statece.
Senza tirare in ballo Gaber: qui non è una questione di strabismi di sinistra o convergenze a destra, con ammucchiate al centro, e sciate chimiche eptastellate.

Semplicemente si perde in volume, si smilzaglia l'approccio, si svuota la pagina, si evanesceggia il nome del protagonista, lasciando delle trasparenze mosciosamente poco osé alle sue spalle. Qualche volta può andare anche meno-peggio (v. In Fondo al Male) ma quando si appoggia il logo ad uno sfondo così chiaro e variegato come quello di questo mese, l'effetto è pietosamente nullo, togliendo un 50% alla sua funzione d'impatto come marchio di fabbrica della testata :? .

A me' me pare na' strunzata. Come molte "blasfemie" che hanno bisogno di distinguersi da un presunto "credo" precedente per sentirsi legittimizzate :roll:

Immagine

_________________
Io no capito, io no capito

(anta baka?! [...] kimochi warui)


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: mar mag 03, 2016 9:13 am 
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Iscritto il: mar gen 31, 2012 9:11 am
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Albo che mi ha particolarmente colpito perchè ho cominciato a lavorare anche io e mi ha fatto pensare molto. Bellissima storia,particolare! Votato buono!


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: mer mag 04, 2016 2:24 pm 
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Iscritto il: dom ott 18, 2015 11:10 am
Messaggi: 80
Nikolaj Stavrogin ha scritto:
Mi accodo a Cyber Dylan nella generale delusione, per un motivo molto semplice e, al contempo, credo abbastanza complesso [che forse appartiene solo alla mia mente].

Ci sono tre argomenti che, a mio avviso, Dylan Dog non dovrebbe più toccare: la morte, il lavoro/burocrazia e Dylan Dog stesso.
Il secondo, rispetto agli altri due, ha anche delle aggravanti:
1) È stato trattato da chiunque, dall'antichità a oggi;
2) È fortemente politicizzato;
3) Come conseguenza del punto 2, è stato trattato sempre allo stesso modo.

Bilotta è un grande, scrive con personalità e carisma, ha talento e visione, ma corre da fermo. Fa i salti mortali sulla cyclette.
Potrei analizzare i contenuti e la sceneggiatura in mille modi diversi, tutti positivi [tipo la Fine dell'episodio messa lì, ben altro che mera volontà di stupire], ma sul tema di fondo non fa un passo rispetto al solco tracciato dai predecessori.
E i nomi di Villaggio e De André, giustamente sottolineati, risalgono a qualcosa come 40 anni fa.

Cos'è cambiato da 40 anni a questa parte, sulla ricezione del tema del lavoro? Nulla. Nulla, e il motivo è il punto 2 di prima.
Non è un mistero che, da 40 anni a questa parte [ma diciamo anche dalla fine della guerra?], l'arte e la cultura siano di proprietà della sinistra, ideologica o meno.
Vi viene in mente il nome di un grande cantautore di destra, tranne - forse - Battisti? E Battisti, forse proprio per questo, è stato uno dei pochi che ha potuto permettersi di cantare di qualunque cosa, fossero anche semplici emozioni, senza lasciarsi contagiare prima o dopo dal morbo della politicizzazione coatta.
E Fantozzi, che io potrei declamare a memoria come il pelide Achille o le sacre sponde, è proprio la prima grande vera elevazione artistica, a livello cinematografico, da sinistra [e dal basso], di una certa visione di un certo mondo.

Ora, che Dylan Dog sia vagamente orientato a me sta pure bene.
Recchioni stesso dichiarò in un post che chi vota Salvini e legge Dylan Dog non ha capito un cazzo, e sottovoce posso pure dargli ragione.
Però. C'è un però.
E il però è che non riesco a smettere di pensare all'orrore, quello sì, che mi susciterebbe un albo che parlasse finalmente [provocazione voluta] del lavoro come di un qualcosa di magnifico.
E mi susciterebbe orrore perché l'unico nella storia che ha avuto l'ardire di farlo con una celebre scritta non fu Villaggio, e neanche De André. In generale, non fu nessuno che a fine albo ricorderei con un sorriso.
Ecco. A quel punto, avrei davvero la sensazione di stringere qualcosa di autenticamente demoniaco, un fumetto che trascende se stesso tornando autenticamente alle origini.
Il che non significa che quell'albo debba poi corrispondere al pensiero dell'autore, ma sarebbe un effetto novità, coraggio e futuro[/passato] che mi piacerebbe davvero vedere.

