A ripensarci la cosa mi sorprende, ma il vincitore assoluto di questo Gigante è Pasquale Ruju.
Va detto che la competizione non è ferocissima: "L'incubo dell'indagatore" ovviamente è da amare e basta (anche se, sfidando l'ira delle divinità del fumetto, devo dire che la Morgana di Villa sembra un po' troppo bambolesca, e perfino alcune espressioni di Dylan non mi sembrano centratissime), ma tematicamente e graficamente è un esercizio di stile in senso pressoché letterale -e mi fa tornare in mente che, in qualche Horror Post dei primi anni Novanta, era stato esplicitamente stabilito il divieto di inviare racconti che cercavano di mescolare in maniera sensata i titoli degli albi di Dylan Dog...
Quanto a "Il terzo occhio", troviamo un Manfredi già in gita (nel senso che aveva abbandonato da più di un anno e mezzo la serie regolare), e che riesce a saccheggiare buona parte della sua scarna produzione dylaniana: la storia inizia con un'aggressione notturna (come "La porta dell'Inferno"), e come in "L'orrenda invasione" è Bloch a convocare Dylan e a chiedere il suo aiuto -un Bloch meno nervoso del solito, per gli standard dell'autore; in compenso c'è Beth a maltrattare ben bene Dylan... Inoltre, anche qui si scende nelle fogne, e anche qui il colpevole finisce per essere aggredito dai ratti (se non altro, in questo caso, Dylan è a portata di mano per il colpo di grazia). Abbastanza chiaverottiano l'omicidio di pagina 137, anche se poi si rivela collegato alla trama principale -in maniera piuttosto traballante, temo, visto che tutta la vicenda del manicomio non mi pare di grandissima rilevanza per lo svolgersi degli eventi (oltretutto, bisogna dire che le misure di sicurezza di quel posto sono, per usare un eufemismo, piuttosto lasche). Di Vincenzo mi piace per alcune cose (i neri), ma in genere il suo stile non mi comunica molto.
A confronto, le due storie di Ruju risultano decisamente superiori. "Duello all'alba" è un'altra graditissima opportunità di ammirare il magnifico Saudelli, e un'altra dimostrazione dell'abilità dello sceneggiatore sulla breve distanza, visto che malgrado il numero ridotto di pagine riesce perfino a rendere convincente, una volta tanto, l'innamoramento di Dylan -la misura della sua infatuazione per Alicia è data dalla sua imperturbabilità nel momento in cui lei mette un cd di Mariah Carey (ah, gli anni Novanta...
).
"Horror Market" incrocia la feroce critica al consumismo del Romero di "Zombi" (dopo aver visto il macchinario, il termine "sondaggio" acquista una sfumatura decisamente sinistra...) con suggestioni etiche e tecnologiche alla "Strange Days" (la possibilità di registrare e mettere in commercio ricordi ed esperienze reali). Divertente il capoclan rom che di fatto cita Marx (la dicotomia valore d'uso/valore di scambio), e coerente l'epilogo luddista -un po' meno, a ben vedere, e come diceva già qualcun altro qui sopra, il controfinale infernale, che non aggiunge granché e che anzi rischia di risultare pleonastico e/o anticlimatico. Uno dei pochi difetti di una storia nel complesso soddisfacente e capace di innestare nel lettore una certa inquietudine, ben servita da un Mari bravo come sempre, ma dal tratto decisamente più pulito -in alcuni volti mi pare di rivedere addirittura il primo Ambrosini.