Il problema, se di problema si può parlare, non verte sulla mia mancata presa di coscienza dell'abbandono di Sclavi dalla testata e dal suo personaggio. Se così fosse avrei dovuto smettere di acquistare Dylan Dog anni fa, quando il Tiz decise di non occuparsi, se non rarissimamente, della sua creatura.
Il problema, nello specifico, è proprio su questa storia, o meglio sulla sua impostazione.
Ribadisco per l'ennesima volta che non metto in discussione la capacità d'autore di Recchioni nello scrivere fumetti e sceneggiare delle storie. Persone più autorevoli di me ne hanno sempre, e spesso a ragione, parlato benissimo.
Ma è questa storia, ma in generale proprio per tutto il discorso che faceva prima pigna, che non mi fotografa niente di Dylan Dog. Non basta, come afferma dyd 23, a mio parere, inserire Dylan nel 2400 o quel che è per farlo diventare moderno, futuristico, per metterlo al passo con i tempi. Non basta perché è impossibile farlo.
Bilotta, ad esempio, nel suo magnifico "Pianeta dei Morti" ha capito tutto: anche in un futuro lontano, Dylan è se stesso. Il se stesso tracciato da Sclavi, non da altri. Un se stesso malinconico, romantico e disilluso. Un se stesso che lotta per cambiare un mondo in disfacimento e in rovina. E tutto questo non ha niente a che vedere con la storia del numero 337. Lì abbiamo un Dylan costruito artificialmente, che potrebbe benissimo esser catapultato lì dalla macchina del tempo, che si aggira come un videogame alla ricerca del mostro di turno per eliminarlo. E se
Ma è proprio la costruzione delle storie di Recchioni a non piacermi. Egli ha si delle buone idee di base, ma pare che le disperda cerando un personaggio che con Dylan Dog c'entra poco o niente.
E sopratutto utilizzando artifici narrativi spesso, dal mio punto di vista, infantili. L'enigma burocratico de "Il Modulo A38", la camminata a ritroso nel tempo de " I Nuovi Barbari" ( che poteva essere geniale, ma che mancava di un qualcosa, di uno credibilità di fondo, per essere alla fine compelta ).
E lo dico perchè ritengo RRobe abile, molto, e le delusioni che mi fornisce, proprio per la sua bravura, sono alte, forti, come lo è stata la delusione per questo numero e che perdonerei, ad esempio, ad un Marzano o a un DiGregorio.
A Paola ho perdonato parecchio, a volte digerendomi cose feroci, ma non so, con tutta sincerità, se mi senta ancora capace di farlo con il nuovo corso.
Dylan era un meraviglioso poeta della malinconia umana, il cantore delle memorie dell'invisibile, non quello che è oggi.
Non quello che ci viene presentato qui, mi spiace ma non riesco a vedere quel personaggio che aveva scritto una grande pagina del fumetto italiano.
E non si parla di una mia mancata voglia o desiderio di evoluzione. Io per prima, sono il segno di una evoluzione, fisica e mentale.
Ma se questa evoluzione deve portare a stravolgere le architravi, le colonne, l'Io del più grande fumetto italiano degli ultimi 28 anni, mi chiamo fuori, scusate.
Penso che comprerò il numero successivo, senza commentarlo, e che chiuda qui una parentesi mensile che mi ha seguita per una vita.