Dice: hai sbagliato fumetto. Io credo di no.
Quando parlo di origini e futuro/passato, mi riferisco proprio al fatto che il primo Dylan Dog era tutt'altro che politically correct.
Anni fa, la sensazione era quella di avere fra mani l'incarnazione del male.
Si pensi a Gli Uccisori, e alla sua spirale di violenza che alimenta se stessa non risparmiando nessuno. O a Il male, e alla sua conclusione ciclica e fatalista.
Il problema è che gran parte di quella caustica irriverenza oggi è diventata la norma, anche ad alti livelli. Si pensi al progresso della ricerca scientifica sullo sfruttamento degli animali [Goblin] o allo sdoganamento ormai pressoché totale del fumetto, e del fumetto "violento" [Caccia alle streghe].
La mancanza di polso dell'attuale Dylan Dog, che io stesso ravviso, è dovuta proprio al fatto che il personaggio è stabile sul percorso tracciato da se stesso. Ma è un percorso ormai collettivo. Dylan Dog non è più solo su quel sentiero, il che gli ha fatto perdere molto e lo ha condotto alla stanchezza attuale.

A me questo Dylan Dog ha rassicurato. Come mi rassicurano Villaggio e De André.
Cazzo, c'è qualcuno che la pensa come me. Forse possiamo lottare insieme, e unirci per cambiare lo stato di cose.
No, io questo non lo voglio più vedere. Non voglio essere rassicurato. Voglio rivedere quella luce, quella antica, quella delle origini appunto, che filtrava dalla consapevolezza, o dalla speranza, che tutto quell'orrore non poteva essere altro che finzione.
Una finzione, e un orrore, che riuscivo a contenere proprio perché li imprigionavo lì, fra quelle pagine, semplicemente chiudendo l'albo. Cosa che con la realtà non è possibile. Un vero e proprio esorcismo mensile.
Oggi chiudo l'albo, e gli impiegati costretti a lavorare gratis sono ancora lì, molto vicini a me. No. Non ci siamo.

A margine, ma coerentemente, ho trovato il finale il trionfo della retorica più assoluta, e anche più banale.
La fila infinita di operai spersonalizzati e senza volto. Io quelli li vedo ovunque. Non voglio il mio ovunque, voglio Dylan Dog, perché altrimenti potrei fare a meno di leggere.
E in generale, l'albo mi è parso pesante e poco scorrevole, una copia di mille riassunti sul tema del lavoro cacca appiccicati e sovrapposti uno sull'altro [e il quintale di citazioni non è un buon segnale, in questo senso].
Comunque non è privo di colpi notevoli, e lo stile di Bilotta è maturo abbastanza per sostenerlo a dovere senza cadute di stile.
I disegni poi sono strepitosi. Rigacce nevrotiche, overdose di buio alternati a pianure di bianco asettico, volti scavati e dolorosi come pochi altri: personalmente, una gioia per gli occhi e per la storia che si voleva raccontare.

Che, concludendo, rimane per me la grande assente.
O la troppo presente, a seconda dei punti di vista.



Ti ricito integralmente perché penso che il tuo sia un bellissimo commento.

Penso, purtroppo, che il potere escatologico (nel senso di liberatorio: catastrofe e rinnovamento) del miglior Dylan Dog sclaviano sia cosa che non appartiene ai tempi che abitiamo. Era un fumetto giovane, discretamente maledetto e romantico, e questo dipendeva da alcuni fattori non più riproducibili (età anagrafica dell'autore, zeitgeist che si respirava nell'aria negli anni Ottanta in Italia, non certo sereno, ma sicuramente meno consapevole e rassegnato di quello che oggi ci impolvera le ali).
Che ci aspettiamo da un fumetto popolare? Evasione e piacere in senso ampio, spero. La particolarità di Dyd nella sua stagione d'oro (a costo di suonare un fighetta, secondo me i primi 60 numeri o giù di lì, poi è stato mesmerizzato :g: ) è stata quella di aver fatto esplodere una piccola rivoluzione all'interno del fumetto "industriale" italiano. Fino agli anni Settanta l'imperativo Bonelliano era stato —sensatamente, trattandosi solo di fumetto popolare— la pura Avventura (cfr. HP e Giuseppe Bergman), in senso generico, escapista, conservatore. O anche reazionario, se vogliamo concedere al gergo dell'epoca. Se consideriamo la proporzione fumetto d'autore/politico vs. fumetto popolare, possiamo anche sostenere che Linus stesse a Tex [testata] come De André stava al già citato Battisti. Sergio Bonelli non ha mai nascosto la propria distanza da quello strano ordigno sclaviano che gli era scoppiato tra le mani: Dylan Dog ha portato nel fumetto popolare degli elementi di critica sociale e di inquietudine che prendevano il potere eversivo cieco dei fumetti "neri" anni Sessanta e lo precipitavano in una nuova dimensione, più consapevole e politica. Come altre opere avevano fatto in precedenza (Alack Sinner, lo Sconosciuto), ha spostato il limite del fumetto popolare in direzione di quello d'autore.
Secondo me Bilotta fa egregiamente il proprio lavoro: come già notato da dipitendo, scrive ottimamente uno dei Dylan Dog attualmente disponibili. La tavolozza dylandoghiana che oggi si offre agli autori è variopinta, ma probabilmente la ricchezza delle combinazioni possibili è diventata modesta, e le tinte non sembrano più forti come quelle delle origini. All'entropia non si sfugge.

