Questa volta sono quasi perfettamente allineato con l'opinione media del forum: dietro la meravigliosa copertina di Stano, si celano due storie brevi decisamente folgoranti e due storie lunghe variamente altalenanti.
L'omaggio chandleriano di "Era morta" è esilarante e malinconico come solo il miglior Sclavi sa essere, e tra le ombre del noir Stano si trova perfettamente a suo agio; mentre "Il vicino di casa" ha l'unico (ma ingombrante, ancorché involontario) difetto di aver illuso moltissimi di noi sulla bravura dell'autore, o perlomeno di averci convinto che Ruju sarebbe stato in grado di confermare anche sulla serie regolare la brillantezza e l'asciuttezza di questo piccolo capolavoro. (Disclaimer: a breve comincerò a rileggere le sue storie dylandoghiane, sperando in qualche rivalutazione -al momento attuale, di tutti i suoi albi conservo davvero pochissimi ricordi.)
"Cronache di straordinaria follia" è quel tipo di storia (come lo Speciale "Il Monastero" e come la sua ultima storia pubblicata su un Dylandogone, "L'ultima mutazione", uscite l'anno seguente) in cui si ha la sensazione che Chiaverotti sia andato avanti più o meno a braccio: se da un lato dimostra di saper ancora creare immagini decisamente efficaci -il letto pieno di serpenti, l'omicidio/suicidio con la spada, l'uomo aggredito dalle api, gli infermieri col volto brulicante di vermi-, dall'altro il suo evidente divertimento nel dar forma e vita alle ossessioni dei suoi personaggi lo conduce a trascurare la trama, col risultato di giungere a una conclusione frettolosissima (fin troppo comodo l'espediente della confessione trovata sul diario di Nick, simile all'escamotage conclusivo di "La sfida") dopo aver disseminato la storia di vari buchi narrativi e logici: non viene spiegato perché Dylan dovrebbe vedere questo David Parker, o come entri nella mente della bambina (tra parentesi, non credo sia semplice sottoporre a ipnosi una persona catatonica...), o ancora in che modo Nick scelga le sue vittime, dal momento che a parte James non lo si vede aver contatti con nessuna di loro. Ah, e chi sarebbe (e che fine fa) la donna che vede il suo funerale? Fin troppo ingombranti le citazioni kinghiane, e neppure lo stesso Venturi mi convince del tutto -alcune espressioni mi sembrano fin troppo teatrali.
"Delitti a passo di danza" introduce nell'universo di Dylan Dog due elementi piuttosto inusuali, il ballo e il feuilleton (adozioni, bambini scambiati in culla, segreti e meschinità, agnizioni...). Qualcuno l'ha accusata di verbosità, e... be', difficile dargli/le torto: a volte verrebbe voglia di ricordare a Manfredi l'antica regola aurea degli sceneggiatori americani -show, don't tell! (si veda pag. 177: "Uno degli aspetti più inquietanti di questa vicenda è l'assoluta meschineria dei protagonisti!" -che non solo è un modo piuttosto goffo e fin troppo letterario di rendere i pensieri di Dylan, ma è anche una cosa che il lettore ha già notato da diverse pagine)-, anche se qui il problema mi sembra meno grave rispetto a buona parte delle altre sceneggiature dylaniane dell'autore. In sintesi, un giallo con pochi brividi, ma se non altro condotto con una certa grazia e sapienza narrativa -ovviamente, ci sono così tanti personaggi e potenziali colpevoli che l'ipotesi del fantasma svanisce quasi subito; salvo venire recuperata, con un tocco elegante, nel finale. Carino anche il Dylan gentiluomo, che a dispetto di condizioni pressoché ideali (una donna giovane e in cerca d'amore, la notte, l'oceano...) decide di rinunciare all'ennesima conquista.
_________________ Non giudicare gli uomini sulla base delle loro opinioni, ma da ciò che le opinioni possono fare di loro. (Georg Christoph Lichtenberg)
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