Dopo i primi due, forse il miglior Gigante (almeno tra le prime otto uscite, con la formula a più storie). E certamente uno di quelli disegnati meglio: un Bigliardo esordiente che mi ha incantato, un Mari probabilmente mai più così dark (su Dylan Dog, almeno), Casertano che se la spassa tra mostri e inchiostri con dei neri belli vischiosi e alcune perle (la vignetta di pagina 178, con Dylan nell'ascensore all'interno di un enorme cervello, è roba da poster), e Saudelli che... be', è Saudelli, e tanto mi basta.
Quanto alle storie, le due doppie sono impeccabili: magari sono solo
divertissement, ma condotti e presentati in maniera esemplare -e concordo con chi, qui sopra, sosteneva che "Un incubo in soffitta", malgrado il tono più scanzonato, riveli perfino una qualche profondità concettuale, ben celata dietro la superficie ludica (ora che ci penso, è un po' la controparte comica di "La cantina", altra breve meraviglia di Sclavi e Roi uscita sul primo Almanacco).
L'esordio in lungo di Ruju, oltre a tenere a battesimo un altro ottimo disegnatore (dopo Riboldi) e a ispirare un'altra splendida copertina di Stano, è forse, insieme a "Falce di Luna", la migliore storia lunga non firmata da Sclavi comparsa nei primi otto Giganti. Un'avventura dalla pronunciata vena ecologista, che omaggia la figura di Jacques Cousteau: e se la parte "investigativa" non è troppo pronunciata (Dylan di fatto non indaga, ma è pur vero che i "cattivi" vengono identificati immediatamente, e non ci vuole molto a capire chi è il traditore, nell'equipaggio), il tono lirico -con citazioni omeriche- e l'atmosfera sono molto indovinati, e l'elemento orrifico non è preponderante ma non è certo assente (le zanne affilate delle sirene, i corpi scarnificati, il suicidio di massa...). In più, abbiamo anche un bel finale non consolatorio -e un controfinale che invece, in qualche modo, lo è. Si capisce da subito che si tratta di una scrittura molto diversa da quella di Sclavi e Chiaverotti, ma non mi pare affatto un "tradimento" del personaggio -anche se i più critici potrebbero trovare qualcosa di simbolico nel fatto che, la prima volta in cui Dylan compare in una storia di Ruju, lo vediamo di spalle mentre sta vomitando...
Il Chiaverotti di "L'ultima mutazione" è invece il solito Chiaverotti -o, più precisamente, il solito Chiaverotti di quel periodo: come "Cronache di straordinaria follia" o "Il Monastero", anche questa storia sembra scritta a braccio, privilegiando il susseguirsi di suggestioni oniriche e allucinazioni alla coerenza dello sviluppo narrativo. Si riforma la coppia di "I Demoni" (#103), albo col quale esiste un'evidente assonanza tematica: anche qui al centro della vicenda ci sono esperimenti scientifici che hanno lo scopo di superare i confini della vita naturale. E anche qui, però, c'è un po' troppa confusione: divertente l'idea di Dylan in trasferta addirittura a San Francisco, patria degli hippies e dunque territorio fertile per
visioni assortite, anche senza LSD, ma in ultima analisi non si capisce cosa ci vada (o, più precisamente, cosa ci venga mandato) a fare, e nel momento in cui Kay riparte non si capisce cosa resti a fare. Oltretutto, o forse a monte di tutto: come si spiega che quando Dylan vede Alexander sulla barella in ospedale l'uomo stia
già malissimo, dato che la degenerazione/mutazione completa si verifica solo una settimana dopo?