Alla fine ho un votato
un educato sufficiente d’incoraggiamento – per me stesso, più che altro, nel portare avanti la croce - data la buona disposizione generale verso i nuovi arrivati che comunque si confrontano con una prova non semplice. Non vado per nomi: vale lo stesso discorso della Baraldi, ed i precedenti del Ssior Ratigher m’ interessano poco, anche perché loro stessi c’entrano poco con DD
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Se dovessi definirla con un aggettivo
direi pretenziosa, ed un po’ arrogantella: apprezzo il tentativo di scostarsi dal Dylan classico – che nessuno ormai scrive, quindi di classico c’è solo il consueto piroettare miagolando su se stessi – mentre apprezzo molto meno quando l’anomalia di fondo è tanto ricercata dall’autore in funzione di firma, da sembrare alla fine stucchevole o fuori luogo… nelle forme, più che nei contenuti. Comunque ci sono degli spunti positivi, la copertina acchiappa, si smonta la solita gabbia bonelliana con coraggio, e un po’ di follia localizzata può far sorridere.
Ratigher è un nuovo arrivato ma pensa subito di confrontarsi/esordire come genere con una storia privata della trama, quando farne a meno è una prova ben ardua, e qui sinceramente mi pare esser naufragata dal malomare contro scogli ben meno squadrati di quelli irlandesi, all’altezza dei Giganti… come l’innominabile maestro di Boffalora
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Sul discorso delle poche pagine, credo di andare controcorrente (in alto mare, su qualche relitto) rispetto all’opinione di molti: essendo principalmente un apologo “per astratti” poteva funzionare come percorso anche entro una 60ina o persino meno pagine, magari su un
CF e con un disegnatore diverso. Sinceramente a livello di trama non c’era granché da sviluppare, dati passaggi sincopati, discontinuità improvvisate, ritmo singhiozzante, sceneggiatura che deriva da altre forme/tipologie fumettistiche, per scatti da striscia, confermando la scarsa familiarità dell’autore con l’autoconclusivo da 94pp SBE e l’
effetto narrativo pressoché nullo, se non assai scadente
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Su
Baggi vado di fretta e magari approfondirò in un secondo momento. Dico solo che mi fa piacere abbia trovato uno stile tutto suo molto particolare, dopo il caos del
Parassita. Forse non era la storia ideale per lui e c’è da dire che
il lato grafico non ajuta di molto la scansione meccanica di molti passaggi durante le vicende, anche per le espressioni dei personaggi. Sembra esserci come uno scoordinamento alla base tra testi e disegni: basti vedere per esempio la lunghezza della battuta di Groucho sul riso matrimoniale (7.v) e le tempistiche dell’azione disegnata in vignetta. Nulla mi toglie il sospetto che Baggi e Ratigher si siano capiti poco in molte delle cose che dovevano sincretizzare, a quattro mani. La responsabilità cresce in modo proporzionale, per esempio, quando Baggi non azzecca un’espressione del fratello della defunta, o manca di espressività nel vecchio marinajo in preda all’ira (p.58).
Al contrario della
Baraldi dove l’aspetto tardo-adolescenziale prevaleva nella dimensione bovary-sta del Dylan-da-lei-trasognato, qui i rigurgiti post-teen(spirit) dell'autore vengono suppurati da un tono moralistico/ dissertativo in continuo scozzamento di perle di saggezza, maestro di vita da slogan aforistici, tra sarcasmo e paradossi ribaltabili in modo artefatto. A questo contribuisce il tono fasullo negli scambi rimbeccati fino alla spasmo:
sembra più una claustro-pièce a due voci da contenere nell’apnea di un salotto-acquario asfittico (pp. 26-31), piuttosto che un ampio viaggio verso le profondità insondate doo mar’. E Dylan svuotato dalla continuity annacquata – due voti in più solo per questo - ma spiaggiato lì come un’otaria spara-distici agnostici
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A dire il vero non mi pesa l’assenza di storia/trama nell’ambito metaforico, ma alla lunga preferisco chi non vuole predicare “messaggi” dal suo pulpito (v.
Ambrosini solo un mese fa, nello sconcerto repulsivo pro-degrado umano) o trascrive le vicende in modo che narrino da sole i loro contenuti, intrinsecamente. Alla fine non è un vivace divertissement caleidoscopico come poteva esserlo un albo stile
Ascensore per l’Inferno, ma un semplice supporto cartaceo per le proprie tesi alternative da mugugnare, sfruttando Dylan come vettore-
mouthpiece. Del finto nonsense che vuole dare un senso alle vite di tutti. Avvitandosi
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+++
+++SPOILER
SPOILER
SPOILERQualche dettaglio su qualche passaggio…
Scostante in modo pruriginoso il modo in cui Fiona si eccita - mancata e-mula annojata? - davanti a Dylan mentre racconta ammiccando alle ninfojate della sua amica… ma quando crolla subito dopo ricordandosi del lutto-per-assenza si copre di ridicolo da sola, quanto a credibilità
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In seguito scene di villaggio falso-Ramblyn anni 2010s, dove più che la bizzarria ( v. sindaco in gonnellino) vige il cinismo coatto di personaggi perbeno-buzzurri alla maniera mooolta attuale - dei film d’essai, s’intende, come m(o)anierismo autogemente di piacere esaltato dalla bulimia citazionista - tanto per infierire un po’ sui mali della società odierna concentrata su se(lfie)stessa. Surrogato in 7 pagine come scenario può anche starmi bene (pp. 17-23); sbrodolato oltre si sganghera da sé senza ricreare un’atmosfera efficace.
