La 1° storia a me è piaciuta parecchio.
Anzi, mi spingo più in là: credo che, assieme a
Ho ucciso Jack lo Squartatore e
La vita rubata, sia una delle rarissime "storie da Maxi" degna di essere antologizzata, capace di andare ben oltre in semplice 'intrattenimento'.
La 2° e la 3° sono del tutto trascurabili.
seguono
S
P
O
I
L
E
R
La voce del diavoloE' forse la migliore riuscita di Tito Faraci nel thriller-horror. Pur essendo una specie di remake de
Il discepolo (con il rapporto maestro-allievo tra killer) e pur essendo meno elegante e d'atmosfera de
I peccatori di Hellborn, dimostra una notevole personalità e forti spunti originali che, uniti a una genuina dose di morbosità, sono tali da renderla una piccola perla nel panorama dyladoghiano.
L'idea più originale sta nella caratterizzazione di Crower e Bardon, dipinti entrambi come
killer totalmente privi di vocazione.
Il primo uccide soltanto perchè "gliel'hanno detto le voci". Se le voci gli avessero detto di dedicarsi all'allevamento di criceti, l'avrebbe fatto con la stessa quieta indifferenza.
E proprio l'atteggiamento indifferente con cui gli omicidi vengono compiuti incrementa il tasso di credibilità e crudeltà.
Il secondo (lo definisco "killer" per amor di brevità, benchè di fatto sia solo il "mandante") è influenzato dagli insegnamenti di Starker. Insegnamenti cui non può resistere e che lo ossessionano col desiderio di vedere la morte. In pratica, una riflessione non banale sull'irresistibilità e al contempo sull'insostenibilità della "visione".
Ben riuscita anche l'ambientazione quasi neorealistica, con esterni e interni desolati e "poveri", che dà un tono di verità al racconto (mentre di solito le storie di serial-killer puntano sulla trasfigurazione e su atmosfere deliranti, come per esempio ne
Il cervello di Killex).
Qualche
defaillance non manca. Il personaggio della poliziotta è decisamente scialbo e comunque non abbastanza incisivo da giustificare un'ossessione amorosa, e alcuni passaggi narrativi sono un po' troppo convenzionali. Ma l'originalità dell'assunto supera i difetti.
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All'ombra del destinoGiallo-slasher venato di soprannaturale, si dipana senza grossa fantasia accumulando omicidi e sospetti fino a un interminabile spiegone finale.
La storia è gestita senza molta logica e l'azione dell'assassino è notevolmente favorita dall'insipienza della polizia (che neppure dopo l'ennesimo omicidio si prende la briga di assegnare una vera e propria pattuglia al parco!)
Come se non bastasse, la rivelazione dell'identità del killer è di quelle che ti fanno esclamare: "Embè?"
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Le mani assassineSantarelli, alla sua prima e unica prova su Dylan Dog, sceglie un tema ricorrente nell'horror senza ricavarvi nulla di particolarmente originale.
L'intreccio punta soprattutto sul "giallo" e quindi sull'identità del colpevole, che teoricamente dovrebbe essere una sorpresa. Lo sforzo c'è, ma la catena di omicidi non sviluppa tensione e il mistero non è molto interessante.
Inoltre il soggetto non ha abbastanza benzina per 94 pagine e le azioni delle "mani assassine", benchè curiose, sono ripetitive.
Resta la delirante spiegazione finale in stile pulp chirurgico: un po' poco.