Non capisco bene, invece (forse è un mio limite, sono un uomo dai gusti semplici), l'accusa di superficialità, o eccessiva adesione ai cliché, che muovono alcuni qua dentro. Non definirei Dylan Dog un fumetto "vagamente orientato". Dyd in sé È, senza scappatoie, un personaggio marcatamente "di sinistra": un ragazzaccio britannico tra l'anarchico e il veterolaburista con melanconie alcoliche non del tutto risolte [Dear Boy, ne abbiamo già parlato? :wink: ], immaturo e malato cronico di romanticismo. Perché non dovrebbe cadere anche lui in qualche cliché? E soprattutto, da quando in qua il linguaggio di un fumetto seriale dev'essere sofisticato? Sarò io troppo sempliciotto e trinariciuto, ma se in un fumettazzo da edicola trovo avventura (in questo caso non molta, è vero), un po' di sperimentazione grafica, buon umorismo e qualche sana paginata di Scuola di Francoforte cacciata dentro senza stonare non ho di che lamentarmi. La finezza linguistica nel fumetto sta in luoghi più misteriosi e meno visibili: nello spazio bianco tra vignetta e vignetta, nell'infinita complessità del metatesto visivo; non nei puri virgolettati.
Di fumetto popolare parliamo. Per approfondire c'è sempre Žižek. Oppure no; magari il problema è anche qui: in quest'epoca di sovrimpressioni accade che linguaggio saggistico e linguaggio "di genere", vittime di fascinazione reciproca, si sovrappongano eccessivamente, depotenziandosi a vicenda. Il che ci condanna all'insoddisfazione. Forse viviamo in un'epoca tragica ma poco seria, ma di questo non possiamo dare la colpa ai fumetti.

Capisco bene invece l'altra faccia della tua critica: l'avventura dev'essere autosufficiente. Se la storia, la trama, l'idea narrativa non è solida, un copiaincolla di Horkheimer diventa una stampella ridicola. Ricordo ancora con un brivido una citazione di Nietzsche buttata lì aggratis da un Mastantuono in chiara difficoltà con la sua prima sceneggiatura dylandoghiana; l'abbiamo fatto tutti al liceo, quando avevamo poco da scrivere (qualcuno lo fa ancora, tutti i mesi, a pagina 4, ma si tratta auspicabilmente di un fenomeno transitorio :wink: ), però non ci casca nessuno.

Ma quello che scrivi mi sembra andare oltre. Mi pare che tu stia attribuendo, anzi, rivendicando all'orrore puro, all'oggetto "artistico" svincolato da ogni compitino ideologico, una autosufficienza e un potere destabilizzante (e se vogliamo rivoluzionario) maggiore rispetto a quello di qualunque critica sociale che segua un binario già tracciato. Continuo a interpretarti: la strada tracciata da un grande fumetto dell'orrore dovrebbe solo smarrirsi nel buio. Un'immagine visiva: questa storia di Bilotta si perde in una nebbia lattiginosa senza fine illuminata dal neon; l'orrore di cui parli tu finisce in un'oscurità in cui balenano brevi riflessi d'oro e di ottone.

Cazzate sinestetiche a parte, qualche esempio, di tanto oscuro e maligno smarrimento? Sicuramente lo shock che
Spoiler!
ci ha regalato a suo tempo Desmond, il maggiordomo de "il castello della paura". Ma come? Lui? Ma non era un compagno? Per di più alcolista, bruttone e sovrappeso. Son cose che in un fumetto di Sclavi dovrebbero salvarti l'anima! Oddìo, dove sono finito? ho perso il Nord della bussola ideologica!

O il Dylan "vendicatore" de Gli uccisori, che viene spesso liquidato come errore di gioventù di una caratterizzazione ancora acerba, ma che secondo me invece suggeriva la complessità di un personaggio non del tutto prevedibile, di cui avremmo ancora bisogno.
Proprio perché ancora non definito e misterioso, nella vasta ombra di quel Dylan Dog contraddittorio e poco esplorato ci si perdeva. L'unico appiglio erano il suo carattere e la sua ironia, che oggi sono stati sostituiti da un prontuario etico. Due cose completamente diverse.

L'ho già scritto, sono uno di quelli gnucchi e veterocomunisti, con la terza narice sempre pronta ad annusare la Linea. E oggi la Linea non c'è proprio. A me il fumetto "politico" piace, e la morale facile, se è ben ammannita, non mi dà nessun fastidio. Gente come Brecht e Eisenstein —ma anche Carpenter, perché no?— ha dimostrato che si può benissimo fare arte (qualunque cosa essa sia) anche così.
Ma se dici che un fumetto capace di rompere la cornice del messaggio, e di condensarsi alle spalle del lettore come un'ombra minacciosa, possa essere più rivoluzionario di qualunque saggettino a fumetti,

…bè, cazzo, sono d'accordo con te.

