Ecco l'intervista di oggi su Repubblica.
DUE mani spuntano da sottoterra, pronte a ghermire il malcapitato che passa dal cimitero illuminato dalla gelida luce della luna. Era il 1986 e nelle edicole usciva il primo albo di Dylan Dog . Molto di più di un semplice fumetto: un evento culturale che sarebbe diventato fenomeno di costume. L’incarnazione perfetta delle teorizzazioni di Umberto Eco in Apocalittici e integrati, la sua rivoluzionaria (per i tempi, era il 1964) analisi su cultura “alta” e cultura “bassa”, in cui una sezione fondamentale riguardava il fumetto.
A partire dal fatto che «non è certo immotivato ricercare alla radice di ogni atto di insofferenza verso la cultura di massa una radice aristocratica, un disprezzo che solo apparentemente si rivolge alla cultura di massa, ma in verità si appunta sulle masse». Dylan Dog è l’esempio perfetto e infatti qualche anno dopo Eco non mancherà di sottolinearlo, dal momento che il suo creatore, Tiziano Sclavi, è il primo a inserire criptocitazioni di un immaginario che oggi definiremmo “geek”, in un fumetto appunto di “massa”. Un immaginario capace di mettere insieme Philip Dick e Raymond Chandler, il Ridley Scott di Blade Runner e Marx (Groucho), l’esoterismo ebraico del Golem e Terminator . Più o meno inconsciamente Tiziano Sclavi crea il primo fumetto “postmoderno” della storia: c’è un’intera generazione che si riconosce in lui. Molte delle idiosincrasie di Sclavi sono le stesse di Dylan. Le paure, gli orrori che racconta, li prova sulla sua pelle: alcolismo, depressione, elettroshock, terapia a cui si sottopone volontariamente, raccontata nel suo bel romanzo Non è successo niente ( Mondadori, 1998). Fino all’isolamento dal mondo, che forse interromperà oggi per la prima volta da molti anni per un’apparizione pubblica alla conferenza stampa per il lancio del nuovo Dylan. Da domani infatti cambierà tutto: il numero 337 della serie, intitolato Spazio profondo , vedrà un Dylan Dog completamente rinnovato e a questo rinnovamento di cui Sclavi è stato motore propulsivo ha partecipato Roberto Recchioni, 40 anni, uno dei più brillanti autori del nuovo fumetto italiano, già autore di Orfani, sempre per Bonelli: un coraggioso e spettacolare tentativo di far incontrare manga, videogiochi e supereroi pur nel solco del fumetto popolare italiano. Ecco cosa succederà.
L’ispettore Bloch andrà in pensione, Dylan avrà un cellulare ma non lo userà e dovrà fronteggiare un nuovo nemico. Insomma, tra pochi giorni cambierà tutto…
«Mi limito a citare Georg Christoph Lichtenberg: “Non so dire in verità se la situazione sarà migliore quando cambierà; posso dire che deve cambiare se si vuole che sia migliore”».
Perché questa rivoluzione?
«Da un po’ di tempo non mi ritrovavo più nel personaggio e ricevevo anche lettere dai lettori che andavano nella stessa mia direzione, così ho deciso di intervenire».
Come mai ha scelto Roberto Recchioni?
«Avevo letto una sua storia intitolata Mater Morbi e mi aveva colpito molto. Mi sono detto: “Ma questo è più bravo di me!”. Mi ha ricordato quello che era Dylan Dog all’inizio».
Il primo Dylan Dog non era rassicurante. Faceva paura.
«Forse perché riuscivo bene a trasmettere i miei incubi, certe mie paure e ossessioni».
Da dove venivano?
«In 25 anni di analisi non sono riuscito a capirlo. Forse dalla famiglia: le pri-
me paure vengono da lì».
Dylan ha avuto problemi con l’alcol.
Come lei...
«Infatti è sobrio da tanti anni, come me. Con rarissime eccezioni».
Anche il nuovo Dylan?
«Penso di sì, anche se da molto tempo si parla di una storia in cui, come si dice nel gergo degli Alcolisti anonimi, Dylan “scivola”».
Perché il nome Dylan Dog? Da dove veniva?
«Era il nome provvisorio che davo a tutti i miei progetti di personaggi. Dylan veniva da Dylan Thomas. Dog dal titolo di un romanzo di Spillane che peraltro non ho mai letto, Dog figlio di ».
La guerra in Ucraina, i tagliatori di teste dell’Is... Potrebbero essere nuovi incubi da affrontare per Dylan?
«Può darsi, ma io non sono informato. Nel senso che da anni non leggo i giornali e non vedo la tv».
Perché ha deciso di vivere lontano da tutto e di non uscire da casa se non per lo stretto necessario?
«Per pigrizia. Per paura del mondo. Perché non guido quasi più. Perché con l’e-commerce mi portano tutto a casa. E soprattutto per i miei cani: quando ne hai sette, come noi attualmente, spostarsi è un problema. E poi la mia casa mi piace, qui ho tutto, i miei infiniti libri e film, i miei computer, i miei gadget, il mio intero mondo».
Quanti libri ha?
«Ho smesso di contarli. Ho letto che nell’arco di una vita se si è molto veloci si possono leggere al massimo tremila libri. È una cosa tristissima, mai sentito niente di più triste».
Il mondo della carta sembra che stia tramontando: non passa giorno senza che venga annunciata la chiusura di un giornale.
«Io sono tra quelli che venerano Internet, ma deve finire l’epoca del tutto gratis, e la parola scritta deve tornare ad avere un valore. I giornali elettronici? Vanno benissimo, ma bisogna pagarli. Il fumetto in forma fisica? Venderà meno, ma a un prezzo molto più elevato».
Chi è Dylan Dog?
«Fantasia e libertà. Sergio Bonelli anche se Dylan Dog non gli è mai veramente piaciuto mi ha sempre lasciato libero, una sola volta è venuto a dirmi: “Questa storia avrei voluto scriverla io”. Ero al settimo cielo».
E oggi, quali sono le paure di Tiziano Sclavi?
«Tutte».