Se devo esser sincero – qualcuno ne dubita, nel caso? La
Littizzetto no
– questa storia mi sembra un mezza delusione per quelle che sono le mie aspettative da Don De Nardo, e
non va oltre la sufficienza.
Schietto e scaltro, ma di poca sostanza. Niente di scandaloso, intendiamoci, ma di sicuro un bel passo indietro rispetto a quanto visto sull’ultimo
Gigante, e due vasche di schiuma a ritroso rispetto alla magnifica
Dea Madre (delle MILF
).
Visto che vanno per la quale le hit list comparatistiche ma circostanziate nel contesto, sostengo che non mi sembra affatto la migliore storia nell’anno solare finora pubblicata.
In cima ci metto, per ora, il Napo-crossover di Ambrosini+Bacilieri sul
CF, mentre il resto del podio lo occupano con un po’ di fatica le due di Di Gregorio, per quanto l’ultima sia spudoratamente
pimp-ata dai disegni dei C.Bros
.
Parlando di nuovo corso, invece, l
’Ambrosini di Ottobre, o lo stesso De Nardo di
Più forte della carne, sono di un’altra categoria di fronte a questi riempitivi di mestiere, efficaci per quanto scoratamente palliducci.
Ok, ma qui cosa abbiamo, in soldoni?
******SPOILER §§§ SPOILER §§§§ SPOILER … abbiamo
un soggetto spiccio, davvero in soldini
.
Ed è vero che con le monetine ci puoi fare una fortuna, ma in questo caso il motivo di partenza/conclusione – leggi
antropomanzia genetliaca – è sinceramente peggio che di contorno, e racimola poco mordente anche quando vuole darsi un tono, nel finale, di presunto pathos .
Insomma da
main course finisce per diventare una fritturina inutile dopo l’abbuffata random di altre stuzzicherie
.
Il
villain è il solito
inutile megalomane da operetta, squilibrato quando basta e dotato di cognome esotico-misticheggiante, che stavolta vorrebbe squaleggiare in borsa non solo coi sudati risparmi, ma anche con le insanguinate visceri altrui
.
Per fortuna non ci sono ramanzine retoriche sulla tarocco-economia finanziaria del terzo millennio, ma lo stesso non si può dire dell’
ovvio rituale stregonesco per cui De Nardo stravede in overdose, anche se qui lo sbilanciamento verso il fantasy rustico-runico se non altro non è
ruin-ato dal
popup-pare del nano malefico con una delle sue formule magiche (da campagna elettorale? No parlavo di
McLoud-ato sia, chi lo sopprime… che vale anche per quello di Arcore )
Alle carenze del soggetto “nudo&puro” rimedia
una buona sceneggiatura che sa sciogliere le sue contorsioni macchinose abbastanza bene. Nella prima metà tiene incollati parecchio: sa sviare, ampliare, rimbalzare, mescolare, sovrapporre con sapienza ed alti ritmi.
Ti invoglia a rileggerlo per rifare il punto, e questo in un certo senso lo trovo un punto (rifatto?) a favore
.
Dylan tiene tutto sommato bene, poco verboso, mumbleggia solo quando necessario, e fa bene il suo mestiere di domande e ficcanasaggio durante le indagini, abbastanza serrate e cool, anche per i ping-pong di raffronto con Carter.
Peccato solo che porga sempre l’altra guancia nell’incassare botte come un salame da pentolaccia, ma lui è per la pace nel mondo, si sa
.
Quella dei sensi non lo sfiora minimamente, ed infatti lo vediamo alla presa con una comprimaria tosta come Carter per tutta la loro convulsa relazione.
Non tutti i loro siparietti sono divertenti/credibili, però trovo che l
’agente ‘nnamurata sia stata caratterizzata molto bene, viste certe sfaccettature ambigue della sua femminilità e le complicazioni nei rapporti interpersonali.
D’accordo, molte saranno state depredate dalla fossa dei luoghi comuni, ma in questi cliché c’è sempre un fondo (dal fosso) di verità… quindi non ci vedo nulla di male in sé. Sempre meglio delle sciacquette da bidet modalità pin-up proposte dal 90% degli autori, o delle iper-complessate-asfittiche di Paola
.
In confronto alle cazzute fragilità di Carter, Dylan invece non ci fa una granché di figura coi suoi atteggiamenti damerinescamente
correct, come nell’insistere affinché proprio lei discuta col marito della tresca (pp. 39, 41, e 55).
Poi ci parlerà lui di persona, e sappiamo bene come finisca, dopo che il “cornuto” risolutore si sarà preso la sua rivincita da duro a suon di pallottole, e Dylan (giustamente) le prende per l’
ennesima sparata fuori luogo da cascamorto compiaciuto (p.97)
.
Lo splatter è solo in funzione di contentino: sono molte più le zuffe e le sparatorie, rispetto alle scene
gore efferate vere e proprie.
D’accordo, alla fine siamo in presenza di un giallo sovrannatur-ante, ma De Nardo poteva osare qualcosa in più oltre all’esterpazione metaforica del cuore di Dylan, visto che tutte le altre vittime di Vlako fanno la stessa fine, compreso Jensen, la Koll e la vecchina di pp.75-76 che ci lascia sul più bello – in senso sanguino(ari)lento
.
La morbosità della prigionia annebbiata avrebbe dovuto esser più acuita, come si è visto di gran gusto con lo stesso De Nardo sul
Gigante. Resta di buono l’effetto ri-racconto e l’ingozzamento di ratti che è davvero da PPPaura (p.32), anche per merito di Dell’Uomo, of course
.