Votato 9.


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: mer mag 04, 2016 6:26 pm 
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Iscritto il: gio nov 05, 2015 5:07 pm
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devo ancora recuperare l'albo, ma la copertina (sin dalle anteprime) mi fa letteralmente cadere le braccia... e non sarebbe un bene visto che sto per entrare in acqua..voi che consigliate...mi fermo, o tiro dritto oltre l'edicolante di fiducia del mio impianto sportivo?!?

_________________
Il segno è sottoposto alla legge, le apparenze non sono che sottoposte alle regole del gioco.
https://ilfumettarovetusto.blogspot.com/


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: mer mag 04, 2016 10:54 pm 
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Per me puoi anche tuffarti in quest’albo, almeno per la curiosità…ma di certo non per la copertina che ci propone Dylan in versione ludica di cavia da labirintorio-trappola

Immagine

…. alla ricerca di qualche pasticca-cachet più che di una via d’(u)Escher-ita dai propri fantasmini lavorativi. Tra l’altro si continua anche nella meccanica convinzione grafica recchioniana che basti un camicia rossa per identificare Dylan, e Garibaldi ci farà sapere. Nel frattempo “obbediamo”… all’imposizione del logo monocromatico, che mi sta proprio sul Caiazzo, a livello di battaglie alla garibaldina :x: .

Comunque, copertina a parte, si può dire qualcosa di quest’albo…


SPOILER °°°°°°°°° SPOILER


SPOILER °°°°°°°°° SPOILER


SPOILER °°°°°°°°° SPOILER




Non mi ha impressionato per nulla. Né in positivo né in negativo :| .


Probabilmente è il miglior Bilotta sulla regular – non che bisognasse far gli straordinari sottopagati denotte per superarsi, eh… – ma quest’anno ho preferito di gran lunga cose come Il Lago nero o Il mostruoso banchetto, che non abusano dell’ ”impegno” per disimpegnarsi dal contesto.

Ho votato 7 soltanto perché i disegni sono di ottima caratura, i dialoghi impostati bene, e Bilotta almeno non soffre della medesima bacchettonaggine pedantesca nell’imporci l’indottrinamento delle sue cause pseudo-sociali, a differenza dell’ingenuo pa(st)rrocchiano Gauldoni, o del guru del radicabigottismo Simeoni :evil: .
Ma la storia per il resto non mi ha offerto nulla di particolarmente suggestivo, l’incubo latita a più riprese, il ritmo è ingessato fino all’apatia più densa, ed alla fine ho avuto soltanto la sensazione di una serie di “quadri” a tesi con Dylan calato coattamente nel ruolo di un altro personaggio, semplicemente perché è questo il nome della testata, ed un albo del genere ne Le Storie avrebbe avuto impatto zero.

Come sempre, in tempi recenti, è tremendamente difficile scrivere una storia horror in cui Dylan intermedia con altri protagonisti, interagendo tramite indagine, mentre più di comodo la soluzione di metter lui stesso alle strette con un incubo-paranoja qualsiasi, anche senza alcun espediente narrativo come qui, dove ci vediamo catapultati nella dimensione della Day Dream di punto in bianco – e questo può essere anche un bene, nel daydreaming nuovi incubi alla luce del sole – ma senza trovare poi appigli narrativi durante gli sviluppi della storia, a parte l’accenno di Griffiths ad un’indagine spersonalizzante che sarà il pretesto per innescare questa full immersion de profundiis nel mondo dell’impiegatismo post-industriale :o .
Struttura ripetitiva con sbalzi al limite dell’immotivato, se non del puramente figurativo. Non si si avventura più di tanto nell’onirismo vero e proprio della cinica realtà – ma Medda è un altro pianeta, distante molte promozioni di rango da questo scrivanismo d’appendice – né nel lato più grottesco del degenere con cui ci si vuole confrontare – dove perfino l’incubo burocratesco di Recchioni nel Modulo A38 aveva fatto meglio. Si avverte una castrazione di fondo nella “scena” per privilegiare il supporto teorico alla scena stessa.

Più che Kafka poi direi Camus, perché l'incubo sembra più latente all'estroflessione del singolo che all'introjezione del sistema. I vari temi collegati alla critica social(e)…come sfruttamento, stato di sorveglianza, alienazione, l’azzeramento di dignità/ personalità, il ritorno a casa – per far cosa? – quale unico obiettivo della giornata, le spiate per farsi belli davanti al capo – strano non si parli di raccomandazioni, poi … - le macchine che sostituiscono l’uomo, etc… possono essere anche interessanti nel loro infliggerci derivazioni estreme di uno stato di abus&soprusi verso l’essere non nobilitato dall’impiego, ma qui alla fine il campionario diventa fine a se stesso nell’illustrativismo per “quadri”, appunto, più simile alle allegorie malriuscite di un Ratigher digressivo che alla pregnanza soffocante di un Medda che affronta una trama :roll: .

