Lo ammetto, un po' di amarezza.
Anche se mi rendo conto che questa è una storia tanto tenue e delicata nello stile quanto difficile da interpretare; da "ascoltare". Oddio, in realtà non è difficile, è solo che oggi questa risulta una storia inusuale. Da troppo tempo, a quanto pare. L'abitudine a non dover interpretare il testo, a veder spiegato per filo e per segno quel che avviene, è avvenuto e avverrà sulla tavola, rende spiazzante una narrazione che, in punta di metafora, appena abbandona la prosa lineare della gran parte della produzione dylaniana degli ultimi anni per rifarsi alla sensibilità sclaviana, all'irruzione dell'inconsueto, del non lineare, alla sua capacità di destabilizzare la tranquillità del lettore. Rende "strana" e incomprensibile una favola - favola: un tempo pane quotidiano (o mensile) della serie; a maggior ragione se questa favola si inoltra spesso e volentieri nel territorio dell'apologo caricaturale, si fa rappresentazione deformata, sopra le righe, della realtà; degli esseri umani. Lettura poetica e surreale. Dire una cosa per dirne un'altra, utilizzare l'orrore di facciata, dandone una lettura ludica e caricaturalizzata, per raccontare l'orrore del cuore; senza abbandonare la speranza della sim-patia: del sentire insieme, sentirsi partecipi. Il nucleo del Dylan Dog di Sclavi: il nucleo di Dylan Dog.
Non è una storia flamboyante nè memorabile, ripeto. E' solo una favola delicata, malinconica, a tratti addolorata; un piccolo atto d'amore per il personaggio, il suo mondo, la sua capacità di raccontare la vita.
V.
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