Pateticamente
out of character Dylan che cerca, come un coinquilino Erasmus qualsiasi a caccia di un thé a scrocco, di distrarre con la freddura facile una Fiona ancora calda dal recente lutto (pp.25-28). Tacere non farebbe male, invece di straparlare sui massimi sistemi a tutto campo, nel vignettone dei confronti ipercosmici frontale che rialza il mio apprezzamento di Baggi (p.29) ma fa annaspare nell’ansia da indottrinamento il povero guru Ratigher. Non bastava ciarlare semplicemente sul meteo…considerando quanto l’andamento delle maree avrebbe influito sulla storia
A me i Led Zeppelin piacciono molto, quindi se si vuole citarli anche contestualmente – v. scogliera+album - non mi spiace, ma l’idea di farne la base per l’input della storia o suonarli al clarinetto (p.33) mi mancava ancora. Aspetto Jimmy Page mi mandi un demo col piffero di
Stairway to Heaven e poi lo produco a mie spese
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Fragile: il pacco Dylan. Non capovolgere. Ovvero se proprio devi ribaltare alcune delle sue caratteristiche – la dipendenza dal caffè:
maquannomaaaaai! – almeno fallo per una ragione utile alla storia, e non per una battutina inutilerrima (p.38)
Evitare qualche volta i provincialismi non sarebbe male: Fiona può dare a Dylan al massimo del “saputello”, ma non del “
Sapientino” (p.38) visto che la Clementoni non esportò in terra Albionica quel prodotto con quella sigla di conio italico, successivamente diventato
locus comunissimus, ma solo sulle nostre lingue.
Dylan prosegue sbadigliando nella sua svogliatezza irritante ed insensibilizzata, dopo essersi incaricato lui stesso dell’incarico a suon di abbracci (pp. 14, 36, 38-39, 60). Fanno bene a picchiarlo al pub, avrebbe fatto bene il bimbo ad aizzargli il cane contro, viste come si erano messe le cose: dog scaccia dog, da questo villaggio
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Abbastanza insopportabile il solito vecchio-guida de’ paese che lasallunga (pp. 47-54) e centellina i suoi aneddoti arcani in pieno stile ruju-gualdoniano da personal tripadvisor del (presunto) incubo. E Lo stra-insistito scambio di stoccate di pagina 48 mi ha fatto rimpianger che qualche gabbiano non gli abbia rilasciato l’esito dei suoi pasti in piena testa, interrompendoli. Ma se non altro il vecchio filibustiere è l’unico che può rimodulare la storia verso uno sbocco dylaniato con la faccenda rimestata del sentiero abissale e con la follia che man mano attanaglia il paesotto, a suon di randellate, come nelle migliori pochade circensi
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Per questo trovo inutilmente da corollario il mini-episodio della mano fasciata (pp.59-62, quattro pagine abbastanza sprecate) mentre mi è piaciuto l’immaginario visuale del mare corrugato dall’assenza di acque come un (meta?)volto in preda alla cicatrici più nascoste (p.76). Ho gradito molto anche la scomposizione multipla della notte sotto molteplici punti di vista (pp.65-69), senza pistolotti di contorno ad affondarla.
Non ho capito l’eroismo improvviso auspicato dal marinajo fan nei confronti di un Dylan – aho, ma chi ssei? Che figooo p.78
– che si rimbocca maniche di camicia, ben sapendo che una mazza da baseball può molto più della sua competenza nel mestiere
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La discesa per la scalinata abissale è interessante ma s’impantana qualche volta di troppo e con esempi non proprio suggestivi. I simulacri retorici con tanto di didascalia d’accompagnamento per non dotati di brevetto natatorio (v. bimbo allegorico in gabbia, tradotto in concetto da Dylan, p.81) finiscono per ingabbiare il senso dell’incubo – anche in senso “poetico”, se proprio non possiamo farne a meno - e per mostrarci le figurine di un album che nessuno ha voglia di completare. Anche perché sono per lo più legate all’infanzia e solo alla dimensione da educatrice di Fiona
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L’inquietudine
incesticidica – posso permettermela pura io una citazione ai
Nirvana, no? - del padre mancato-padrone (tema interessante, e morboso) è trattata soltanto
en passant come additivo colorante pro-coloritura nera… buttata lì di circostanza per non lasciare il
casus itineris in sospeso, e chiudendo la questione starter della scomparsa di Molly Melamolly, e tanto basti
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Se le vie dell’inferno sono lastricate di buone intenzioni, il fondo del male è cosparso di speranze ristagnanti (p.92): aggrappatevi a questo salvagente moralizzato in attesa di imparare a nuotare senza i braccioli del predicozzamento bivalvico. Adesso si profila un paese inondato in più da cui ricominciare e un’illusa in meno con cui andare al mare nel weekend. Sempre che non riaffiori
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ALOHA COSììììììììì: LA SPERANZA E’ ULTIMA A MORIRE
MA LA PRIMA A DARSI PER MORTA