E come dice il promettente Nikolaj, l'opporsi implicitamente tra le righe - anche senza successo, in senso colluso fantozziano – per renderci d’empatia vicini a tale vicissitudini, è l’ennesimo sfociare in battagliamenti che ormai strapuzzano di politically-correct dall’effetto infine rassicurante, dopo 40 anni e passa di solfeggi similerrimi e tensioni risapute :cry: .

A questi solfeggi para-ideologici preferisco, come trasversalità irredenta, chi dipinge le meschinità più che (sub)umane di un pensionato che va consapevolmente a puttane vantandosi di non pagare per presunti favoritismi sentimentali. O l’irriverenza di un auto(lavorato)re non asservito alla causa che trova il coraggio di mandare a quel paese il suo editore-direttore, dicendo che la fase#2 “è una cagata pazzesca”, rifiutandosi quindi di inserire contentini aziendali al Ghost 9200 o alla sagoma cartonesca di Carpenter.

92 minuti di applausi e poi qualche “maturato giudizio estetico” sul dibattito dei dettagli della storia...


******



Le prime otto pagine sono davvero centrate, e promettevano davvero bene. Dylan inerme che si smerdaccia da solo, l’indennizzo ipotecato sul non-diritto al suicidio, il paradosso del dover pagare per lavorare, ed anche l’espressione (s)bieca dell’avvocato (6.iv) suscitano davvero inquietudine, per quanto sotto scacco. Merito ovviamente anche della sapiente mano nervosa di De Tommaso, che però pecca un tantino d’incongruenza scenografica quando c’è da capire quale sia l’esterno del megaufficiogalattico (p.15 Vs 59 :?:).
Allarmanti pure il passaggio in auto disdegnato (16) ed il tizio che osserva nel bujo…anche se col parcheggio nun ce semo (17.i), visto che De Tommaso non ricorda come davanti a CR7 non si parcheggi a pettine da 30 anni e passa; sempre che non stiano rifacendo le strisce blu o Dylan non voglia allargare la sua collezione di multe :dito: .

Gli scambi con Groucho, battute comprese, sono onestamente troppo prolungati (pp.18-21) e dopo un po' vengono a noja tentando di abbozzare Noûs (νοῦς) : capisco che al Nostro dopo venga un colpo di sonno (19.vi), molto meno perché Groucho imbastisca una colazione da reggimento di fanteria (21.vi) :P

Lavorare stanca…diceva Pavese…specie se bisogna evadere tonnellate di pratiche e non si dispone di un rasojo per sbarbarsi dopo tante barbosità

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Dylan oltre che passivo sembra anche mediamente rintronato in ogni dove, non pare conoscere chi gli circola intorno nonostante dica di lavorare in quel posto da 15 anni, stupendosi due volte su tre su ciò che si presume debba conoscere a menadito dopo tanti anni di attività (v. tipi rifila-faldoni p. 31.vi, o la mai notata prima cozza arpia, p.34) :o .
Calo vistoso di De Tommaso tra pagina 35 e 36, come di Bilotta nell’arenarsi su scambi abbastanza oziosi in sala mensa che affossano il ritmo già non abbastanza sostenuto né angosciante. Come dire, sentiamo la mancanza degli sberleffi di Calboni in certi casi :wink: :

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Si aggrava in seguito la posizione degli scambi con Groucho (44-45), ancora più divulgativi con il suo snocciolare saggistica socio-economica applicata al contesto. Interessante, per carità, ma ci sono altri modi per non rifilare senza erte didascalate questi elementi “alti” verso la riflessione paraculturale. E l’indottrinamento sulla colpevolizzazione dell’era consumistica e sul ricattevole patibolismo delle rateizzazioni/indebitamenti a vita innatural-logorante... dopo un po’ suona patetico, nonché appesantisce oltremodo nel refrain-mantra la seconda parte dell’albo.
E’ vero che bisognava dare una funzione al baffuto, tipo coscienza-di-rimando... perché altrimenti non si capisce cosa lo trattenga a CR7 a sbafo del Nostro mentre questo si fa un mazzolino così nella tana fiorita del Ghost. La sua funzione si aggraverà nella discettazione pura più avanti come nel forzoso esempio di pag 90 :tc: :g: :tc: .

Più interessante l’omertà sul perché Dylan abbia rinunciato alla sua precedente attività (46) e cosa lo spinga tuttora ad aggrapparsi al nuovo lavoro senza un apparente senso, tranne quello della busta paga, spese escluse. Il silenzio di Groucho in quella pagine dice molto più che tonnellate di sue interventismi politically-engaged nel resto dell’albo 8-) .

