Senza zompettare d’entusiasmo come una fan-cava
letta qualsiasi che attende di spiovere dal cielo (insieme alle rane, di piaga in piaga) sono mediamente soddisfatto da quest’albo
.
Vuol dire che il lettore-mediamente dylaniato che è in me ha passato un’ora e mezza gradevole in sua dignitosa compagnia, mentre l’outsider schizoide che attendeva qualcosa di più fervente è rimasto irregolarmente deluso, non trovandoci motivi di apprezzamento particolarmente sulle righe, passaggi significativi né sferzate di incubo da stringente tensione, come invece ho visto ne
I Sonnambuli, per esempio.
Anche se non ritengo il mio voto indicativo, indicherei di aver votato idealmente un
6 ½ che avrebbe potuto virare sul
7 con qualche accorgimento più dis-ingenuante e un percorso meno lineare, agli occhi di tutti. Comunque alcuni spunti irrisolti mi sono piaciuti molto, i dialoghi sono quasi tutti in palla, e anche questo
Piccatto ripulito e
liftingato dal suo studio-so gruppo di soci ci guadagna mica poco
.
Seguono epifanie di commenti vari, in attesa di strozzarmi con un’autoreggente nero-carbone piena di dolce carne da fresca stregaccia (v. data odierna):
SPOILER ∞ SPOILER ∞ SPOILER ∞
SPOILER ∞ SPOILER ∞
SPOILER ∞OK, d’accordo che l’impronta di questa storia non spasseggia sul sentiero dell’indagine mysteriosa a tutte svolte suspe(n)se, ma spiattellare letalmente tutto il motif/riferimento della storia già nel paleserrimo
trittico copertina-titolo-prima pagina, dopo un millisecondo fa perdere quantomeno una libbra d’interesse carnosa verso l’albo da spolpare, e rende più difficile costruire un sensazionale crescendo di trama quando si spiattella già donde sgorghi tutto...e sgorgherà, infine
.
‘Nsomma,
Sine Signo Scisco lo stesso, e se si deve metter una firma [i.e.
signum ] per
far cambiare in sede di ristampa almeno la copertina (dozzinale, colorata coi Carioca e finto-pulp) io sono tra i primi in coda al gazebo .
Abbastanza strano, se non approssimato, lo starter di tutto, cioè la rimpatriata di fiamma soft: non mi sembra tanto normale che dopo oltre un decennio Dylan l’antifestajolo vada a trovare senza un motivo preciso - quinto senso e mezzo a parte, qui neanche citato - ,se non per accettare l’invito per pura cortesia/curiosità da rendez-vous, una vecchia fiamma intanto sposatasi e mondanamente snob, tra un brindisi astemio ed un ballo ingessato a prova di adulterio
.
Mavabbè, in fondo, nonostante alcuni passaggi di questa sequenza carburativa siano un po’ lunghetti (ben 11 pagine, tra p. 12 e 22…qualcosa andava tagliata), il ritmo tiene bene, la sensualità da splendida 40enne di Diane non sbava – anche grazie alla mano rinfrescata di Piccatto&co - qualche ironia in libero scambio funziona come condimento, ed una minorenne (d)a spasso svestita aggiunge pinzimonio al buffet
.
Anche l’effetto malinconia tra le righe non sfocia nella stucchevolaggine, per quanto io non sia d’accordo su quanto detto in precedenza da altri: è probabile che il giovine Dylan “amasse” a modo tutto (diversamente) suo le squinzie di turno, Diane compresa,
ma non credo che quanto detto qui sia un rigurgito da corollario del #342. Alla fine è
SOLO Diane che rinfaccia arbitrariamente di non esser stata davvero amata all’epoca (p.15.vi) mentre il Nostro Oldboyfriend risente in modo piuttosto ferito nel proprio
core d’hommo di questa affermazione tendenziosa, e fa per andarsene (p.16.i) con un (al) diavolo per capello. E quanto fosse sinceramente legato a Diane lo dicono anche le pagine 94-96, quelle del cimitero, in barba alla forzosità dei revisionismi sentimentali di stampo recchioniano.
