SPOILEEEEEEER
Non lo so.
Sono in fondamentale disaccordo con la famosa uscita sclaviana sull'ambivalenza di Groucho.
In primis perché, se dessimo retta a tutte le boutade del papà di Dylan, non ne usciremmo più ["Quando rileggo
Morgana, non ci capisco nulla", per dire]; e poi, soprattutto, perché con la sua stessa attività ha testimoniato contro questa visione: il suo Groucho è sempre stato eccellentemente utilizzato come la vetta qualitativa della linearità senza doppi sensi, umorismo escluso.
L'unico autore che ha dato seguito a quell'uscita, l'ha fatto "per i suoi comodi", perché è anche l'unico che ha dichiarato di non aver mai saputo/capito utilizzare Groucho, e cioè la Barbato.
La Barbato ha più volte tentato di portarlo sul suo campo, perché altro non sapeva/poteva fare.
Groucho è il versante positivo dell'esistenza, è il sorriso che si cela sempre dietro la sofferenza, il contraltare perfetto di un Dylan la cui ironia è sempre stata intrisa di cinismo e malinconia.
Groucho è il raggio di Sole che costituisce una perenne via d'uscita all'orrore.. Non può cambiare, e soprattutto non può stare senza il "negativo" rappresentato dal suo capo. E viceversa. Sono due facce della stessa medaglia, che si sorreggono a vicenda.
Groucho è lo showman, il performer, il commediante, la spalla, pura
workrate in barba alla
psychology. Attribuirgli una dimensione altra e vertiginosa, più alta del gradino di una freddura, è operazione inconsistente e fittizia che va ad alterare inutilmente l'equilibrio di un sistema perfetto.
Un Totò, o un Fantozzi, non hanno mai avuto bisogno di sottotesti criptici, di doppie facce agghiaccianti, di riempitivi e interrogativi, perché la loro "unica" macroscopica dimensione era onnicomprensiva. Era una forma, un abito che andava su tutto, non un contenuto che ha bisogno di tanti altri contenuti per andare a completarsi.
Groucho è quello che è, in senso letterale: è così come viene presentato. Come il suo modo di prendere la vita.
Tornando a noi, e tirando le somme di questo discorso: a mio avviso, questo albo "sta dalla mia parte".
Provo a spiegarvi perché.
Innanzitutto, in quest'ottica, è giusto che Groucho in questo albo non compaia.
Non può e non deve farlo.
O meglio, compare in due luoghi dell'albo: alla fine, con il dichiarato ritorno alla realtà [talmente reale da sfondare la quarta parete, e concludersi in metatestuali identificazioni autore/attore], e nella copertina, che giustamente va a illuminare lo spettatore.
In sostanza, mi oppongo: la copertina non doveva inquietare, doveva dissociarsi dal contenuto dell'albo per riprenderne il messaggio, che è una dissociazione continua.
Groucho non doveva avere ruolo. E infatti non ce l'ha, come avete sottolineato voi.
Non a caso, al centro della [perfetta, ripeto] copertina, copertina, c'è Dylan stesso.
Perché?
Ce lo dice l'indagatore dell'incubo in carne e inchiostro, che lo conosce meglio di chiunque altro, a pag. 54: Groucho non ha mai avuto bisogno di gabbie protettive.
Non ha mai avuto bisogno di maschere, non ha mai avuto bisogno di unirsi a un circo itinerante per mostrare il suo vero io, non ha dimensioni oscure da reprimere e da dare in pasto a un pubblico sadicamente esigente.
Mi riquoto: "Groucho è quello che è, in senso letterale: è così come viene presentato".
Niente di più, niente di meno.
Groucho, fra quei tendoni, non c'è mai stato.
Era solo un pretesto dei raminghi per attirare a sé quello che loro consideravano il vero pezzo pregiato della loro eventuale collezione, il freak per eccellenza, quello che sì, ha più di una dimensione schizofrenica da occultare nelle tenebre [l'alcol? Il dualismo nel labirinto degli specchi?] e che quindi avrebbe alzato a dismisura l'asticella dei loro spettacoli, quello che non a caso campeggia al centro della copertina: Dylan Dog, ovviamente.
C'era però un grosso ostacolo, come evidenziato da lui stesso: se li avesse riconosciuti come attori truccati, non si sarebbe neanche mosso.
Da consumati conoscitori dei loro polli, i raminghi hanno capito che per attirarlo a sé c'era bisogno dell'orrore, non solo sotto forma di deformità estetiche, ma soprattutto attraverso la perdita di un amico, di una dimensione fondamentale.
La volta buona che riescono a coinvolgere Dylan nei loro spettacoli, però, è anche l'ultima, perché si rende subito evidente la resistenza, l'inadeguatezza di Dylan nel far parte di quel mondo.
Prima, con un colpo di pistola, "esce dal copione" e sabota l'intero meccanismo; poi, addirittura, resiste alla sua parte oscura: cedervi era la conditio sine qua non.
A quel punto, al direttore d'orchestra non rimane che riconoscere la sconfitta, liberare Dylan dai suoi demoni e fare in modo che dimentichi tutto perché non sia di futuro ostacolo ai suoi autunnali spettacoli di morte.
Un vero "padrone" sa quando è ora di dire basta, di far calare il sipario e di ripartire verso l'orizzonte della vita.
Anche un vero autore come Celoni lo sa, e lo ammette tirando le fila del suo lavoro.
Prima sceneggiatura? Chissà. Sicuramente avrebbe molto senso.
O non ne avrebbe proprio?