Molto scalcagnato il modo di presentare out of nothing l’esperienza del delirio persecutorio su scala investigativa con l’improvvisa illuminazione del “piano 17 mancante” (p.52) e relative entità mostruose che avvinghiano quelle sedi. Ok… è un episodio-parentesi nell’episodio stesso, e infatti finisce col medesimo logo in coda (59)… ma non aggiunge nulla è sembra più che altro buttato lì per accontentare chi voleva un contentino di un po’ di orrore sfigurato rispetto a quello reale.

Dopo l’ennesimo sermone teatrato sugli $$$acquisti$$$ compulsivi (p.62-63) – nel caso non fosse chiaro il concetto, e non si volesse $$$comprare$$$ una copia supplementare dell’albo per togliersi il dubbio di possederne una lacunosa in materia – Dylan nel pieno della sua mediocrità non trova di meglio che portare la tipa ad un appuntamento al centro commerciale. Almeno l’egregio ragioniere la Silvani la portava al ristorante giapponese, che faceva ancora figo nei ‘70s, per quanto non convenisse molto ai dogs non vegetariani :mrgreen: :

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Altra razione di quadretto aziendale applicato alla dimostrazione delle proprie tesi sul consumismo (pp.69-70), con infine omelia sulla consistenza della monodimensionalità umana, con monodimensionalità espressiva da parte dell’outsider nullafacente figliodipaponzo (79).
Nel mezzo quello che poteva essere uno spunto interessante ma viene lasciato a sbollire da solo, come la storia delle indagini cominciate per conto di Griffiths per poi essere risucchiato all’interno dell’alienante azienda, perdendo in dna-lanyetà. Non era quello che pensavo inizialmente, perché intravedevo dalle prima pagine – complice la storia dei 15 anni in azienda – più una trama sulla falsariga di L’assassino è tra noi, con uno schizoide/derelitto che prova a “sentirsi” Dylan per cambiare un attimo le sue prospettive intrappolate… ma alla fine anche l’accenno di Grittiths era buono; peccato finisca per sembrare soltanto una parentesi appiccicaticcia nel pretestuoso per indurci a credere che esista un motivo per cui Dylan si trovi lì, metafore a parte, scarseggiando nell’incubo :( :( :( .

Una mezza dimensione onirica si prospetta con la fine tragica della moglie di Owen e quella di Morris (81-82), ma è ancora troppo poco per deformare un incubo già abbastanza schematizzato su una settantina di pagine. E suonano decisamente sfilacciate dal resto, cosa sottolineato dalla scelta mezzatinta.
Decisamente meglio il gotha dirigenziale di primati che si prende a merdate in faccia, ma quando Dylan viene preso per mano sul tetto della megaditta, la vera scimmia ammaestrata sembrava lui (88.iii) con quell’aforisma sboccatamente imboccato sull’inevitabiltà della soluzione violenta :? .

L’alternativa sarebbe l’amore? Peccato che venga posta violenza alla psicologia di Kalyn che qui comincia a moineggiare sofismi da tenera suicidofilia, con venature di sacrificio idealizzato per l’imprecisata causa dell’amore, appunto :* .
Basta un sassolino tirato via dalla scarpa dei soprusi-macigni subiti dall’età della pietra per aprire nuove finestre agli orizzonti della rivolta? Non sembrerebbe Simeoni faccia proselitismo anarchico in GB da questo punto di vista, perché alla fine basta godere di uno stipendio più alto per sedare subito degli inferiori sottopagati. Cosa che si presume non farà Mr Carpenter Predico-nel-vuoto visto che probabilmente il suo inferiore che ha appena sparato ad cacchium a Kalyn magari riceverà un cavalierato al lavoro per l’impresa di una pallottola pro-aziendale :mad: .

Finale ipotecato verso il bathos qualunquista di un uomo senza faccia in coda per il suo lavoro senza nome. Meglio farsi una gita da fannulloni fuori Londra finché il carburante avanza: ma attenti, che di solito misteriosamente il suo prezzo s’impenna intorno all’estate, e non sempre al meteo c’azzeccano ad personam :D

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MI FACCI UN ALOHA, SE E’ UMANO

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MessaggioInviato: gio mag 05, 2016 10:34 am 
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Molto bello il commento di Nikolaj (che novità, eh? :P )
Devo rileggere l'albo, ieri sera mi sono imposto di trovare tempo per la lettura me ero troppo stanco. Non sono entusiasta, ma non sono neanche un lavoratore, quindi probabilmente l'albo è già di per sé lontano dalla mia sensibilità. Conosco molto blandamente Fantozzi, lo ammetto, ma non ho riscontrato un rimando così diretto e invadente. Conosco invece decisamente bene Storia di un impiegato (che risentivo ieri pomeriggio, peraltro) e mi stupisco di non aver trovato particolari rimandi ad esso. Anche e soprattutto questo mi spinge a concedere una seconda lettura.
A latere, non sono particolarmente entusiasta neanche dei disegni: spesso belli, a volte intriganti, ma alle volte un po' troppo frettoloso. E poi tutto 'sto bianco di sfondo... qualcuno ha detto che aiuta a donare un senso di straniamento alla storia. Okay, allora voglio vederlo su un'altra storia di Dylan di argomento diverso e capire se adatta lo stile al soggetto o se lascia gli sfondi in bianco per partito preso.