Le dita fredde sul cuore di Diane non sono senza dubbio quelle del caliente Nostro
.
Molto riuscita e dal sapore vecchiocuoreDylaniato la sequenza della tripla aggressione notturna a Mooncaster Manor (pp.24-31), con tanto di incubo rifratto nel reale, fanciulle seminud&sanguinanti, corridoi in fuga, coltellacci in colluttazione, etc.
Menzione particolare anche per i disegni, con
Piccatto che ben spalleggiato dal suo team trova un tratto più sicuro nei dettagli (v. interni della villa di pag28, nulla a che vedere con gli scarabocchi tremolanti di qualche tempo fa), con l’aggiunta di quelle convulsioni grafiche più “sporche” (vedi volti di p.32) che rendono la sezione horror meno rassicurante
.
Adesso non voglio far i conti in tasca nelle casse del Ministero della Sanità di sua Maestà la Buzzicona II, ma trasferire (p.33.i) un malato per un taglio alla gola da quel di Carlisle – in pieno NordOvest, al confine con la Scozia – all’estremo opposto dell’Albionisola, alle foci del Tamigi, cioè fino a Chatham, SudEst, comporterebbe un esborso tale di £££ per il trasferimento, da far pensare più ad una polizza sanitaria da sceicco londinese che ad uno spiantato come Dylan. O forse è stato John Ghost a prestare l’elicottero di tasca sua?
Interessante la melò-filosofia spiccia sull’ingratitudine filiale – tema ricorrente, vedi quadretto degli ereditieri Cavendish, a seguire – e sul bisogno di procreare per garantirsi una vecchiaja comoda, abbozzata da Lord Mooncaster durante il suo thè (molto) amaro preso con Dylan (pp. 36-39)
.
Non interessante, anzi direi la parte più annaspata dell’albo, il balletto di chiacchiericcio paciosamente annacquato nell’officina (pp.41-45) per farci familiarizzare coi suoi occupanti o dare un qualche spessore ai demoni/timori vagolanti di Anne … per quanto il mastino meccanico nell’ombra (p.44) sia davvero inquietante, e mi ricordi certi grovigli alla
Tetsuo .
Piccatto quindi in parziale spolvero, come si vede anche nel notturno da autostrada, molto curato (p.46.i); lo stesso non posso dire per lo sconquassamento dell’incendio (p.50) o per l’ammucchiata di mostrazzi buttata un po’ lì poco dopo, nonostante i richiami simpatizzanti a Golconda (p. 52.iii, in alto a sinistra ed al centro sulla destra)
Ancora una volta
controproducenti se non penosi gli inserti dovuti alla continuity: Carpenter risbuca nel solito cameo di scorbuteria (pp.54-55) giusto per ricordare ai lettori che esiste e che bisogna ribattezzarlo ogni volta con l’autospot di se stesso… diversamente dalla sua spalla saccente Rania, evaporata da sé per pudore, non avendo nulla da dire, o da scrivere, a parte il nuovo contratto da partner di confidenze da bar per Dylan
.
Come se non bastasse, la già poco esaltante googlericerca tramite Irma ricade nell’
inevitabile goffaggine da incongruenza causa ripensamento editoriale postumo, quando Dylan dice di aver ricomprato nantro sottuttofono di tasca sua, magari con una banale visita al centro commerciale detrolangolo (p.63)… mentre in
Al Servizio del Caos, ci viene più volte ricordato dallo stesso Ghost come il modello in dotazione a Dylan sia
UN MODELLO UNICO – alla faccia dell’Irpef – personalizzato appositamente per il Nostro, interfacce occulte incluse
.
Mettere due vignette in croce e collegarle alla crociata pro-continuity si dimostra come sempre una via crucis piena di chiodi fissi mal strutturati e peggio improvvisati, auto-coronandosi di spin(e)off mai richiesti.
Griffatamente ordinario un Dylan che torna a fare il suo, cioè indagini e domande in giro come in ogni storia che (si) rispetti il canone classico, ormai centellinato ai lettori: e così dopo la visita alla magione sfitta, a Lord Mooncaster, o alla bruciacchiata Anne, va a trovare Calloway in un confronto più spigoloso di quello che sembra, per quanto la questione naufraghi subito sul tema del collezionismo (pp.59-61).
