Letta la seconda storia.
E qui i conti (come a volte) ritornano, sul
5 - . Cioè
Marzano sforna ancora un episodio di basso profilo, dimesso e senza caratura come molti dei suoi prodotti precedenti...
...e come il suo protagonista, quel Mr Talbot, che dopo un inizio abbastanza interessante si affossa verso una vecchiaja di pallide lamentele e sconfortante rassegnazione.
Per il resto...
SPOILER *** SPOILER *** SPOILER...storia ampiamente evitabile. Anche per la costruzione, mediamente
ad vanveram, con picchi di tensione a livello rasosuolo
.
I nuovi ritornanti cominciano a minacciare Talbot senza un motivo, e la traccia viene lasciata lì (pp.107-120), senza ulteriori sviluppi. Ci si butta sull'argomento del ciarlatanismo (anche)mediatico, ed il mattatore di questo format ci viene presentato come un improbabile presentatore da
Striscia la Mestizia, con tanto di giacchetta a pois, che spara buffonescamente termini come "parassita, avvoltojo, sciacallo" con una bestiale disinvoltura da telescandalo su misura
.
I sensi di colpa di Dylan possono essere anche interessanti, come alcuni suoi silenzi, le pause, ed il ritmo generalmente flemmatico della storia. Le chiacchiere comare-voli con Talbot e moglie molto meno, ed il fattore "riempitivo" incalza, nei soliti rapporti umani da dramma borghesuccio, con tanto di famiglia (segnata) a margine, tramite il lutto, come succede anche per la cugggina pettegola.
Sconfortanti le consulenze dalla carampana Trelko, che in pratica sostituisce qualsiasi pretesto d'indagine con le sue rivelazioni sul (palese)occulto. Tremendo anche il pregiudizio qualunquista contro impiegati delle poste&co, sperando che gli autori s'imbattano in qualcosa di simile, per via raccomandata su direttissima a via Buonarroti
Un po' di fuochi artificiali vengono sparacchiati con le sequenza zombesca nella morgue: e fin qui ci siamo, mi può piacere. Peccato poi si debba ripetere lo stesso ritornello a Cosworth, questa volta su scala paesana con dei non-morti a spasso che non aggiungono nulla a scenette già straviste, come nel loro atteggiamento da ottuso assedio di puro contorno.
Ed anche il - mancato - pathos della risoluzione finale, nonostante l'antipasto della prima pagina, perde credibilità come una sceneggiata di quart'ordine, con quel Dylan che non avrebbe mia preso ad asciate il povero Talbot.
Ancora peggio il motivo -
senza senso, parole sue (p.191) - per cui Talbot perde all'improvviso i suoi poteri, rincuorato dalla voglia di vivere/soccorrerlo di Dylan, anche se sembra essersi dimenticato chiaverotticamente di spegnere la moglie, che continuerà a bestemmiarlo con la bava alla bocca anche dall'aldilà
.
Disegni: mi sembra ci sia un gap abissale tra le prime pagine, quelle di Talbot bambino/casa di Alice (pp. 101-116), con tanto di sfumature+oscurità, e quanto segue, sempre più al ribasso
.
Pontrelli per certi versi m'intriga e credo troverà presto un tratto più suo personale, però qui esagera nel scimmiottare le verticalità del nuovo-Roi o l'essenzialità del neo-Dall'Agnol senza raggiungere nulla di particolare, o finendo nell'evanescenza impigrita (pp.132, 144).
Nelle scene più caotiche con gli zombi manca il senso di concitazione, e gli zombi stessi più che legnosi sembrano abbozzati in frett&furia, con dei retrogusti malfermi che vanno da Stano (p.153) o Brindisi (p.177).
Il talento c'è, ma deve ritornare (a volte) su se stesso
QUESTO ALOHA NON HA SENSO