Per la cronaca, sono mancino anche io :)

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Di solito ho da far cose più serie, costruir su macerie o mantenermi vivo.


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MessaggioInviato: gio mag 05, 2016 11:22 am 
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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: gio mag 05, 2016 12:30 pm 
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L'albo mi ha riportato in un epoca in cui Dylan Dog mi dava delle belle sensazioni (anche se non penso lo prenderò ). Tra gli sceneggiatori che attualmente lavorano alla testata, Bilotta è l'unico che sa scrivere "alla Sclavi" (è un complimentone) . :wink: Se avesse anche le idee di Sclavi sarei a cavallo. Nudo a cavallo. E impazzireste. Per il cavallo. :g:
L'impressione è quella di una storia ben scritta, ma su un soggetto un po' deboluccio. Anche i rimandi al nuovo corso mi hanno fatto un po' storcere il naso perché mi ricordano quanta superficialità c'è nel nuovo Dyd.
Siccome la scrittura di Bilotta è sicuramente meno superficiale fossi stato lui avrei lasciato da parte i rimandi a "quel mondo" e avrei approfondito meglio il MIO mondo. Come ha fatto per il pianeta dei morti. (Che non solo l'unico a pensarlo, CDM è la cosa più interessante pubblicata dal nuovo corso ) :g:
MI auguro di rivederlo presto sulla regolare, per approfondire il SUO mondo senza inutili ammiccamenti Johngostiani , perché personalmente questa specie di "saga del telefonino" a me non interessa. IMO . Magari a qualcun altro interssa. :wink:

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vidi per la prima volta il mio vero oi.
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MessaggioInviato: gio mag 05, 2016 2:05 pm 
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Felix ha scritto:
Bla bla cose intelligenti

Emergo dal mio periodico letargo perché ho apprezzato molto questo commento e mi ha dato qualche spunto su cui riflettere. Come sempre, premetto a scanso di equivoci che non leggo Dylan Dog da anni, non so niente del nuovo corso se non quello orecchio indirettamente o scopro in fumetteria e non posso pronunciarmi sul numero in questione.
Quello che trovo interessante, però, è la reazione che molti lettori di vecchia data hanno nei confronti del personaggio - e per questo di tanto in tanto lurko questo forum e scopro commenti come quello di Felix o di Stavrogin.

Basta coi preamboli e andiamo al punto. Io posso anche capire la noia nei confronti degli albi per così dire "politicizzati" (se era questo il punto del discorso e non ho frainteso). Il problema però è a monte, almeno secondo me. Ovvero, non tanto negli albi moderni che fanno un po' il verso a quelli "politici" del tempo che fu, ma proprio nelle storie sclaviane e chiaverottiane che parlavano di politica o di società in maniera più o meno plateale. Dispiace dirlo, ma quegli albi secondo me sono in molti casi datati, sia nel linguaggio che nell'approccio: alcune anzi (Goblin, per esempio), sono per me proprio insopportabili.

Prendiamo un altro famoso lavoro "politico": L'Invasione degli Ultracorpi (il film di Siegel, intendo). Ecco, secondo me L'invasione degli Ultracorpi non è datato, ed è invecchiato bene. Perché sì, c'è il "messaggio politico", ma è così ben amalgamato con tematiche universali (la paura del conformismo, per esempio) che non diventerà mai obsoleto. Gli albi storici di Dylan Dog, invece, sì. Ma ripeto, non tanto per l'elemento ideologico in sé (non credo esistano lavori artistici del tutto apolitici, e anche se ci fossero non credo sarebbero così interessanti) quanto per il modo in cui quell'elemento è espresso: didattico, spesso populista, urlato e soprattutto inestricabilmente legato sia al periodo storico in cui gli albi di Dylan erano pubblicati, sia alla personale formazione di Sclavi (i richiami al '68 ne I Vampiri, e così via). Cosicché quegli albi - che comunque restano godibili in molti casi - più che a manifesti "universali" assomigliano a certi poliziotteschi esagitati degli anni '70 che si vedono ancora oggi con piacere e affetto ma anche scherzandoci sopra. Cioè... Ammesso che li si guardi oggettivamente e non con gli occhi della nostalgia. Perché, almeno per me, è chiaro che l'entusiasmo che provavamo quando quegli albi li leggevamo a 16 anni derivava soprattutto dal trovarci in un periodo delicato della nostra formazione umana ed era facile riconoscerci in quello che Sclavi, con indubbia abilità, scriveva.