Non capisco perché Dylan si debba portare come spalla in giro una Anne post-degente – anzi, lo capisco benissimo, a giudicare dalla minigonna, p.66
– quando va dall'altro collezionista, vale a dire da Cunningham.
Gli alti e bassi a suon di firme da parte di Cunningham impregnano questa parte del succo metaforico dell’albo, tra successi ed fallimenti segnati da una penna a cui legarsi morbosamente. Forse alcuni retroscena sono un po’ gonfiati – ‘
ha fatto LA storia. E’ passata per le mani di presidenti, dittatori, geni e assassini’ (p.71.ii), ma il monologo semi-esaltato dalla parabola disfattista di Cunningham ha un suo che, come nel finale autodistruttivo, con una ritualità simile alla morte di Mark, lama in gola (pp.74 e 31).
Abbastanza disorganica in questa fase la scrittura di
Piccatto, che sembra disegnare con due mani spiccatamente diverse prima Dylan e poi Cunningham nella stessa pagina (p 73.i Vs .vi), anche se il corredo di cianfrusaglie collezionabili (e riconoscibili) è di tutto rispetto.
Confesso di aver tirato un notevole sospiro di sollievo, quando parlando di rigattieri di oggetti stramboidi (p.73.ii), non si è imbucato costui
:
Considero la sua assenza uno dei migliori regali per queste feste 2015-16 .
Non capisco in che modo si ritrovino le ceneri di
Henry James (
) come urna soprammobile di casa Cavendish (p.77), ma il giro di vite a suon di cerberi indiavolati contribuisce a dare un tocco soprannaturale abbastanza gradito alla mattanza vendicativa del padrepadrone(dei beni £££), ed alla fine viene anche suggerito sibillinamente come il modus spettrale della strage potrebbe essere stato soltanto immaginato da Calloway il giustizialista (p.83.iv), in projezione…con qualcosa di simile, come traccia scritta col sangue, alla morte auto-indotta e semi-rituale dei Goldfinch nella notte d’apertura.
Non direi qui
Piccatto sugli scudi, visto come ricade sgusciando in certe sue pigrizie storiche (pp.81-82)
.
Il faccia a faccia conclusivo tra Dylan e Calloway poco dopo (pp.84-89) suggella la quadratura del pentacolo con una non-spiegazione non circolare e non risolutoria, e di questo va dato atto all'autore per aver saputo lavorare – cosa non semplice, su questi lidi – senza l’ansia di creare il colpo di scena rivelatorio, il ribaltone di turno, o il making of dell’incubo tramite dettagli razionalmente limpidi e infilati in logica serie ricostruttiva
.
Quindi alla fine Calloway più che spiegare allude… a qualcosa che forse neanche lui ha molto chiaro, tranne un certo giustizialismo ambiguamente un po’ confuso nella finalità ultime a doppio taglio, che per fortuna confonde anche un Dylan perplesso e
fortunatamente non-Ratigheriano nel suo essere a corto di certezze retoriche o sermoni da predicare.
Io non mi fiderei mai di quanto dice un notajo: di certo non è solo una semplice penna maledetta la causa/nodo di tutto, ma anche il modo in cui è maneggiata (p.85.iv) e le persone coinvolte. Forse c’entra lo stile grafico/font (v. titolo) delle firme da apporre? forse il formato dei moduli da redigere? forse bisogna servirla – come dice Cunningham, p.72 – con qualche dazio cerimoniale o con un tributo di contratti particolarmente forieri di dolore? In assenze di risposte, mi sta quindi molto bene la patina d’incertezza lasciata, meno il ricorso simbolico alla mostrimorfosi telefonata & gratuita – tariffa All inclusive, se non erro – di Calloway (p.90), che non fa il pajo con l'azzeccata voragine dentata di tre pagine dopo
.
Alla fine anche mettere una firma per un mutuo o per le rate DY un'auto può essere un condanna, e la mia è forse di dovermi firmare sempre così.
SINE ALOHA NON SCRIBO