Bloch spento e confuso, Groucho di bassa lega, ma il lato ironico è ben rimpiazzato dal duo Dylan&Carter, specie quando mettono in tavola i controsensi della vita di coppia, interagiscono con le vecchiacce medianiche o devono fronteggiare pericoli da scavezzacollo. Anche le ghignate di contrappasso all’idea di mandare in rovina Vlako per una data sbagliata non sono male (p.81)
.
Dell’
abuso della Morte sembra non possiamo sbarazzarci, di questi tempi: comunque molto meglio qui il dialogo breve (pp.19-20) tra i due sulla razionalità della sfiga/destino che in tutto le ciarlette del numero scorso
.
Se comunque un certo insistito
memento mori di ripiego può esser digerito...
...lo è meno, almeno per me, l’onnipresenza del
ricorso di pura faciloneria a Mme Trelkowsky quando bisogna semplificare la trama/indizi attraverso le spifferate delli mortacci di turno – che in una serie horror di norma ci sono sempre, omicidi presenti, incidenti futuri e trapassati ansiosi vari.
Proviamo a risolvere più casi senza questo escamotage ritrito, please? Il congegno del giallo è confezionato con una certa cura e mediamente avvincente (fino alla spiegone finale, perlomeno).
Ci sono però un pajo di storture logiche che fanno storcere il muso e reggono pochino (lo stesso muso, ormai sceso altezza ombelico)
.
#1) Complimentoni agli assassini di Jensen per averlo seppellito con documenti e cellulare accanto. Manco fossero i feticci cari al faraone. E complimentoni anche a lui per la tirchiaggine di aver chiamato Smaller dal telefono in camera del Faraway Hotel (p.35) invece che usare il suo stesso cellulare. Finita la promozione del provider o esaurita la batteria
#2) Tamira&co non brillano per coerenza nelle loro operazioni di squasso. Troppa disparità di trattamenti.
La povera dott.sa Koll (
) la rapiscono brutalmente ammazzandogli pure l’amante, mentre per il ”fighissimo/raccomandato” Jensen-alias-Dylan la nostra Tamara riserva un bell’appuntamento in un locale semi-sconcio, pensando di intortarselo con gentilezza adescante mentre quello si distrae coi culi roteanti in sala.
Più che di burlesque-ria mi sa più di buffonata, considerando anche che una donna di mondo/classe come lei ignorasse il vero volto di un tizio famoso come Dylan.
Si rifà in un certo senso con la telefonata-bluff quando il Dylan origgginalo-veramente (p. 66) le chiede di re-incontrarsi, perché lui non è ancora stato destinato alla terra
.
*****I disegni di Dell’Uomo mi sono piaciuti
molto meno che nelle sue due ultime prove (
Epidemia Aliena e
I sonnambuli)
Troppo projettati verso uno stile retrò nostalgico (e semi-caricaturale) dei ‘60s, non sanno restituire quell’atmosfera cupa e noir che dovrebbe esser congeniale a storie come questa.
Molti personaggi sembrano sagome di cartapesta, legnosi nei movimenti e troppo piccinipicciò .
E quando la vignetta si sovraffolla le goffaggini sono dietro l’angolo.
Fantasmini da sorpresina nelle merendine (pp. 7 e 13) che cozzano con la bellissima resa di Londra dai tetti e della Mercedes d’epoca
.
Anche se sembra prendersi più sul serio che nelle due precedenti storie, rimane comunque ancora discontinuo… troppi sbalzi … alterna belle cose (v. stress da prigionia, i ratti, lo squarciamento amoroso, la Koll in posa da stripper, il Ten di Tennison Street, certa vegetazione stramba di p.86) con altrettante vignette semi-dilettantesche o tirate per approssimazione
.
Le sagomine
in action della colluttazione nel parcheggio (pp.50-51) sono quasi commoventi per ingenuità del tratto, come il pipistronzo censorio sul “volatile” del Nostro neo-naturista che s’abbronza alla luna pre-svisceramento (p.81)
Molto meglio sui primi piani, dove credo si sia
sbizzarrito in vari omaggi. Per ora ne ho cuccati solo due, cinematografici : la coppia
Brangelina in pieno rispolvero, ma senza torma d’infanti (53.iii) ed
Hermione-Emma Waston (p.68.i) senza Harry Potter che la bacchetta (magico)
.
Buona la copertina: l’accostamento arancio-logo col violetto-notte c’azzecca parecchio.
Un po’ meno il concept dell’immagine scelta con i contenuti dell’albo, come il titolo “di grido”, buttato lì per darsi un tono cupamente enfatico ma slegato dalla storia.
L’alberello sembra troppo digitalizzato rispetto al resto. La luna “semplice” sullo sfondo mi ricorda il primo Villa
.
L’editoriale mi ricorda una mia lettera pubblicata dalla rubrica-posta di un noto manga all’epoca della sempre cara
Granata Press. Era su
Kurt Cobain (parliamo del ’95, se non sbaglio) e fu molto gradita. Ma non c’entrava nulla col fumetto in questione. Come in questo caso…
*****Adesso vi lascio perché devo controllare se sul mio (smilzo) conto in banca-Global qualcuno che è nato nel mio stesso giorno ha versato da Bei-rut [
bbburp ] l’equivalente di un attico vista-Colosseo… a mia insaputa.
UN BUON ALOHA DI NON-COMPLEANNO
(A ME? A TE! …caro scappellatore matto Scajola. E salutami quel leprotto transfuga di Dell’Utri)