[...] Proseguo, concludendo per iniziare, il discorso.
SPOILER ^^^^^^^^^
^^^^^^^ SPOILER
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^^^^^^^ SPOILERHo votato con
MOOOLTISSIMA fatica
7, ma se questa è la perla dell’anno, prevedo indigestioni di cozze a lunghissimo termine.
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Per farla breve:
è la storia meno ispirata di Ambrosini per Dylan, risente dei danni/omaggi alla continuity, parte da uno spunto meno che minimo, e sfora su sentieri della meschinità familiar-noir più
Napoleonici che
Dylaniani in molte sequenze – in quella lentissima iniziale della panchina mancava solo che sbucasse Boulet ed eravamo al completo. Per quanto il Dylan ossigenato lo ricordi molto, come vedremo qualche pagina dopo.
Ma nonostante questo sa immergerci in caso di vita inquietante, non fornisce lezioni facili, infonde l’ambiguità del sovrannaturale iconico nel contesto del degrado umano, e mette alla prova i personaggi su cose non semplici da comunicare, fede compresa. Dialoghi essenziali, senso dell’incertezza imperante, (auto)suggestioni nel bujo, e stoccate qua e là rendono il piatto in certi punti appetitoso, ma alcune cose risalgono sullo stomaco lasciando un senso di occasione sprecata in più punti. Ad effetto gli occhi di fuoco e pietra nel racconto agreste, sulla diversità del perdono rispetto alla giustizia, personalizzata nel mistico castigo del nume tutelare, che tanto santo non è
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Molto bene i disegni e colorazione – specie nello sfumato del tramonto iniziale, nelle redlight peccaminose del night club o nella spettrale camera da letto di Crispille - ma io non sono un fan dei celebrativi a colori, quindi non mi dispiacerebbe una variant in b/n per apprezzare meglio Il Conte, con una copertina più decente… si spera, perché questa con tanto di posa alla “
Lethal Weapon” dei due puttanieri davanti alla statua della non-meretriciabile merita pernacchie… di pietra
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Inutile dire quanto non mi siano piaciuti i richiami coatti alla continuity per funzioni a loro non richieste… ma se non altro qui hanno il merito di non esser incoerenti tra loro e di ammiccare senza troppo markettismo. Certo che pensare che in una storia potenzialmente “indipendente” come questa bisogna spiegare come Bloch venga ricoverato solo per le conseguenze del caso Nora, che Groucho debba rinfacciare la perdita di Irma, che Dylan debba (auto)considerarsi revisionato nel suo rapporto con le donne, e che la questione del tesserino – forse sarà contento DearBoy – debba essere rivangata per coprire buchi logici, mi lascia molto interdetto sul concetto di narrazione per spezzonamenti da serie-tv che qui sopra CONTINUA A NON FUNZIONARE, se non come canale promozionale per inculcare l’arrembaggio del nuovo che scardina parametri per imporne altri
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Abbastanza penoso il Bloch acciecato d’ammmoure come da molti mesi: è lui qui ad aver perso le orbite, del proprio personaggio, dirottato su percorsi pirata… e poi si sa che il
viagra a certe età provoca allucinazioni statuarie, mettendo sull’altare della santità anche delle maniache qualsiasi dal passato (giudache)ballerino. Almeno la parte sul falso appeal della moralità di facciata e delle buone intenzioni puntualmente deluse, rendono un tantino più complesso il suo percorso di inabissamento dentro la degenerazione della famiglia portoghese, con la perdita di qualsiasi piedistallo (caritatevole?) su cui innalzare la propria infatuazione, nel crederla “diversa” dalla altre
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Ancora più penoso il fatto che dopo 30 anni di assoluto riserbo tolleri (compiaciuto?) l’abuso sfacciato del suo Sherlock-nome di battesimo dalla prima suocera lusitana che gli capita a tiro, non bastandogli le occhiatine della comare di Wickedenzago o le rimpatriate con Carpenter. Come non è da lui quell’irruzione ridicoleggiante con la pistola puntata nel night-club (pp.49-51) soltanto per carpire qualche informazione dai cattivonzi su un non-crimine non-sospettato. Ma d’altronde l’amore da senesce(me)nza porta a questo e ben altro. Parkinson vi lovva tutte
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Divertente l’intrufolazione surreale del Bullet(to) della danza in casa di Dylan, come il suo bisogno di sognare ma soltanto a tempo determinato.
Repetita deflagrant: Ambrosini torna ad un teatro in fiamme, dopo quello di
Dietro il sipario o il cinema di
Angoscia.
Troppe inquadrature sulla segheria (già da p.57) per non sospettare qualcosa, senza tirare in ballo l’ipotesi di altre seghe…mentali. E la rivalsa della “santa” Donna – nomen amen – a suon di pistolettate contro i suoi ex-coazionisti (pp.69-72) mi sembra uno degli extra più evitabili dell’intera produzione ambrosiniana, Dix compreso, per quanto servisse un altro sacrificio in nome della statua invasante. Affrettato e cianfrugliato anche l’improvviso ravvedimento di Guillerme (pp. 76-79) nell’accoppare la madre ingombrante e confessare di botto tutta la bruttura delle passate magagne alla moglie
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Scadente se non avvilente fino all’intollerabile (per uno come Il Conte
) l’esito della colluttazione in falegnameria, con Dylan che chiede scusa dopo aver sparato, e Crispille che inciampa su una lama come dozzine di altre vittime sciagurate, ultima la tipa della Baraldi, che almeno ha la scusante di lavorare per Dylan da pochi mesi
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A Londra la statua non c’è più, Crispille neppure, ma se non avete dei buoni papponi e i clienti rompono, sapete a chi rivolgere le vostre preghiere, nel caso.
ALOHA NON SONO UNA SANTA, E NEMMENO UNA DONNA:
….SONO UN VIADOS, STATUARIO.