Insomma, io non so come sia questo La Macchina Umana. Però non riesco a dare torto a scrittori contemporanei che, nel tentativo di mantenersi fedeli al verbo sclaviano, ne recuperano ogni componente - compreso l'atteggiamento predicatorio. Il problema è che molti di noi non hanno più 16 anni (sarei curioso di sapere le reazioni dei sedicenni di oggi agli albi di Dyd dell'era Recchioni), ma anche che le provocazioni dylandoghiane non hanno più tantissimo senso in quello che la cultura popolare è diventata oggi. Sia perché nell'era di internet il populismo urlato "dal basso" è diventato la norma (e qualcuno ci ha pure costruito su dei partiti politici). Sia perché - ma qui mio fido di quello che leggo sul forum - reiterare oggi le stesse posizioni di 20 anni fa sa abbastanza di muffo. Sia perché ci sono eccellenti esempi di lavori "popolari" - magari non in ambito fumettistico, ma televisivo - che riescono a proporre situazioni assai più perturbanti e stimolanti di qualsiasi Dylan Dog, e che sicuramente i giovani lettori conoscono (penso a serie come Breaking Bad, Game of Thrones, ecc).

Quello che secondo me dovrebbero, o avrebbero dovuto fare, gli scrittori dylandoghiani contemporanei, era spingere il pedale sulla decostruzione del personaggio e di fatto demolire le certezze, anche un po' banali, su cui si è costruita la sua fama, per eventualmente costruirci su qualcosa di nuovo e diverso. Turbare i lettori, invece di coccolarli. Per esempio, tanto per restare in tema Goblin: per me dire che gli animali vanno tutelati è una banalità, specialmente in anni di veganesimo. Ma far fare a Dylan qualcosa tipo, non lo so, riflettere sul fatto che il farmaco miracoloso che nell'albo x salva la vita alla sua innamorata in realtà è ricavato da sperimentazioni animali? Non sarebbe interessante fargli scoprire che la realtà è complessa, che non ci sono certezze? Insinuare il dubbio, più che la certezza autoalimentata di essere dalla parte giusta?

Si potrà dire che Dylan è un personaggio dei fumetti e che le basi su cui poggia possono sopportare solo una quantità di decostruzioni prima di crollare. Beh, io non credo che sia vero. Secondo me inserire il dubbio, mettere il personaggio radicalmente di fronte ai limiti del proprio credo è un passo fondamentale per renderlo maggiormente in grado di resistere al tempo. E fra l'altro: chi tra noi è fatto di certezze? Non so voi, ma io non posso dire che non diventerò mai vegano, o che non mi verrà mai un dubbio vero su quelle che sono le mie abituali posizioni politiche. Essere umani significa anche cambiare idea, e per me un Dylan Dog in cui ci si possa anche identificare non dovrebbe essere una miniera di certezze. Solo che negli anni, grazie anche alle sue incursioni extrafumettistiche (Umberto Eco...) Dylan Dog ha finito per diventare sempre meno personaggio e sempre più simbolo. E come tale congelato nelle sue certezze e posizioni.


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 Oggetto del messaggio: Re: #356 - La macchina umana
MessaggioInviato: gio mag 05, 2016 2:53 pm 
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leonearmato ha scritto:
A latere, non sono particolarmente entusiasta neanche dei disegni... tutto 'sto bianco di sfondo... qualcuno ha detto che aiuta a donare un senso di straniamento alla storia. Okay, allora voglio vederlo su un'altra storia di Dylan di argomento diverso e capire se adatta lo stile al soggetto


In effetti non si lesinano gli spazi bianchi in questa storia. Ma la cosa è funzionale al regime asettico-ospedaliero di un ufficio e dei suoi sottoposti in corsia, anche a livello di minimalismo architettonico che di questi tempi fa tendenza in ambiti executive.
Anche Pontrelli abusa del bianco, ma in quel caso è da un'altra prospettiva, come per Nizzoli :) .

Qui invece non mancano i tratteggi sofferti, le striature sfumate, ed i contorni indefiniti. Si sono viste anche delle sequenze più "oscure" (pp.40-41, o zona parcheggio) e da lì si capisce che De Tommaso promette bene, anche se i campi neri latitano un po' troppo per miei gusti, e le ultime venti pagine patiscono di un'anemia preoccupante, se non frettolosa. Ho l'impressione che però sia questo il suo stile di massima, e non possa offrire prove molte diverse nell'immediato futuro, con tavole sempre abbastanza rigide, prive di volute, contorsioni, barocchismi o deformazioni varie. Quindi più adatto alle claustro-storie o ai gialli, che ai pandemoni occulti by night :? .

PROPONGO UN ALOHA PER ARANCIA STUDIO*
SE COLORANO LORO LE COPERTINE DI STANO

* sarebbero quelli di Morgan Lost

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